"Figli" di Mattia Torre: “Fare figli è una cazzata” o forse no

Qual è il senso della maternità (e della paternità) in questa Italia così ostile alle donne e alle giovani coppie? È davvero come scrive l'autore di Boris: “I figli ti invecchiano, ma il tuo cuore non è mai stato così grande”?

Nel luglio del 2019 ci lasciava lo sceneggiatore Mattia Torre, la cui eredità morale è rappresentata dal film Figli, in cui racconta tutte le problematiche della coppia, ma soprattutto femminili, rispetto alla genitorialità.

Ansia da prestazione, sovraccarico di responsabilità, angoscia profonda per non riuscire a conciliare la maternità e la voglia di fare figli con la propria realizzazione come individuo: una donna italiana che oggi decida di diventare madre è spesso alla mercé di mille dubbi e paure, non sempre fugate dalla nascita del figlio. Soprattutto se si tratta del secondo.

Andrà tutto bene?”, continua a chiedere Sara, interpretata da Paola Cortellesi, a suo marito Nicola (Valerio Mastandrea), nel film. “Dimmelo ancora che andrà tutto bene”, ripete come un mantra prima di entrare in sala parto e nei giorni a seguire, quando dovrà barcamenarsi tra lavoro e neonato, senza l’aiuto né dei propri genitori pensionati né di un welfare in grado di garantire le strutture necessarie a che anche lei, donna e madre, torni al lavoro e alla sua vita dopo la gravidanza.

A leggere i dati che confermano la natalità zero di cui è vittima il Paese c’è da supporre che non sono in tanti a scommettere che davvero andrà tutto bene: nel 2018 sono stati iscritti in anagrafe per nascita 439.747 bambini, il minimo storico dall’unità d’Italia.

Le ricerche indicano nell’incertezza e nella precarietà del lavoro, così come nei salari bassi, alcune delle cause strettamente legate al fenomeno delle culle vuote; eppure sempre più giovani, sia uomini che donne, non intendono rinunciare alla carriera – o alla libertà tout court – per far posto ai bambini. E chi continua a nutrire il sogno di una famiglia deve rapportarsi a un contesto culturale ed economico che in Italia disincentiva la parità: mentre gli uomini con prole risultano più attivi sul mercato del lavoro, per le donne vale esattamente il contrario. Maternità e lavoro sembrano davvero non ad andare d’accordo dalle nostre parti.

D’altro canto, un’arretratezza culturale di fondo, che meno si riscontra negli altri paesi dell’Unione Europea, tende a vedere nella figura femminile l’unica in grado di sobbarcarsi gli onori e gli oneri della gestione della famiglia. Esempio lampante – e demoralizzante – l’utilizzo a scherno da parte di alcuna stampa della parola “mammo” per l’uomo che decida di beneficiare del congedo parentale, grazie al quale possa assentarsi dal lavoro per assistere il neonato e rafforzare così l’importanza della figura paterna.

È stato lo stesso Valerio Mastandrea, durante la conferenza stampa seguita alla presentazione del lungometraggio ai giornalisti, a far presente che “oggi in Italia andrebbe combattuta soprattutto l’immagine della madre vista come donna che deve rinunciare a tutto per i figli”. Stereotipo duro a morire, nutrito come è da pregiudizi incancreniti e da una parità di genere ancora lontanissima a venire. Stereotipo che a volte ha la meglio sul desiderio – non da tutte condiviso, c’è da sottolineare – di maternità.

Figli di Mattia Torre: la scheda

Paola Cortellesi e Valerio Mastandrea in Figli di Mattia Torre (Foto: ufficio stampa)

Di questo e di molto altro parla Figli, uscito il 23 gennaio 2020, che vede Paola Cortellesi e Valerio Mastandrea protagonisti di un’acre ed esilarante commedia a firma del geniale – e purtroppo prematuramente scomparso nel luglio del 2019 – Mattia Torre.

Nato dal monologo teatrale I figli ti invecchiano, scritto da Torre e reso virale sul web dallo stesso Mastandrea dopo la messa in onda nella terza puntata di E poi c’è Cattelan a teatro (lo show di Alessandro Cattelan in onda su Sky dal Teatro Franco Parenti di Milano), l’adattamento cinematografico è diretto da Giuseppe Bonito, aiuto regista di Mattia Torre nella serie tv cult Boris e regista della seconda unità nell’altrettanto celebre La linea verticale (8 puntate andate in onda su Rai3 nel 2018, basate sull’omonimo libro in cui lo stesso Torre ha raccontato con caustica ironia la sua esperienza di paziente oncologico).

Da quel nucleo iniziale, in cui in nuce c’era già tutto, nasce dunque il film prodotto da Wildside e Vision Distribution.

In una Roma desolata, Capitale di un Paese sempre più per e di vecchi, Sara e Nicola, quarantenni di una middle class italiana in via di estinzione, affrontano l’arrivo del secondo figlio, che come un sisma improvviso sconquassa equilibri ormai raggiunti da tempo. Sullo sfondo nonni che rifiutano il ruolo di baby sitter e altre caricaturali tipologie di genitori, altrettanto disperati: quelli con prole numerosa, i “bio” costi quel che costi, i ricchi che si fanno sostituire nel ruolo genitoriale da coppie di colf filippini, il padre separato ed erotomane, preda di mille sensi di colpa derivanti dal non occuparsi abbastanza della progenie.

Il film di Mattia Torre: perché andare al cinema a vederlo

Valerio Aprea in Figli di Mattia Torre (Foto: ufficio stampa)

Forte di una sceneggiatura serrata e di due interpreti affiatati e completamente in parte (ma sono bravissimi anche i comprimari, quasi tutti arrivati dalla premiata ditta che ha dato alla luce quel gioiello che è stato Boris), Figli di Mattia Torre ha il grande merito di sfruttare i luoghi comuni per gettare una luce rivelatrice e divertita su problemi cogenti dell’attualità.

Con tratto lieve, eppure mai superficiale, mette in scena alcune delle questioni inderogabili che affliggono l’Italia di questi anni: il sostegno dello Stato assente nei confronti delle giovani coppie, il precariato professionale- ed esistenziale – dilagante, la necessità di misure innovative rispetto al diritto del neonato a un’adeguata assistenza.

Nella Roma del 2019, Sara e Nicola devono fare affidamento sulle sole loro forze, districandosi tra infinite discussioni di coppia. Impossibile non ci si identifichi in almeno qualcuna delle loro liti: lei è multitasking, lui si sente un eroe dopo un solo pomeriggio trascorso con l’infante; lei vuole tornare a lavorare, lui si lacera per la comprensione che l’essere madre non sia un punto di arrivo per una donna, eppure proprio non riesce ad affrontare da solo il pianto incessante del suo secondo figlio e le recriminazioni della moglie, che lo accusa di non impegnarsi abbastanza in casa.

Unica via d’uscita dal cul-de-sac in cui il secondo figlio li ha gettati è il lavoro di cesello, certosino, che deve imporsi la coppia. È solo insieme – e con la voglia di farlo – che Sara e Nicola potranno salvarsi.

Fare figli è una cazzata”, sbotta il padre divorziato interpretato da Valerio Aprea. “I figli ti invecchiano”, ma d’altra parte “il tuo cuore non è mai stato così grande”, risponde la penna di Mattia Torre, che consegna postuma una commedia a tratti amara, ma piena di speranza. Resistere, all’arrivo del secondo figlio e a un Paese sempre più ostile (soprattutto per le donne, viene da aggiungere) è difficile ma non impossibile. Più difficile, invece, dover fare a meno di Torre e della sua ironia.

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