Mentre sappiamo che per i Cristiani la Pasqua rappresenta la resurrezione di Gesù dopo tre giorni dalla sepoltura, per gli Ebrei la festività ha tutt’altro valore; il popolo ebraico, infatti, non crede nella figura di Cristo come il Messia, né a quanto scritto nel Nuovo Testamento, quindi la Pasqua si festeggia per altre ragioni.

Il significato della Pasqua ebraica

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Gli Ebrei dicono “Pesach zeman charutenu”, che si traduce come “Pasqua tempo della nostra liberazione”, e con la festività si celebra la fuga degli Ebrei dall’Egitto con la fine della schiavitù. La Pasqua ebraica è la festa centrale del loro ciclo liturgico, raccontata nei capitoli 12-13 e 14 dell’Esodo, dove si racconta soprattutto della notte della traversata del mar Rosso verso la Terra Promessa in cui il Signore forma il popolo d’Israele. Proprio in questa notte nasce l’identità di popolo, e durante questo pellegrinaggio verso Canaan gli Ebrei riceveranno il dono per eccellenza, la Torah, il Pentateuco, sigillo del patto stipulato col Signore: accogliendola, Israele sarà completamente libero di poter servire il suo Dio nella Terra ricevuta in dono.

La Pesach, la Pasqua ebraica, cade nel periodo dal 14 al 22 del mese di Nisan, che in questo 2018 corrisponderà al periodo compreso tra il 30 marzo e il 7 aprile.

I simboli della Pasqua ebraica

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Dall’epoca della diaspora si celebra il Seder di Pesach, il “Servizio della Pasqua”, un pasto commemorativo con diversi elementi simbolici, nel corso del quale vengono lette e seguite scrupolosamente le indicazioni dell’Hagaddah di Pesach, una raccolta di testi rabbinici che illustra dettagliatamente le indicazioni da seguire. Il Seder ricorda la liberazione operata da Dio durante il periodo della schiavitù d’Egitto.

I due principali obblighi legati alla festa di Pesach sono dunque cibarsi di matzah (pane non lievitato) e la proibizione di nutrirsi di qualsiasi cibo contenente lievito durante l’intero periodo della festività. In epoca più esisteva un terzo comandamento, l’offerta dell’agnello nella sera del giorno 14 del mese ebraico di Nisan ed il cibarsi quella stessa notte del sacrificio di Pesach.

Il simbolismo legato al cibarsi di pane azzimo sarebbe legato al ricordo del pane di cui gli Ebrei si cibarono durante l’Esodo, dato che, durante la loro fuga dall’Egitto, non ebbero il tempo di far lievitare il pane. Nella celebrazione del Seder, un passo, da recitare con la matzah in mano recita in effetti “Questo è il pane dell’afflizione di cui i nostri padri si cibarono in terra d’Egitto”.
Le prime due sere si usa consumare la cena seguendo un ordine particolare di cibi e preghiere che prende appunto il nome di Seder, parola che in ebraico significa proprio ordine, durante il quale si narra l’intera storia del conflitto con il faraone, delle 10 piaghe e della fuga finale, seguendo l’Haggadah di Pesach.

Durante il Seder vengono utilizzate tre Matzot (il pane azzimo), tenute coperte da un panno e scoperte durante la lettura di alcuni brani. All’inizio della cena, dopo il Qiddush, viene spezzata in due pezzi quella di mezzo, e una parte di essa viene conservata sotto la tovaglia, per poi essere mangiata dai partecipanti al termine della cena. Talvolta, però, se ne conserva un pezzetto come augurio.

Nella cerimonia un piatto, detto piatto del Seder, è parte centrale della narrazione che precede la cena: questo piatto è solitamente decorato e ha dipinti tutti i principali simboli della festa. Attorno alle tre Maztot, disposte al centro, nell’ordine, vi sono il karpas, solitamente un gambo di sedano che ricorda la corrispondenza della festività di Pesach con la primavera e la mietitura che un tempo era altrettanto occasione di festeggiamento; maror, o erbe amare, che rappresenta la durezza della schiavitù; una zampa arrostita di capretto chiamata zeru’a (rappresenta l’agnello pasquale che gli ebrei sacrificarono nella notte della morte dei primogeniti egiziani) un uovo sodo beitza in ricordo del lutto per la distruzione del Tempio e, per finire, il Charoset, una sorta di marmellata preparata con mele, datteri, mandorle, prugne, noci e, spesso, vino, che rappresenta la malta usata dagli ebrei durante la schiavitù per la costruzione delle città di Pit’om e Ramses. Oltre alla Maror, alcuni, soprattutto in Italia, aggiungono una seconda insalata, la lattuga.

La lettura dell’Haggadah di Pesach inizia con un ricordo in lingua aramaica; quindi si passa al ricordo delle dieci piaghe inflitte da Dio all’Egitto per indurre il Faraone a lasciare liberi gli Ebrei.

Nel corso del Seder vi è l’obbligo di bere quattro bicchieri di vino, secondo alcuni cinque, soprattutto nel Minhag italiano, prima di terminare con alcuni canti tradizionali. Nella tradizione italiana il canto più famoso è Had gadià, la storia del capretto, divenuta celebre anche grazie al rifacimento di ad Angelo Branduardi in forma ridotta, con il titolo La fiera dell’est.
Terminato il pasto, successivo alla prima parte del Seder, si consumano i bicchieri di vino restanti con la recitazione della Birkhat Hamazon, la benedizione dopo il pasto, dopo cui si permette di bere solo acqua e si proibisce di mangiare altro sino all’alba.

È inoltre uso concludere il Seder cantando alcune poesie rituali, o piyutim, soprattutto allo scopo di permettere ai più giovani di prendere parte attiva nella celebrazione del Seder.

I cibi della Pasqua ebraica

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Come detto, dunque, nel corso della Pasqua ebraica vi è il divieto di mangiare Chametz, ovvero cibi lievitati, mentre in genere si consumano cibi simbolici come le verdure o erbe amare (solitamente è la radice di rafano, ma si possono utilizzare anche prezzemolo, cipollotto o sedano), una ciotola con acqua salata per indicare le lacrime versate dagli Ebrei in Egitto, dove inzuppare sedano, cipolla cruda o patata sbucciata e bollita, una ciotola con dentro il Charoset, agnello (o capretto) e, naturalmente, il pane azzimo.

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