La bellezza, ingenua e acerba, del sorriso di Anna Frank e la T-shirt che paragona Auschwitz a un parco divertimenti stile Disneyland.

Queste due immagini stridono terribilmente fra loro, per la potenza evocativa che proprio la loro diversità e il loro essere antitetiche scatena; perché da un lato c’è il volto che è diventato icona e simbolo di un genocidio mai dimenticato, dall’altro l’irridente – e dichiarata – volontà di calpestare la memoria di quei morti, di denigrare e persino rinnegare la gravità di fatti che appartengono sì al nostro passato, ma da cui tutti, tutti, ancora oggi, dovremo sentirci toccati e affranti.

La T-shirt con la scritta “Auschwitzland” indossata da Selene Ticchi durante le celebrazioni dell’anniversario della marcia su Roma del 1922, a Predappio, notoriamente luogo di culto per i nostalgici fascisti, ha il sapore di una vera e propria presa in giro, di un’umiliazione, per chi i campi di concentramento li ha vissuti, per chi in quei lager ha perso qualcuno, per chi ha convissuto o convive, da oltre settant’anni, con impresse nella testa le parole che “accoglievano” i deportati all’ingresso, Arbeit Macht Frei – il lavoro rende liberi, sempre per restare in tema di umiliazioni e scherni – e sulla pelle il marchio che li rendeva nient’altro che bestiame, da far lavorare o da mandare al macello.

Molte riflessioni potrebbero essere fatte, molte cose rientrano nella lista dei “da dire”. Prima di tutto, che le scuse, o presunte tali, che la militante di Forza Nuova, candidata nel 2017 come sindaco di Budrio nella lista “Aurora Italiana” (appare chiaro il riferimento ai fascisti greci di Alba Dorata, giusto a dire che la Ticchi, nel fascismo, ci crede davvero) ha presentato dopo aver capito di “aver fatto la frittata”, lasciano il tempo che trovano. Quella T-shirt che tanto ha suscitato scalpore – e non è difficile capire perché – lei, intervistata proprio nel corso della commemorazione storica a Predappio, l’ha definita come “humour nero”.

E già questo basterebbe per sentirsi profondamente, terribilmente, irrimediabilmente indignati. Perché se si arriva a definire humour nero una maglietta che paragona luoghi di tortura, di detenzione, di morte che sono costati – lo dicono le stime più recenti – la vita a 7-8 milioni di persone, a un parco giochi, allora non si è ironici, ma cattivi. Irrispettosi e cattivi.

Come se non bastasse, forse nel goffo tentativo di “metterci una pezza”, in un secondo momento la Ticchi, una che afferma con gli occhi brillanti per l’orgoglio che “Mussolini per l’Italia ha fatto molto, da 70 anni a questa parte nessuno ha fatto nulla, né per l’Italia né per gli italiani”, ha spiegato, come riporta Vanity Fair, che quella maglietta l’ha scelta “a caso”. Così, candidamente, in maniera del tutto innocente, come se l’avesse vestita la mamma o si fosse buttata al buio nell’armadio.

Sto vivendo un momento molto stressante della mia vita. Sono stata ingenua e disattenta e ho messo la prima maglietta che ho trovato a casa… La maglietta con la scritta ‘Molti nemici molto onore’ mi stava stretta. Quell’altra, ‘Meglio morire in piedi che una vita in ginocchio’ aveva un buco.

Eh già, l’annoso problema che hanno tutte le donne del mondo di fronte a un armadio, quello del “Ma cosa mi metto?”. E così lei sceglie una T-shirt – che noi, sinceramente, chi chiediamo anche chi possa avere il coraggio di produrre e mettere in commercio – inconsapevole (?) del putiferio che quella scritta avrebbe potuto creare.

Una cosa, però, va comunque detta: tutto questo, per quanto non accettabile e discutibile, non può e non deve giustificare in alcun modo la violenza verbale veemente e feroce con cui la Ticchi è stata inveita. Parlare in maniera volutamente offensiva del suo aspetto fisico, commentare i suoi “tripli menti”, come qualcuno ha scritto sui social, non solo non fa onore a chi si rende autore di un tale atteggiamento, ma non fa bene neppure alla causa antifascista. Che non può e non dovrebbe mai scadere in una becera rissa da bar spostata nel virtuale, ma elevarsi su ben altri livelli proprio in virtù del forte ideale che si sta ribadendo.

Anche perché, la Ticchi non è che un’unità all’interno di un tutto, una persona fra le molte che ancora inneggiano a Mussolini e festeggiano, a distanza di 96 anni, la marcia su Roma. Insomma, il problema non è solo Selene Ticchi che si presenta con la T-shirt sui lager, ma è decisamente più ampio, più espanso. A Predappio, il 28 ottobre, erano in duemila: duemila con croci celtiche, magliette nere, con slogan che chiedono “Onore al Duce” e simboli di aquile e fasci littori ovunque.

