Pochi artisti arrivati ben oltre i novant’anni d’età possono vantare la stessa freschezza di Yayoi Kusama. Da un piccola città del Giappone ai più importanti musei e gallerie di tutto il mondo, l’artista giapponese non ha mai smesso di reinventarsi, fatta eccezione per il fil rouge che contraddistingue gran parte delle sue opere: i pois.

Molti la conoscono per le Infinity Room fatte di specchi e luci o per le sue grandi sculture colorate, ma nella sua carriera c’è anche un interessante mix multimediale, che comprende dipinti, disegni e performance. Diventata celebre nella New York culturalmente effervescente degli anni Sessanta, in un periodo in cui erano gli artisti uomini a dominare la scena artistica, ha sempre scelto per sé un ruolo da outsider.

Considerata l’artista contemporanea più importante del Giappone, oggi ha persino un suo museo personale a Shinjuko, uno dei quartieri più vivaci di Tokyo. Nel 1977 ha lasciato definitivamente gli Stati Uniti (dove era arrivata grazie a Georgia O’Keeffe) e vive volontariamente in un ospedale psichiatrico giapponese a Seiwa.

Come raccontato più volte, anche in una recente intervista a Artspace, Yayoi Kusama soffre infatti della sindrome di depersonalizzazione, un disturbo che porta a sentirsi completamente distaccati da se stessi e dall’ambiente circostante.

Quando ero piccola, mia madre non sapeva che fossi malata. Così mi picchiava e schiaffeggiava, perché pensava che stessi dicendo cose folli. Ha esercitato una terribile forma di abuso su di me: fosse capitato oggi, l’avrebbero messa in prigione. Mi rinchiudeva in un magazzino, senza pasti, per mezza giornata. Non sapeva che i bambini potessero soffrire di malattie mentali.

E proprio quel motivo puntinato che si ripete da decenni nelle sue opere è parte di una realtà che fin da bambina la porta ad avere allucinazioni. Ne dipinge molti, moltissimi, perché sono la materializzazione delle sue paure e dipingerle è il solo modo per fuggire da quella sensazione di spaesamento.

Per sua stessa ammissione, anche il reiterato motivo dei falli, molto presente nelle sue sculture, fa parte di quel tipo di escapismo, della necessità di materializzare ogni forma di paura per evadere dalla gabbia del quotidiano. Yayoi Kusama non ha mai però preso apertamente posizione sul femminismo, sebbene in molti la considerino un simbolo di emancipazione.

Sono troppo occupata con me stessa per preoccuparmi del problema uomo-donna. Dato che trovo rifugio nel mio lavoro, non posso essere vittima di bullismo da parte degli uomini.

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I campi di falli e di tentacoli di Yayoi Kusama
Fonte: Facebook / Yayoi Kusama
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