Nelle foto che si trovano in rete, Rita Hester sorride, è bella come tante donne nel fiore dei 35 anni. Ma Rita i 35 anni non li ha mai festeggiati, perché è stata assassinata due giorni prima. La causa dell’omicidio: Rita era una transgender e perciò doveva essere, secondo il suo omicida, distrutta. Lei come tanti altri. La transfobia è reale, anche se ci sembra che se ne parli sempre troppo poco. L’anno dopo il suo massacro, è nato il Giorno della Memoria Transgender, introdotto dall’attivista Gwendolyn Ann Smith, che ricorda la mattanza silenziosa dei transessuali che quotidianamente avviene in tutto il Mondo, in alcuni Paesi più che in altri (e purtroppo l’Italia è uno di questi).

Rita Hester, la storia

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Fonte: HECTOR MATA/AFP/Getty Images

Il 28 novembre 1998 un vicino di casa di Rita, a Boston, allerta le forze dell’ordine per via di alcuni rumori che provengono dalla casa della donna. E la polizia la trova accoltellata più volte. La corsa in ospedale non può nulla, il suo cuore si è già fermato. Viene stabilito che l’assassino e la vittima probabilmente si conoscevano, perché non c’erano segni di effrazione. Viene stabilito anche il movente: odio transgender. Ed è un movente assurdo (come sono un po’ tutti quelli di omicidio), che rimarca, come se ce ne fosse bisogno, che Rita è un’autentica martire. Tutto quello che Rita era, una musicista, una donna solare, una grande amica, viene cancellato da un inspiegabile odio.

Siamo appunto nel 1998, il mondo si stava solo affacciando a conoscere l’universo trans. I media non erano preparati. Non è una scusante, ma solo la premessa di quello che poi sarebbe accaduto: nessuno, raccontando la storia di Rita nella cronaca, riuscì a utilizzare i pronomi personali correttamente. È una cosa che purtroppo capita qualche volta ancora adesso, in barba a tutti i corsi di formazione sul tema che possono interessare coloro che si occupano di comunicazione. Poi c’è anche chi la fa apposta a sbagliare il pronome, per cattiveria. Perché l’unica cosa che può fare è sminuire chi ha di fronte non riconoscendolo per chi è. I parenti di Rita se n’ebbero giustamente a male all’epoca. Il danno e la beffa. Tuttavia, il mondo è anche pieno di persone intelligenti, che riuscirono a rendere meno vano il sacrificio della transgender statunitense.

Transfobia, la battaglia legale

A combattere dal punto di vista giuridico e della deontologia giornalistica ci fu un’avvocata, Nancy Nangeroni. Nel 1995, Nangeroni aveva fronteggiato un caso simile, quello di Chanelle Pickett, una 23enne transgender trovata picchiata e strangolata nel suo appartamento. Al suo assassino sono toccati solo 2 anni di prigione per espiare: secondo l’avvocata, un segno che andasse bene per la giustizia commettere un crimine del genere. Ma Nangeroni divenne, nel caso di Rita e nei casi successivi, un vero e proprio punto di riferimento per i quotidiani che trattavano la questione e cercavano di farlo nella maniera più corretta. È grazie al suo attivismo che oggi le cose funzionano in modo decisamente diverso, anche se manca ancora tanta strada per abbattere completamente qualunque forma di transfobia.

Transfobia, i dati

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Fonte: Transreport

Un primo passo avanti è stato, finalmente, fatto, con l’approvazione in Parlamento del ddl Zan, ovvero la legge sull’omobitransfobia.

Un passo davvero molto importante, soprattutto considerando che l’Italia vanta un triste primato, in Europa, per numero di vittime di transfobia, con 36 casi registrati dal 2008 al 2016 e ai tanti episodi di violenza subiti dagli omosessuali.

 

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