Le nostre personali storie d’amore con gli artisti che seguiamo nascono, nella maggior parte dei casi, dalla sensazione di essere stati smascherati nelle nostre emozioni più profonde da un estraneo, che all’improvviso sospettiamo abbia vissuto nascosto nella nostra pelle per anni.

Succede però a volte, come nella realtà, che l’amore nasca dall’ostilità, da un “io quello lì mai!”.

Per fare giusto un esempio a caso, è un po’ come se qualcuno ti dicesse:

Hai sentito la versione che ha fatto Diodato della canzone di De André “Amore che vieni, amore che vai”?

E tu avessi seduta stante già democraticamente deciso che Diodato non si deve permettere, sì è bravo ma Fabrizio De André non lo deve neppure nominare, che manco Freddie Mercury avrebbe potuto farne una cover, al massimo Leonard Cohen, giusto per ricambiare.

Poi ascolti la sua versione di Amore che vieni, amore che vai (colonna sonore del film Anni felici di Luchetti, contenuta in E forse son pazzo, 2013), e decidi che lui può. Quel ragazzo introverso ti stupisce sul palco di Sanremo, nella sezione Nuove Proposte, quello stesso anno, con la narrazione solo apparentemente delicata di Babilonia (una perla, riconosciuta da Paolo Virzì e da Mina, che spende parole a riguardo su Vanity Fair): questa potenza non te l’aspettavi.

Da lì solo tante conferme e un percorso in crescita.
Per te, per il pubblico, per la critica Diodato diventa il “cantautore raffinato”, quello elegante, da maneggiare e ascoltare con cura in un panorama musicale che troppo spesso definisce cantautorato qualche compito, più o meno ben fatto, di musica e parole.

Diodato è un cantautore e, anche laddove fa l’interprete, resta autore: in A ritrovar bellezza (2014),  le canzoni altrui le omaggia rendendole nuove canzoni e plasmandole, con l’aiuto illustre di altri che di musica se ne intendono, da Manuel Agnelli con cui duetta ne La voce del silenzio, a di nuovo Roy Paci e i Velvet Brass per Arrivederci di Bindi.

Poi lo incontri, temporaneamente accampato in una casa ai margini del centro di Milano prestatagli da un amico, in attesa di concludere il trasloco e lui se la ride di quel “Diodato, il cantautore raffinato” e assicura e rivendica il suo lato “cazzone” da 37enne qualsiasi, la cui gentilezza e il cui tatto sembrano costituire un’eccezione in un panorama artistico e social dove l’assenza di eccesso e di urla non è “normalità” ma “eleganza”.

“Come vedi ho giusto qualche vestito, un paio di libri prestati, ma mi sono portato tastiera e chitarra, perché sì sto scrivendo, anche se fino a ottobre starò fermo il meno possibile”.

Per la cronaca, il Diodato Tour Estate 2016 si concluderà con una festa il 6 ottobre 2018 a Roma e c’è da aspettarsi qualche sorpresa, stando alle recenti dichiarazioni in sede di Festival di Venezia, che ha visto Diodato ospite insieme a Roy Paci, in quanto i due hanno regalato la canzone dello scorso Sanremo, Adesso, a La notte prima, il cortometraggio diretto da Annamaria Liguori che parla delle donne con tumore al seno metastatico.

Si parla di musica; Diodato improvvisa qualche pezzo a cappella con Lucky, la sua fedele e super vissuta chitarra e una voce quella sì, raffinata e potente; si parla di amore, di errori del passato, di bellezza, di come e se lui si veda bello e di coraggio che, per Diodato, è donna. Ne esce questa bella intervista video, in cui lui si racconta davanti a uno specchio:

È cambiato, è cresciuto, è sbocciato Diodato. Merito, tanto, anche di Cosa siamo diventati (2017), album di rara bellezza (da cui Mi si scioglie la bocca, Di questa felicità) e dal tour che segue:

Un tempo salivo sul palco e stavo tutto piegato su me stesso, abbracciato alla mia chitarra.
Era timidezza, timore del giudizio degli altri, ma il pubblico era più diffidente. Come fai a fidarti di una persona che ha quell’atteggiamento?

Pian piano ho cominciato a fidarmi di me e del pubblico e a lasciarmi andare. Ho iniziato a essere sincero al 100%, senza farmi frenare dalla paura del giudizio, che è poi un po’ il concetto del “vivere adesso”.
Quando riesci a raccontarti il pubblico lo sente: è come se riconoscesse il fatto che hai detto la verità e percepisce un autenticità maggiore.

