"Hannah Gadsby: Douglas": come raccontare il proprio autismo e riderne

Un viaggio dall'area cani al tardo Rinascimento accompagnati da una delle voci comiche più sovversive degli ultimi anni, per scoprire che anche per una bambina autistica è possibile costruire un mondo meno solitario e più inclusivo.

Non solo Raymond Babbit e i suoi numeri: nella stand up comedy disponibile su Netflix Hannah Gadsby: Douglas, la comica torna a far parlare di sé con uno show dedicato a raccontare la diagnosi di autismo ad alto funzionamento con cui convive dal 2017.

Con l’ironia corrosiva che l’ha resa famosa dopo Nanette, Gadsby spiega così che non esistono solo gli autistici descritti da Rain Man (il film del 1988 diretto da Barry Levinson e interpretato da Dustin Hoffman e Tom Cruise), che sanno contare centinaia di stuzzicadenti caduti a terra, ma anche adolescenti che vivono in un limbo di solitudine, perché la testa li porta «in posti dove nessun altro arriva».

Perduta dietro a un pinguino intento a leccare una scatola e alle infinte possibilità che la sua mente riesce a creare, l’artista australiana riesce a essere chiara e diretta quanto lo era stato qualche tempo fa il regista Jerry Rothwell nel toccante documentario The Reason I Jump, ispirato all’omonimo libro di Naoki Higashida del 2005 (in Italia Il motivo per cui salto. La voce di un ragazzo dal silenzio dell’autismo, Ed. Sperling e Kupfer, 2014), che raccoglieva alcuni racconti brevi del giovane autore (all’epoca 13enne), autistico e muto, e le sue risposte alle domande più frequenti poste a persone affette dalla stessa malattia.

Come per Rothwell, l’esigenza di trovare un ponte tra il mondo dei neurotipici e quello degli autistici si traduce in Douglas nella possibilità di entrare in contatto con persone che pensavamo destinate a restare escluse dal mondo: un messaggio di speranza perché la realtà diventi davvero inclusiva. Non a caso, conclude Hannah Gadsby, «Ho trovato il modo di condividere quello che penso».

Hannah Gadsby
Un momento dello spettacolo Hannah Gadsby: Douglas (Courtesy Ufficio Stampa Netflix)

Perché vedere gli spettacoli di Hannah Gadsby

Meno arrabbiata, meno tagliente, meno rivoluzionaria ma altrettanto esilarante che in Nanette, Hannah Gadsby anche in Douglas regala al suo pubblico (e non solo a quelle viziate donne bianche che – a suo dire – la adorano) un’ora di comicità genuina, volta a graffiare senza perdere mai la voglia di strappare più di una risata.

E ci riesce anche con lo spettatore meno edotto di questioni più strettamente anglofone, come le battute su Wally, il protagonista di libri per bambini anni Ottanta creata dall’illustratore inglese Martin Handford, conosciuto negli Stati Uniti come Waldo (dalle nostre parti è arrivato solo nel ’94, in strisce allegate al quotidiano L’Unità), o su Taylor Swift e la sua Shake it off (dove canta “haters gonna hate”, gli odiatori odieranno).

Hannah Gadsby passa con disinvoltura tra registri diversi senza perdere un attimo di vista quello che sembra essere il suo obiettivo ultimo: far riflettere le persone; che siano No Vax o uomini bianchi etero insufflati di cultura patriarcale, la comica nata e cresciuta in Tasmania è consapevole della potenza sovversiva di una risata, che forse non ha più il potere di seppellire lo status quo ma può ancora instillare quel dubbio capace di cambiare le persone.

La scheda dello show

Premiata agli Emmy e ai Peabody (un premio annuale ed internazionale per eccellenze nelle trasmissioni radiofoniche e televisive), Hannah Gadsby, dopo Nanette, torna su Netflix con un nuovo speciale di stand-up, Hannah Gadsby: Douglas, registrato a Los Angeles e intitolato come il nome di uno dei suoi cani.

Douglas, però, è anche il nome del medico scozzese a cui si deve la scoperta del sacco che nel corpo femminile si trova tra retto e utero: da qui un viaggio originale dall’area cani al tardo Rinascimento per finire a leccare una scatola. Vedere per credere…

La discussione continua nel gruppo privato!
Seguici anche su Google News!
  • Camera con vista