Il Royal Baby tanto atteso è finalmente nato: Meghan e Harry, coppia d’oro della famiglia reale inglese che ha fatto sognare milioni di ammiratori, sono diventati genitori di un bel maschietto il 6 maggio 2019.

La loro fiaba moderna si arricchisce dunque di un nuovo capitolo, ma i retroscena e i gossip, come del resto sempre accade quando si tratta di loro, sono destinati anche in questo caso a non mancare.

Cosa ha reso così appassionante, per milioni di sconosciuti in ogni angolo del globo, la storia d’amore tra il secondogenito di Carlo e Diana e l’ex attrice di Suits? Sicuramente, il fatto di avere per protagonisti due veri e propri ribelli, che da quando si sono messi insieme hanno fatto ampiamente capire di fregarsene dell’etichetta di corte e del protocollo.

Lo aveva fatto capire Harry per primo, innamorandosi di una star della televisione, non anglicana, già sposata e divorziata, più grande di lui e per giunta afroamericana. Con buona pace delle reticenze della Regina, che in ogni caso potrebbe aver accettato tutto questo ben sapendo che il nipote è molto lontano dal trono, preceduto non solo dal fratello William, ma anche dai figli di quest’ultimo.

Lo hanno fatto, una volta insieme, allontanandosi dai cognati Duchi di Sussex per scegliere un’altra residenza – il Frogmore Cottage – e aprendo persino un account social personale, Sussex Royal.

Ma, al di là delle “trasgressioni” dei Duchi di Sussex, che hanno certamente contribuito a renderli più vicini alla gente comune, e perciò amatissimi, c’è un punto su cui molti stanno già soffermandosi, dopo la nascita del primo erede: che sarà il “primo bambino afroamericano nato nella famiglia reale”.

Su questo aspetto un’analisi di John Blake per la CNN ci spinge a una riflessione doverosa: prima di tutto, che il rischio che questo bambino venga visto alla stregua di una “grande speranza per la razza mista” è concreto. Un po’ come successo nel 2008 con l’elezione di Obama, sulla cui educazione biracial sono state riposte tutte le speranze di superare le differenze razziali. Come se questo da solo potesse essere sufficiente.

Credere che le unioni interrazziali da sole bastino a superare decenni di ignoranza, superstizione e pregiudizio è abbastanza utopico, e vagamente ingenuo.
“Penso che la nascita del loro bambino rappresenterà un simbolo di speranza, ma oscurerà il duro lavoro che deve essere fatto per ottenere un vero accesso e l’uguaglianza per i neri negli Stati Uniti e nel Regno Unito”, ha detto Nsenga Burton, redattore di The Root, una rivista online dedicata alla cultura afro-americana.

Gli stereotipi sulla razza sono già pronti a saltar fuori, assicura Blake. E chissà se basterà la determinazione di Meghan Markle, che ha già fatto largamente capire che tipo di madre sarà, parlando con orgoglio di Doria Ragland, la sua, di madre, e scegliendo per il suo matrimonio il vescovo di colore Michel Bruce Curry, che in quel giorno ha tenuto un sermone. Molti segnali per ribadire l’orgoglio di essere black, per far capire, afferma Tanya Kateri Hernandez, autrice di Multiracials and Civil Rights: Mixed-Race Stories of Discrimination, “che sì, avrebbe fatto parte di questa famiglia reale, ma non avrebbe lasciato indietro sua madre e le sue origini”.

Eppure, continua Blake, il punto da cui si parte è sbagliato:

Le aspettative epiche per arrivare alla razza mista mi ricordano in qualche modo la ‘Grande Speranza Bianca’. Era il soprannome dato a un pugile bianco nei primi anni del XX secolo, che è stato abbattuto da Jack Johnson, il primo campione dei pesi massimi neri. Le aspettative di un’intera gara sono state poste sulle sue spalle.
Ha perso. Lo faremo anche noi, se continueremo ancora ad avere l’idea della supremazia bianca mentre celebriamo la nascita del bambino reale.
Le persone sono infatti ossessionate dall’aspetto e dall’identità razziale che avrà il nuovo Royal Baby.

Appena diffusa la notizia della nascita erano già cominciate quindi le domande: quanto sarà scuro? Sarà nero?

Oggi, con le prime immagini del Royal Baby, conosciamo il suo aspetto, ma il problema di fondo è un altro.

Il fatto, spiega Blake, è che ancora oggi la mentalità, alla fine, è quella in vigore all’epoca delle leggi Jim Crow [una serie di leggi locali e dei singoli stati degli Stati Uniti d’America emanate tra il 1876 e il 1965, ndr.], ossia quella “dell’unica goccia”, in cui “Qualcuno potrebbe essere bianco al 99%, ma se avesse una goccia di sangue nero è da considerarsi nero. In ogni unione interrazziale, il bambino è sempre assegnato alla razza subordinata – allora e oggi, anche se è il Royal Baby“.