Significa che, in Italia, ci sono almeno duemila nostalgici del fascismo (sicuramente molti di più, crediamo); fra loro, molti sono giovani, quelli stessi che poi magari a scuola storcono il naso se si tratta di studiare la storia italiana ma sono fieri e felici di andarsene in giro inneggiando al ritorno di qualcuno che conoscono solo per sentito dire, solo perché “fa figo e ribelle” dichiararsi fascista e dichiarare “W il Duce che ci guida e ci conduce”. Persone che non hanno la minima cognizione di causa rispetto a ciò che il fascismo abbia rappresentato per l’Italia (basterebbe ascoltare i racconti di qualche nonno, a volte) ma vivono serenamente nella convinzione che Mussolini abbia”fatto le pensioni” e che poi, si sa, “col fascismo almeno i treni arrivavano puntuali”.

Ma la nostra Costituzione prevede l’apologia di reato, com’è possibile che ai nostalgici del fascio venga concessa la possibilità di organizzare manifestazioni come quella di Predappio o di vendere gadget con la faccia di Mussolini? La questione, in realtà, è leggermente più cavillosa di quanto si possa pensare: perché il reato previsto dall’art. 4 della legge Scelba attuativa della XII disposizione transitoria e finale della Costituzione, Apologia del fascismo, sanziona la propaganda a favore della ricostituzione del partito Fascista, non la semplice “difesa elogiativa”, come stabilito dalla Corte Costituzionale con la sentenza 1/1957. A livello legale, dunque, difendere ed elogiare il fascismo non costituisce reato, fintanto che non si profili l’ipotesi di una ricostituzione del PNF. Piaccia o no, le magliette “Molti nemici molto onore” non rientrano nell’illegalità come intesa dalla Costituzione.

A tutti i fascisti di nuova generazione, però, ci sentiamo di dire una cosa, non per fomentare odio, ma per invitarli a una considerazione: ha ragione il produttore discografico, sceneggiatore e firma di You-ng.it Emiliano Rubbi  quando, in questo post, dice

[… Il programma nazista ‘di sterilizzazione e sterminio’ dei disabili, dei ritardati mentali, degli affetti da sindrome di down, dei portatori di malattie genetiche ereditarie (o considerate tali), degli schizofrenici, degli epilettici, degli affetti da sifilide o da demenza senile, di tutti coloro che rappresentavano, nel delirio nazista, una qualche forma di ‘devianza’ dall’idea ariana di ‘razza superiore’.
[…] I bambini ‘inadatti’ (definizione nazista per indicare ogni genere di handicap fisico o ritardo mentale), invece, non arrivavano mai ad ‘Auschwitzland, perché venivano soppressi prima.

In foto, una persona che ignora che, molto probabilmente, sotto il nazismo, non sarebbe arrivata viva all’età per indossare quella maglietta.

Perché di “ariani veri”, o “puri”, nel senso in cui Hitler e i suoi seguaci intendevano, ce ne sono ben pochi, e infatti nei campi di concentramento non ci finivano “solo” gli ebrei, ma moltissime altre persone la cui sola colpa era non essere nata secondo i canoni previsti dal Führer; non per niente, è storicamente risaputo che Hitler stimasse Mussolini ma non il popolo italiano in generale, definito dal carattere imbelle, pavido, indolente. Per quanto riguarda poi il concetto stesso di razza ariana, Hitler considerava solo l’Italia settentrionale come “rispondente ai requisiti”, non la parte meridionale del paese; anzi, i nazisti interpretarono la caduta dell’impero romano d’Occidente proprio come il risultato dell’inquinamento del sangue dovuto alla mescolanza razziale, e sostennero che gli italiani fossero un ibrido di razze, in cui era presente anche una componente di razza negroide africana. Era una cosa risaputa, dato che Hitler rese nota tale visione sulla presenza di sangue negro nei popoli mediterranei durante il primo incontro con il Duce, nel 1934.

Ai sostenitori presenti in massa a Predappio, dunque, va detto questo: ebrei, gay, malati, disabili, comunisti, dissidenti… vi erano parecchi motivi per finire in un lager. E molti, fra loro, sarebbero morti ben prima di arrivarci. Non è cattiveria, è realtà. Che chi accosta i lager a Disneyland dovrebbe riconoscere con un briciolo di obiettività in più. Ricordandosi, magari, anche che l’ignoranza non è e non può essere mai un’opinione, né un pretesto dietro cui trincerarsi. Che, anzi, proprio lì giace spesso la panacea di tutti i mali; quelli contro cui non si dovrebbe lottare ad armi pari, cioè con altro male (ecco perché le offese alla Ticchi sviliscono la discussione e aggiungono solo livore), ma con la bellezza, quella, ad esempio, del volto di Anna Frank.

Un sorriso con una luce che nemmeno il buio della notte più lunga potrà mai spegnere.

Un aforisma recita

Metti un’uniforme a un ignorante e diventerà dittatore.

Forse, varrebbe la pena fermarsi un attimo a riflettere su quanto sia vera questa frase.

La discussione continua nel gruppo privato!
Seguici anche su Google News!