La signora delle scene è morta.

Se n’è andata silenziosamente, con quella discreta eleganza che, in fondo, ha contraddistinto tutti i suoi 96 anni.

Valentina Cortese, scomparsa il 10 luglio a Milano, non è stata “solo un’attrice”, ma la vera e propria incarnazione di una diva, una figura algida, leggiadra, a tratti persino impalpabile.

Una vera fata dal look etereo e dallo sguardo magnetico, dotata di un fascino naturale che attirava gli uomini come il canto delle sirene fece con Ulisse e i suoi marinai, una lady regina dei salotti dell’élite internazionale, con amici e amanti influenti, rimasta però, per sua stessa ammissione, la bambina dalla pelle di porcellana cresciuta in campagna e che guardava con malcelata meraviglia la “casa dei sciuri” che vide per la prima volta appena ragazzina.

Lo raccontava lei, in un’intervista per Repubblica del 2012:

[…] Sono cresciuta in campagna e ho ancora quelle persone dentro di me. La miseria, eppure la generosità dei poveri che danno ai poveri. La prima volta che sono entrata in una casa dei sciuri credetti mi avessero portata in chiesa. Le poltrone dorate, i lampadari di cristallo, i tendaggi di velluto. Ero una ragazzina. Quel giorno ho capito che il mondo si divide in ricchi e poveri. È il motivo per cui non ho mai battuto i piedi sul palcoscenico.

Del resto, nella medesima intervista Valentina disse di non essersi mai considerata un’attrice, “non ho mai veramente amato il mondo del cinema. L’amore si riconosce dall’amore. Una persona che sa amare ama la vita, ama l’umanità”.

Di amore, nella sua vita, ce ne fu sicuramente tanto. Per gli uomini che la accompagnarono per periodi, più o meno lunghi, da Victor De Sabata, all’attore Richard Basehart – padre dell’unico figlio, Jackie, morto nel 2015 – fino a Giorgio Strehler e Carlo De Angeli.

Ancora oggi amo gli uomini che ho amato, sono vibrazioni sottili che non so spiegare. Ho avuto amori e amanti. Non ho mai rivelato quelli segreti, caro, no, perché non sarebbero più segreti. Ho avuto tanto di tutto. Glielo dico con Rilke: l’amore è l’occasione unica di maturare, di prendere forma, di diventare in se stessi un mondo.

[…] Una componente dell’amore che io coltivo da sempre è l’ammirazione. Ho sempre ammirato i miei uomini, è un modo di avere cura dell’altro. È terapeutico prendersi cura di qualcuno. Sono stata amata da uomini molto alti, mi guardavano da lassù e io smettevo di sentirmi sola e di avere paura. Li piango ancora e ci sono sere in cui rileggo le loro lettere.

Valentina Cortese, in realtà, amava l’amore: quello fatto, soprattutto, non detto, perché, come sosteneva “le persone che non sanno amare parlano sempre d’amore”.

Amava l’idea stessa dell’amore, quella totalizzante, non intesa come annullamento di se stessi, ma piuttosto di sentimento rivolto a tutto, in maniera completa, indistinta.

Posso amare un gatto, un Rembrandt, un bellissimo giovane o un anziano pieno di fascino. Ciò che conta è volare alto. I corvi vanno a schiera, le aquile volano sole. Mi spiego meglio: lei ha mai visto camminare un’aquila? Le aquile sono destinate a volare in alto, non a stare nei pollai.

Nella sua vita costellata di magnificenza e ammirazione, forse, solo un grande rimpianto: sua madre, “intravista appena e conosciuta soltanto come la zia Olga. Sono stata cresciuta e amata dalla balia, mamma Rina, ho sempre considerato lei la mia vera madre”.

E un grande dolore, quello per Jackie, cui è dedicato il libro autobiografico Quanti sono i domani passati, edito nel 2012, in cui la Cortese lo rivede muovere i suoi primi passi, a nove mesi. Come detto, Jackie Basehart morirà nel 2015, a 63 anni, afflitto da una grave malattia.

In quell’autobiografia Valentina ripercorreva, a ritroso, la carriera scintillante di una stella con amici e amori da copertina che, però, tolti gli abiti di scena, resta una donna come tante, con la gioia e la sua disperazione di vivere. Afferma di dissociarsi dal presente distratto che non vede le cose essenziali. Dice di non voler aderire alla bruttezza ed alla volgarità non sentendosene parte.

E che, già nel 2012, pensando alla propria morte, aveva le idee chiare, come sempre, del resto.

Copritemi con un vecchio vestito di scena oppure semplicemente con un lenzuolo e buttatemi nel fuoco – diceva – Mettete le mie ceneri accanto a quelle dei miei cani che sono già sei. E io vi prometto che conserverò il mio sguardo incuriosito se, di là, dovessi scoprire che esiste il paradiso.

Un Paradiso che, per lei, era fatto solo di una cosa:

Molti alberi.

La grazia di Valentina Cortese, tra i domani passati e il rifiuto del presente
Fonte: web
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