Se vi vengono i brividi lungo la schiena quando sentite qualcuno sbagliare un congiuntivo, leggete “qual’è” scritto in questo modo, e non potete esimervi dal correggere un orrore grammaticale, anche a costo di perdere un’amicizia, allora potreste essere considerati grammar nazi. Il nome, è facilmente intuibile, non promette nulla di buono.

Attenzione, però: ci sono difensori e difensori della lingua, ed è piuttosto confusionario comprendere tutti sotto l’etichetta di grammar nazi.

Grammar nazi: i “difensori della lingua”

Dobbiamo intanto sottolineare che grammar nazi è un’espressione inglese che ha anche una propria collocazione nel vocabolario MacMillan: è infatti definita come

Una persona che ha una vasta conoscenza della grammatica e abitualmente corregge ogni errore grammaticale (o ortografico) commesso da altri nelle conversazioni, nei testi scritti, online, o in ogni altra forma di comunicazione.

Parliamo di una sorta di “giustiziere della lingua”, che corregge gli errori soprattutto nei dibattiti via Internet, in particolare sui social; l’etimologia del nome si deve all’uso iperbolico della parola “nazi”, a indicare una persona intransigente e inflessibile che cerca di imporre le proprie opinioni sugli altri.

Il primo uso del termine grammar nazi risale a una newsgroup online del 1991, e ha assunto nel tempo una connotazione ben precisa, talvolta ironica, finendo con il diventare oggetto di meme e gif varie.

Come detto, però, è doveroso operare un distinguo tra i diversi grammar nazi. Se alcuni puntano esclusivamente a correggere strafalcioni grammaticali di vario tipo – rispettando quindi l’originale significato dell’espressione – altri invece si pongono come strenui difensori della lingua, e accettano malvolentieri cambiamenti ed evoluzioni.

La psicologia del grammar nazi

Essere grammar nazi significa semplicemente essere puntigliosi e ossessivi puristi della lingua? In realtà, l’abitudine di correggere errori grammaticali o ortografici alle altre persone fornisce anche alcuni indizi rispetto alla personalità di chi proprio non riesce a fare a meno di farlo; questo, almeno, secondo uno studio condotto dalla University of Michigan su un campione di 83 volontari, che si sono sottoposti a un test.

Partendo dalle mail di risposta a un annuncio per la ricerca di un coinquilino i volontari hanno dovuto esaminare i testi, esprimendosi poi sui vari livelli di intelligenza, cordialità, sintesi, oltre ovviamente alla rilevazione di errori grammaticali. Subito dopo i partecipanti hanno dovuto rispondere a un test di personalità per delineare il proprio profilo rispetto ad apertura, piacevolezza, estroversione/introversione, nevrosi e coscienziosità.

Associando questi ultimi dati con i giudizi espressi nel test precedente gli psicologi a capo della ricerca ha concluso che alcuni tratti della personalità giocano un ruolo importante sull’interpretazione del linguaggio: nel dettaglio, i grammar nazi sembrerebbero essere tendenzialmente più chiusi e introversi rispetto agli altri. Questo perché, spiegano gli studiosi, le persone meno disponibili faticano di più ad accettare delle deviazioni dalla norma.

Rispetto ai risultati dello studio, invece, ça va sans dire, i volontari hanno giudicato meglio i testi che presentavano un numero inferiore di errori grammaticali o di battitura. Insomma, pare proprio che essere grammar nazi dica molto più su chi lo è rispetto alla persona che si corregge.

Perché i grammar nazi potrebbero avere torto?

Veniamo ora alla domanda che più ci preme: perché i grammar nazi potrebbero non avere ragione?

Come detto, è necessario, per onore di verità, operare una distinzione tra i grammar nazi che soffrono di fronte a errori grammaticali, rispetto a quelli che non sopportano deviazioni dalla norma linguistica tradizionale, come neologismi, abbreviazioni o, in generale, innovazioni.

Insomma, è incontrovertibilmente vero che “un po’” si scriva così e non “un pò“, su questo è obiettivamente difficile dare torto ai grammar nazi. Ma cosa succede se spostiamo l’attenzione su altri temi inerenti la lingua, come ad esempio l’uso di anglicismi o il genere dei nomi, argomenti su cui tanto si discute?

Molti grammar nazi, infatti, storcono il naso di fronte a parole come architetta, ministra, considerandole forzature inesistenti nella lingua italiana, ma anche termini come apericena, lockdown (purtroppo molto in voga) e via dicendo. Per non parlare poi dell’argomento asterisco o schwa, che fa impallidire anche chi non può essere generalmente annoverato tra le fila dei grammar nazi.

Grammar nazi è un pedante, mediocre conoscitore della propria lingua madre, che si arrocca sulle proprie regole come se non ci fosse un domani.

Così, senza troppi fronzoli, li definisce la linguista Vera Gheno in una diretta Facebook con Didattica Live.

Gheno articola perfettamente il discorso sull’eccessività dei grammar nazi, spiegando la differenza tra amare la propria lingua, anche dal punto di vista grammaticale, usandone in maniera corretta la grammatica, rispetto all’osservarne pedissequamente tutte le regole, o al non accettarne eventuali cambiamenti, rispondenti a necessità socioculturali diverse.

[…] quasi mai la norma linguistica è definitiva e netta – ha spiegato in questa intervista – molto più spesso, è piena di eccezioni, di anomalie, di irregolarità, e anche di usi che non sono né giusti né sbagliati a priori, ma che possono esserlo a seconda del contesto. […] tra le fissazioni da grammarnazi metterei la morte del congiuntivo (se lo sapevo non venivo non solo non è sbagliato, in certi contesti, ma era una costruzione usata già dal Manzoni, giusto per fare un esempio); l’invasione degli anglismi (vera fino a un certo punto, oppure vera per alcuni contesti); la morte dell’italiano causata dai social network (non penso che i social abbiano provocato un bel niente; casomai, fanno vedere livelli di uso della lingua che prima rimanevano più nascosti). Tra le altre fissazioni si può citare il divieto di iniziare una frase con una congiunzione (E s’aprono i fiori notturni / nell’ora che penso ai miei cari…), ‘a me mi non si dice’ (non è vero: basta non usarlo in contesti altamente formali) o le crociate contro il mentre invece (che, poverino, non ha nulla di sbagliato).

Tutto il discorso contro la “spocchia” dei grammar nazi è affrontato anche nel suo libro Potere alle parole.

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Vera Gheno ci porta a scoprire i misteri della lingua italiana passando in rassegna le nostre abitudini linguistiche, per farci capire che la vera libertà passa anche dalle parole.
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Gheno è una ferma sostenitrice dell’evoluzione linguistica (“Apericena? È una parola da ormai 18 anni, accettiamolo e smettiamo di accanirci”), soprattutto quando questa è tesa a introdurre inclusività nel discorso, a tutti i livelli. Via libera quindi ad accordare il sostantivo e il genere (quindi sì a ministra, avvocata, architetta) e a usare artifici linguistici che possano comprendere ogni persona, anche quelle che non si riconoscono nei generi femminile e maschile. La lingua cambia, così come la società, e con essa dovremmo imparare a cambiare anche noi.

Con buona pace dei “giustizieri della lingua”.

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