La tortura non è, purtroppo, un retaggio appartenente al passato, ma un modo ancora attuale per colpire i prigionieri in tantissimi Paesi del mondo, e non tutti, a dispetto di quanto si possa pensare, rientrano in quella parte del mondo dove si ritiene che i diritti umani siano sistematicamente calpestati, anche se la gran parte delle tecniche di tortura trova lì terreno fertile.

Storie che ci hanno riguardato da vicino, come quella del nostro connazionale Giulio Regeni, assassinato in Egitto dopo indicibili torture, provocano moti di indignazione e scandalo, ma non dobbiamo fare l’errore di pensare, come detto, che il mondo occidentale sia immune al sistema delle torture: basti pensare, ad esempio, alla Cia, il servizio di intelligence americano, che ha un vero e proprio manuale per le torture, in vigore quindi negli Stati Uniti – che prende il nome di Kubarkù – messo fuori legge solo nel 2007 -. Si tratta di tecniche basate sulle torture medievali. Per 126 pagine, si imperversa nell’orrore: tutto è finalizzato a estorcere confessioni, ma una domanda è d’obbligo in questi casi. E se le persone confessano cose che non hanno commesso solo per far cessare su di sé la terribile tortura?

La tortura, va da sé, si accompagna spesso con la pena di morte; dopo i dati del 2020 che avevano fatto ben sperare, nel 2021 Amnesty International riferisce un preoccupante aumento delle esecuzioni in alcuni degli stati dove già si registravano numeri alti: sono 579 le esecuzioni in 18 stati, con un aumento del 20% rispetto all’anno precedente.

In Iran il numero più alto (314) dal 2017, mentre l’Arabia Saudita ha raddoppiato il dato del 2020. Ciononostante, quello del 2021 resta il secondo dato più basso – dopo appunto il 2020 – almeno negli ultimi 12 anni.

Nel panorama generale, impossibile però non notare l’impennata registrata negli Stati Uniti con le ultime condanne dell’era Trump, 10 in cinque mesi e mezzo dopo la ripresa a livello federale a luglio, dopo 17 anni.

Per quanto riguarda l’Italia, solo nell’estate del 2017 è stato introdotto nel codice penale il reato di tortura, e un articolo del Corriere della Sera cita delle storie che hanno sollevato l’opinione pubblica: le vicende della scuola Diaz durante il G8 di Genova e i casi tragici di Stefano Cucchi, Federico Aldrovandi e Aldo Bianzino, tre persone morte in carcere o durante azioni di polizia. E si potrebbe continuare con altri casi di cronaca che hanno diviso l’opinione pubblica in due fazioni contrastanti: per alcuni le forze dell’ordine possono tutto e agiscono sicuramente per il meglio, per altri ci sono dei confini che non devono essere valicati e chi sbaglia deve pagare.

Ricordare quanti paesi pratichino ancora la tortura, nonostante il 10 dicembre 1984, l’Assemblea generale dell’Onu abbia ratificato la Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura, è ancora, estremamente importante, soprattutto alla luce della data del 26 giugno, Giornata mondiale contro la tortura.

Queste, invece, sono alcune delle tecniche di tortura ancora usate nel mondo.

1. Isolamento

L’isolamento è una delle tecniche di tortura più diffuse anche perché economica da mettere in pratica: basta una stanza in cui tenere isolato il prigioniero. In isolamento si perde la cognizione del tempo e si sviluppano problematiche psicologiche legate alla solitudine, come allucinazioni e superstizione.

2. Privazione del sonno

Anche la privazione del sonno agisce sulla psiche, perché il sonno è come il tasto reset dell’organismo e in particolare del cervello. Privare qualcuno del sonno equivale a spingerlo verso la psicosi. Il prigioniero viene fatto dormire dopo un periodo di privazione del sonno e poi interrogato, in modo che spiattelli qualunque cosa per paura di essere privato nuovamente del sonno. Anche il Kgb e quindi la Russia hanno fatto ricorso a questa tecnica.

3. Privazione sensoriale

È un isolamento all’ennesima potenza. Il prigioniero non è solo isolato in una stanza, ma questa stanza è buia e senza nessuno stimolo visivo, uditivo o olfattivo. Si perde chiaramente la cognizione del tempo, tanto che poche ore in questo stato sono l’equivalente di anni di prigionia.

4. Umiliazione o violenza sessuale

Viene adoperata in molti Paesi del mondo, come l’India, l’Iraq ma anche nei Paesi occidentali. E vi si ricorre sia con uomini sia con donne: possono essere solo minacce o vere e proprie violenze.

5. Freddo

In Cina è una tecnica diffusa con vari metodi, come far bagnare il prigioniero e rinchiuderlo in cella oppure costringerlo a camminare nudo della neve – come si vede nel film The Hateful Eight, che però è ambientato da tutt’altra parte e in tutt’altra epoca.

6. Minacce

Per minacciare un prigioniero si ricorre alle sue paure, come per esempio la paura del buio o dei ragni, di alcuni animali o dei luoghi chiusi, eccetera.

7. Waterboarding

È una specie di affogamento. Non è necessariamente reale, ma la persona che vi è sottoposta pensa che lo sia. Succede infatti che questa persona viene posta su un piano inclinato con la testa più in basso del busto e sulla faccia viene messo un panno o del cellophane. Su esso vengono fatte scorrere secchiate d’acqua, dando così l’idea dell’affogamento.

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