Perché uomini "illustri" hanno definito le donne "esseri difettosi e inferiori"

Lo pensavano Pitagora, Sant'Agostino, Aristotele. Persino oggi professori universitari cercano di insinuare un'inferiorità fisiologica della donna con la volontà di rimetterla "al suo posto" di madre e custode del focolare domestico. La tentazione può essere quella di sorriderne, come di un rigurgito del passato, ma non è così: sono parole che hanno origini profonde e antiche, è un cancro radicato pronto a invadere il corpo delle donne appena si abbassa la guardia.

Di uomini illustri che hanno teorizzato il disprezzo per la donna e la sua subalternità è pieno.

“Dobbiamo considerare il carattere delle donne come naturalmente difettoso e manchevole”, disse un tale Aristotele. Degno di tale mentore, anche San Tommaso definisce a sua volta la donna uomo mancato.

Pitagora, non uno sciocco neppure lui, pare concordare: “C’è un principio buono che ha creato l’ordine, la luce e l’uomo, e un principio cattivo che ha creato il caos, le tenebre e la donna”.

Del resto, cosa aspettarsi da uno vissuto 500 anni a.C. se persino Kierkegaard, uno dei teorici dell’esistenzialismo moderno, non si è fatto problemi nel dire:

Che disgrazia essere donna! Tuttavia il male peggiore per una donna consiste nel non capire che è un male.

Si potrebbe continuare per citazioni di maschi illustri.
L’elenco sarebbe lungo, sicuramente non esaustivo. Eppure, anche con i limiti di completezza dichiarati, potrebbe non essere vano fare un compendio dei princìpi e delle argomentazioni falsi con cui uomini di grande intelletto (altri meno) hanno costruito un mondo su misura di maschio; e così facendo giustificato, mistificato e fortificato la discriminazione di un genere sull’altro.

Servirebbe ad avere un volume (più credibilmente un’opera in molti volumi) che dimostri in modo tangibile il peso culturale della più grande oppressione perpetuata nella Storia dell’umanità, dal suo esordio a oggi (intendo proprio in termini numerici e di continuità storica).

Pazzesco, tra l’altro, pensare come sia l’unica oppressione subita da una non-minoranza (le donne sono all’incirca la metà della popolazione mondiale) e come sia così congenita all’essere umano, a tutte le latitudini e nelle diverse culture, da manifestarsi all’interno delle stesse minoranze oppresse.

Prendiamo la condizione della donna nera, indigena o di molte migranti dei flussi contemporanei; pensiamo alla condizione della donna all’interno della classe proletaria o nelle religioni, a partire da una delle più perseguitate di sempre, quella ebraica.

Nelle preghiere mattutine più di un bravo ebreo ancora ringrazia Dio per non averlo fatto, come recita la formula, “non ebreo, schiavo, donna” (lato suo, la buona ebrea ringrazia docile colui che l’ha fatta “secondo la sua volontà”).

Tornando al nostro libro, avremmo alla fine tra le mani il volume più grande mai stampato perché, per dirla con le parole di Virginia Woolf:

Avete un’idea di quanti libri si pubblicano sulle donne in un anno? Avete un’idea di quanti fra questi libri sono scritti da uomini? Sapete di essere, forse, l’animale più discusso dell’universo?

Praticamente il mansplaining prima che arrivasse a spiegarcelo Rebecca Solnit. Comunque, tornando a bomba: va da sé che questo volume avrebbe più che altro l’aspetto di un’enciclopedia, della quale ci permettiamo di proporre alcuni titoli. Proposta neutra:

Il Grande Libro del Privilegio Maschile

Proposta con edizione critica:

Menzogna e Privilegio
Come gli uomini hanno costruito un mondo a loro misura
perpetrando una grande bufala

Titolo a parte, ci troveremmo di fronte al vero testo sacro della Storia dell’umanità, di cui gli altri sono semplicemente diretta emanazione e supporto: il libro più importante del mondo, su cui pone le basi e di cui è imbevuta la società (cultura, economia, politica comprese).

Simone de Beauvoir nell’introduzione a Il Secondo Sesso riporta le parole di Poulain de la Barre (“un femminista poco noto” del XVII secolo):

Coloro che hanno creato e compilato le leggi, essendo uomini, hanno favorito il loro sesso e i giureconsulti hanno volto le leggi in princìpi.