Senza i trasformismi estremi di un De Gregori, che dal vivo sembra a tratti cantare un’altra canzone da quella che pensavi di intonare con lui a squarciagola, Diodato sul palco trasforma le canzoni e crea ogni volta pezzi unici, serate uniche:

Quando salgo sul palco non premo play: credo che il live sia suonare dal vivo, non fare il compitino.
Mi piace trasformare i brani, mi piace che le canzoni abbiano un vestito diverso.

Si parla di musica e di sogni: di quelle collaborazioni o di quei progetti non in cantiere, ma nel cassetto dei desideri.

Mi piacerebbe collaborare con mondi e generi musicali diversi, abbattere le barriere musicali, quindi non mi pongo limiti…

Non è un caso che, in una recente intervista a Radio Italia, sempre nel contesto del Festival di Venezia, Diodato abbia detto a sorpresa: “Mi piacerebbe scrivere la colonna sonora di un thriller”.

Di fatto non forzo mai le collaborazione, non ho mai cercato qualcuno dicendo facciamo una canzone insieme. Le collaborazioni sono capitate con naturalezza, per sinergia e incontri, in genere con artisti che musicalmente mi conoscevano molto bene (oltre all’album A ritrovar bellezza, si pensi alla collaborazione con Daniele Silvestri in Acrobati).

Si finisce a parlare di Manuel Agnelli e di come gli sia venuto in mente di chiedergli di cantare La voce del silenzio: esperimento riuscitissimo, nato da una scelta che può sembrare anomala se si ragiona per etichette, e si finisce per parlare di talent show:

Lui ha accettato immediatamente: per Manuel Agnelli fare musica credo sia, come per me, anche abbattere le barriere musicali entro le quali si cerca di definire un artista. Ma le barriere, si sa, sono limiti.
È un po’ la stessa cosa che ha fatto scegliendo di partecipare come giudice a un talent show.

Tu lo faresti? Non tutto il pubblico affezionato agli Afterhours lo ha perdonato a Manuel. Il tuo lo accetterebbe:

Non so se sarei in grado, ma non lo escludo.
È vero, alcuni fan di Manuel all’inizio hanno storto il naso, ma credo che poi abbiano capito.

Prova a pensarci: cosa rimane della partecipazione, tuttora in corso di Manuel Agnelli a X Factor?
Tanto e tanto ha ancora da dare. Ha portato in tv una sua visione della musica competente e con intelligenza, consapevole anche che questa esperienza gli avrebbe e gli ha dato un potere diverso per comunicare con e alle persone idee importanti e fare cultura.

Senza quell’esperienza non ci sarebbe per esempio stata la sua trasmissione Ossigeno e la tv non avrebbe avuto un programma televisivo di qualità e di contenuto di quel calibro.

Quanto al mio pubblico sono certo capirebbe: le persone che mi seguono sono molto attente e molto interessate alla mia persona e credo avrebbero fiducia in me.
Sono passato dal centri sociali e Sanremo e hanno capito. A fare la differenza è quello che dicevamo prima: la sincerità.

Che musica ascolta un cantautore “raffinato” come te?

Tutta, anche la trap di cui oggi si dice tanto e male.
Che possa piacere o meno credo sia importante ascoltarla: la trap sta raccontando qualcosa, fosse anche un vuoto. È lo specchio della nostra società e ignorarla è un atto stupido e irresponsabile.

In questo panorama sicuramente Ghali è uno degli artisti più interessanti ed emblematici del momento che vale la pena seguire.

Confesso anche che mi piacerebbe suonare con Ghali o vederlo dal vivo con una band, un’orchestra magari: le sue produzioni sono perfette e quella multiculturalità che lui rappresenta e che è tanto preziosa per la nostra società e per la musica, dal vivo è potentissima.
Ma forse sto applicando il mio background a lui ed è sbagliato. Dico solo che sarebbe bello lavorare con un artista così.

Parli di multiculturalità anche in senso politico?
La multiculturalità del nostro Paese, dell’Europa e del mondo che tanto spaventa alcuni governi è un processo inarrestabile e inevitabile a cui la politica tutta dovrà arrendersi.
Non servirà a nulla ghettizzare, non servirà a nulla gettare benzina sul fuoco: non si ferma l’acqua di un oceano in movimento, senza esserne travolti.

In tutto questo, il ruolo dell’artista è anche politico?
L’arte è politica. Anche una canzone d’amore è politica. E sì, gli artisti in questo hanno una precisa responsabilità.

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