Poi c’è la preoccupazione per l’esatta mescolanza razziale del bambino reale. Questa è un’altra reliquia dell’era di Jim Crow, quando la gente parlava delle persone di razza mista come quadroon o ottoroon [rispettivamente, persone con un quarto e un ottavo di ascendenza africana, ndr.]
È ironico che alcune persone puntino alla nascita del bambino reale come l’alba di una nuova era razziale, pur utilizzando sempre lo stesso linguaggio e le idee razziali dell’era di Jim Crow.

Certamente, come ha sottolineato Stacey Moultry, professoressa in visita al Dickinson College in Pennsylvania “Vedere la famiglia reale alle prese con suoceri e familiari di discendenza africana sarà importante, dal momento che molte famiglie in Gran Bretagna e negli Stati Uniti hanno già dovuto affrontare questo problema”.

Certo, questo bambino potrebbe, agli occhi dell’opinione pubblica, smantellare il binomio tra potere e pelle bianca, come afferma Roberta Chevrette, un’assistente professoressa della Middle Tennessee State University che studia la retorica di razza e genere, ma non lo si può dare per scontato. Soprattutto analizzando esempi del passato, con protagonisti proprio membri della famiglia reale inglese.

Prendiamo la regina Charlotte, moglie di re Giorgio III e discendente del ramo nero di una famiglia reale portoghese.
“Il suo regno non ha fatto nulla per migliorare le vite dei milioni di neri sotto il suo governo, inclusi gli schiavi negli Stati Uniti del Sud o di possedimenti britannici nei Caraibi”, ha scritto Chinyere Osuji, un sociologo, in un saggio sulla coppia reale.

Lo stesso, dice Blake, vale per Obama, i cui detrattori sostengono che non  abbia potuto e voluto fare abbastanza per gli elettori neri, poiché si sarebbe inviso troppi elettori bianchi.

Molti vogliono che le persone di razza mista diventino simboli di cambiamento. Ma non vogliono che conducano un vero cambiamento, dice Burton, della rivista The Root. ‘La nascita del loro bambino offre una simbolica speranza di riconciliazione razziale, ma come abbiamo imparato con altre persone mulatte di alto profilo è tutto semplice quando le cose vanno bene, non lo è necessariamente quando si dovrebbe lavorare per creare equità e cambiamento permanente attraverso la politica’, dice Burton.

Se la nascita di un bambino reale di razza mista non simboleggia il vero cambiamento, allora cosa succede? Alcuni affermano che il cambiamento possa avvenire solo attraverso l’organizzazione, i cambiamenti politici e i cambiamenti culturali che portano a un punto in cui le migliori scuole, posti di lavoro e posizioni non siano riservati solo agli uomini bianchi. Ma io penso che ci sia bisogno di qualcos’altro, e così anche altri che studiano la razza. Dobbiamo sbarazzarci della razza. Il razzismo non è il peccato originale; lo è la razza.

Vi siete mai chiesti da dove arrivi l’abitudine di assegnare una ‘razza’ alle persone in base al colore della pelle? Perché non importa in quale paese siate nel mondo, di solito c’è una gerarchia di colori in cui le persone dall’aspetto più bianco sono in cima e quelle più scure sono in fondo alla scala socio-economica? La razza – la concezione moderna di ‘neri’ e ‘bianchi’ – è stata creata per giustificare il commercio globale di schiavi, dicono gli storici. Le persone hanno notato differenze di colore della pelle nel mondo antico ma non hanno assegnato automaticamente meno intelletto e bellezza a coloro che erano più scuri.

È stato “il bisogno di giustificare moralmente la schiavitù di altri esseri umani” a spingere gli europei a inventare una mitica “essenza razziale biologica di inferiorità per le persone di origine africana”, sostiene Susan Peppers-Bates, professoressa associata di filosofia alla Stetson University in Florida.

Insomma, il fatto è che non può bastare un Royal Baby con sangue afroamericano per liberarsi da secoli di convinzioni assurde sulla supremazia bianca, e alla fine non è questo che dovrebbe importare. Dovrebbe contare solo il fatto di trovarsi di fronte a un bambino, che potrebbe essere bianco, mulatto, forse creolo con i capelli rossi, e trovarlo comunque stupendo.

E la preoccupazione principale non dovrebbe essere di caricare il figlio di Harry e Meghan del fardello di liberare il mondo – partendo dal Regno Unito – del male dell’intolleranza razziale, ma che cresca come un bambino sereno e sano, amato dai suoi genitori. Ecco, questo conta.

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