Continua poi de Beauvoir:

Legislatori, preti, filosofi, scrittori, dotti si sono accaniti a dimostrare che la condizione subordinata della donna era voluta in cielo e utile per la terra. Le religioni foggiate dagli uomini riflettono tale volontà di dominio: nei miti di Eva, di Pandora gli uomini hanno trovato armi. Hanno messo la filosofia, la teologia al loro servizio, come risulta dalle proposizioni citate di Aristotele e San Tommaso (sopra riportate, ndr).
Fin dall’antichità, scrittori satirici e moralisti si sono compiaciuti nel descrivere le debolezze femminili.
[…]
In certi casi il modo di procedere è evidente.
Colpisce, per esempio, che il codice romano per limitare i diritti della donna invochi “la debolezza di spirito, la fragilità del sesso” nel momento in cui, indebolendosi la famiglia, la donna diventi un pericolo per gli eredi maschi.

Concetti, questi, masticati e sputati da uomini certo meno illustri di quelli sin qui citati, a partire dal Professore Donato Mitola, di cui nei giorni scorsi abbiamo potuto apprezzare un’illuminante, non certo illuminata, lezione online di Bioetica agli studenti di Medicina dell’Università di Bari (che fortunatamente gli è valsa la sospensione):

Non ci possono essere giudici donne, perché giudicare vuol dire essere imparziali e le donne invece sono condizionate dall’emotività.

Ha affermato, tra le altre cose, Mitola in video, scimmiottando i suoi predecessori e accogliendo una visione retrograda e oscurantista, che bisogna resistere alla tentazione di liquidare come sporadica o eccezionale, visto che ha guidato la stessa Costituzione italiana fino al 1963.

Alla stregua di quanto sancito nel codice romano, infatti, come ben ricorda la giudice Paola Di Nicola:

Fino al 1963 ci fu negato l’accesso come giudici perché ritenute incapaci, inadatte, squilibrate, per via delle mestruazioni e del pregiudizio millenario.

Servirono cioè 15 anni, dalla promulgazione della Carta Costituzionale per rendersi conto che ignorare il principio di uguaglianza “senza distinzione di sesso” sancito dall’art.3, comma 1, era discriminatorio, tanto quanto lo era l’art. 8 dell’ordinamento giudiziario ancora in vigore del 1941, che poneva tra i requisiti di ammissione alle funzioni giudiziarie il fatto di essere “cittadino italiano”, con la specifica “di sesso maschile”.

Ci sono voluti ben quindici anni dopo l’entrata in vigore della Costituzione (e ben n. 16 concorsi per uditore giudiziario, con un totale di 3127 vincitori, dai quali le donne erano state indebitamente escluse), per avere l’affermazione del principio di uguaglianza fra i sessi nell’accesso in magistratura.
– fonte: donnemagistrato.it

Quante donne competenti avrebbero avuto diritto a stare tra queste migliaia di vincitori uomini?
La Storia della donna, lo sappiamo, è sempre stata la storia di una cancellazione.
In tutti i settori.

Il primo concorso aperto alla partecipazione delle donne fu bandito il successivo 3 maggio 1963 e fu vinto da otto donne, che entrarono in servizio il 5 aprile 1965: Letizia De Martino, Ada Lepore, Maria Gabriella Luccioli, Graziana Calcagno Pini, Raffaella D’Antonio, Annunziata Izzo, Giulia De Marco, Emilia Capelli.
– fonte: come sopra

La situazione oggi è cambiata? I dati quantitativi ci dicono di sì, ma come spiega Francesca Tacchi:

Se parliamo di femminilizzazione dell’avvocatura, infatti, non possiamo riferirci ai suoi vertici, tanto che continua a persistere il paradigma del “soffitto di cristallo”. Il fatto che sia ipotizzato un sorpasso delle donne avvocato sugli uomini (dopo quello già avvenuto all’Università), ma che siano sempre piuttosto poche le avvocate – e le magistrate – negli organi decisionali, conferma l’esistenza di una strozzatura, di una selezione informale che continua a rendere faticoso, pur nel contesto delle “pari opportunità”, l’accesso a posizioni di prestigio nel campo giuridico, come del resto in tanti altri settori, dall’economia alla cultura e alla pubblica amministrazione in genere. Se i vertici della piramide decisionale e gestionale restano in mano agli uomini, la famosa barriera invisibile è difficile da infrangere, per quanto inizino a intravedersi alcune crepe.

