Nel 2010 l’Italia seguì con apprensione la scomparsa e poi il ritrovamento dei corpi di Sarah Scazzi e Yara Gambirasio. E naturalmente le indagini. Ma come abbiamo spiegato in un altro articolo, sono tantissimi i minori, i bambini, che scompaiono quotidianamente nel nulla e a volte le loro ricerche non portano a risultati significativi. Una sospensione per i genitori, i famigliari, gli amici. Nessuna giustizia a volte per le vittime. Come per Cameyi Mossamet, una 15enne bengalese che abitava a Porto Recanati e che fece perdere le sue tracce proprio il 29 maggio 2010.

Lo scorso marzo i parenti di Cameyi Mossamet hanno scoperto una parte della verità. Diciamo una parte perché i resti della giovanissima sono stati ritrovati in un pozzo che costeggia la zona dell’Hotel House di Porto Recanati, un complesso di condomini dipinto dalla stampa come un ghetto per migranti e italiani rimasti in quegli appartamenti. Non si conosce però come sia stata uccisa, né il responsabile di questa morte atroce. La storia è stata affrontata in questi giorni dal Guardian, che ha messo in evidenza come questa storia abbia avuto molto meno risalto di altre – Sarah e Yara comprese – ipotizzando che sia stata trascurata perché la protagonista era una migrante.

Il ritrovamento è accaduto per caso: la polizia stava facendo delle indagini di routine per questioni di droga ed ecco spuntare delle ossa, un femore, che gli esami hanno provato essere di Cameyi Mossamet. All’inizio delle indagini, nel 2010, tutto sembrò puntare a Monir Kazi, il fidanzato ventenne della ragazza, abitante nell’Hotel House, quel palazzone costruito secondo i dettami di Le Corbousier per i villeggianti e poi diventato un ghetto per migranti e una prigione per anziani, dato che l’ascensore non funziona dal 2008.

Il Guardian ripercorre la vita di questa ragazza: Cameyi è giunta nel 2005 in Italia e ha iniziato ad andare a scuola con i suoi tre fratelli – tranne uno rimasto in Bangladesh. Il padre – isolato anche dalla comunità bangladese perché accusato di bere troppo – lavorava in una fabbrica, la mamma era analfabeta. Uno dei fratelli era sordomuto e non aveva ricevuto nessuna istruzione. La scuola però ha aiutato questa famiglia, Cameyi in particolare, facendo emergere il suo talento e la sua intelligenza.

Poi le cose sono rapidamente precipitate. Nel 2009, il padre di Cameyi Mossamet si è ammalato di cancro ai polmoni e ha perso il lavoro. Gli assistenti sociali hanno sistemato una parte della famiglia in un hotel vicino alla stazione. La scuola ha aiutato anche gli altri membri, ha permesso che rimanessero uniti, compreso il padre, finito per strada nonostante soffrisse per la chemioterapia. Ma la giovane Cameyi ha iniziato in quel periodo a percepire la sua famiglia come claustrofobica – come capita un po’ a tutti gli adolescenti di quell’età – cercando ogni occasione per restare fuori casa, andando a tutti i corsi dopo la scuola. Finché una notte non è tornata.

C’è chi pensa che le indagini non siano state approfondite come avrebbero dovuto essere per via dei pregiudizi nei confronti di Cameyi Mossamet, ritenuta troppo emancipata nella comunità bengalese. Si pensò addirittura che fosse stata la famiglia a rapirla per rimpatriarla e “rieducarla”. Ma poi è spuntato il nome di Monir sui diari della ragazzina, la foto di un bacio su MySpace. Si è anche indagato su questo ragazzo, ma non è stato trovato nulla. Prima è andato all’estero, poi è tornato in Italia e infine è stato espulso. Ora le sue tracce sembrano svanite nel nulla.

Nel tempo tutti sembrano aver dimenticato Cameyi. La città di Porto Recanati ma anche l’intera Italia non parla di quest’argomento, non ha parlato di questa storia con la stessa frequenza e lo stesso interesse avuto per Sarah e Yara, quasi coetanee legate da un tragico destino di morte. Cameyi è stata inghiottita dall’Hotel House e con lei la sua innocenza. Anche il suo assassino era lì. Ed è difficile sapere chi sia, è uno scenario inverosimile: la polizia al momento non sa con esattazza chi abita in quel palazzone, non si potrà individuare chi sia andato via da lì negli anni passati. Da quel luogo in cui un anno sembra equivalere a un secolo.

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