È in questo contesto che l’uscita del Professor Mitola va presa per quello che è: non un rigurgito, ma un’espressione ancora viva e vitale – sebbene ferita dalle battaglie femministe del passato e dalla nuova e stavolta inarrestabile (è più di una speranza!) consapevolezza femminista – di un maschilismo millenario, preoccupato di mantenere il proprio privilegio e incapace di pensare a un diverso e più equo assetto sociale e mondiale.

Non a caso, il Professor Mitola amplia la sua lezione alla crisi della famiglia e alla colpa della donna che si allontana dal focolare domestico per la soddisfazione individualistica del proprio ego e della propria carriera. Parole masticate e sputate da altri anche queste, paradigmi maschili del privilegio, come mostrano queste righe di Paul Julius Möbius, nipote del famoso matematico August Ferdinand Möbius:

La deficienza mentale della donna non solo esiste ma è necessaria. Se noi vogliamo una donna la quale sappia adempiere bene al suo compito materno, è necessario ch’essa non abbia un cervello mascolino. […] Le esaltate modern-style partoriscono male e sono pessime madri. Proporzionalmente alla diffusione della «civilizzazione» diminuisce la procreazione, quanto migliori divengono le scuole, di tanto in tanto peggiori diventano i puerperi e tanto più scarsa si fa la secrezione del latte, insomma tanto pià inadatte alla loro funzione diventano le donne.

Möbius sull’idea di un’inferiorità biologica e fisiologica della donna ci fece la sua carriera di scienziato e neurologo, scrivendo un’opera che ebbe persino successo: L’inferiorità mentale della donna, pubblicata nella prima versione italiana da Einaudi con la nota in copertina “Una fonte del razzismo femminile” e un’introduzione di Franca Ongaro Basaglia, in si legge:

Moebius si preoccupa di dimostrare (negando che in questa sua dimostrazione ci sia un implicito giudizio di valore) l’inferiorità fisiologica della donna rispetto all’uomo, per dedurre la necessità di continuare ad escluderla dal gioco sociale.

Ci fermiamo qui, ché radunare tutti le singole vicende e affermazioni de Il Grande Libro del Privilegio Maschile, l’abbiamo detto, sarebbe un lavoro infinito, non foss’altro che è in continuo aggiornamento (e tocca darsi un limite in questa sede). Urgeva semmai, provare a visualizzare, come non si tratti di singole uscite sporadiche, di fatti, eventi, parole scollegati nel tempo e nello spazio (da qui l’idea dell’immagine del grande libro).

Si sono citati grandi nomi (intendo di donne) in questo pezzo, ma vale la pena aggiungerne un altro, imprescindibile. Quello di Carla Lonzi, che scisse:

Non salterà il mondo se l’uomo non avrà più l’equilibrio psicologico basato sulla nostra sottomissione.

O serve che questo equilibrio invece salti? E si palesi in tutta la sua parzialità, in tutto il suo progetto criminoso e criminale che, in molti uomini e molte donne pure, non si esprime come volontà di danneggiare la donna, ma come abitudine millenaria perpetrata “in buona fede”.

È tempo che il velo crolli: in questo senso serve prendere coscienza dell’enciclopedia del Privilegio e della Menzogna maschile.
Non sorridiamone come di un qualcosa che appartiene al passato, non è così: è un cancro che ha radici solide nella nostra società, pronto a invadere il corpo delle donne appena si abbassa la guardia. Lo vediamo ogni giorno, ogni giorno lo sperimentiamo sulla nostra pelle e su quella delle altre donne.
Verrà un giorno in cui quel volume sarà buono come ferma porta, forse. Oggi non è quel giorno.
Oggi tocca lottare e vigilare.

Bibliografia essenziale:

  • Simone de Beauvoir, Il secondo sesso, Milano, Il Saggiatore, 2016
  • Paola Di Nicola, La giudice. Una donna in magistratura, Milano, Ghena, 2012
  • Carla Lonzi, Sputiamo su Hegel. La donna clitoridea e la donna vaginale e altri scritti, Scritti di Rivolta Femminile, Milano 1978
  • Paul-Julius Moebius, L’ inferiorità mentale della donna, Milano, Einaudi, 1978
  • Francesca Tacchi, Eva togata. Donne e professioni giuridiche in Italia dall’Unità ad oggi, Torino, Utet, 2009
  • Virginia Woolf, Una stanza tutta per sé, Milano, Feltrinelli, 2011

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