*** Aggiornamento del 14 giugno 2021 ***

Hanno scatenato delle polemiche infinite alcune delle ultime dichiarazioni di Natalia Aspesi, che hanno fatto gridare scandalizzate le femministe all’insulto di una lotta intera e hanno avuto come conseguenza, come ahinoi spesso capita soprattutto da quando il luogo del dibattito pubblico si è spostato sui social, di rivelare il peggio di alcune persone, le quali non si sono certo peritate a elargire insulti e offese alla novantaduenne giornalista.

La “pietra dello scandalo” è stato un editoriale scritto per Repubblica in seguito alla morte di Luana D’Orazio, la giovane operaia rimasta uccisa in un macchinario.

Vi chiedo scusa ragazze se tento di distrarvi dai vostri problemi, che vi disperate se vi dicono culona e ne lacrimate sui social gridando al cosiddetto body shaming, abbiate per favore la forza di immaginare il bel corpo giovane di Luana, un corpo come il vostro, straziato da una cieca macchina.

Già queste poche righe sono state in grado, da sole, di scatenare l’inferno e di far pensare molt* che Aspesi, dopo una vita spesa a raccontare anche di diritti delle donne e dell’importanza di conquistarli, fosse improvvisamente passata dalla parte del “nemico”, appoggiando, o quantomeno non giudicando così importante, fenomeni come il catcalling o il body shaming. C’è chi, sui social, ha parlato di quell’editoriale in questi termini:

La scaletta delle umane priorità la stabilisce Natalia Aspesi, a cui le comunica direttamente il Dio dei vecchidimerda.

Altr* hanno parlato di benaltrismo spicciolo, accusando Aspesi di spostare l’attenzione sul problema delle morti sul lavoro per toglierla alla questione delle molestie. In realtà, pur coi suoi modi tutt’altro che edulcorati – e in fondo a 92 anni può anche starci – Natalia Aspesi ha toccato un nervo scoperto del femminismo, sostenendo, in poche righe, che se non si parla del primo, e più importante, dei problemi, ovvero la questione socioeconomica che pone tutt’oggi le donne in una condizione di inferiorità rispetto agli uomini, e si fanno battaglie per i fischi per strada o il diritto a vestirsi come vogliamo, ci troviamo, di fatto, di fronte a tante belle parole ma a pochissimi fatti concreti.

Non che denunciare il catcalling o il body shaming non sia sacrosanto, solo che non ci si può fermare qui, e non fare qualcosa di concreto per colmare il gap che ancora separa le donne dagli uomini dal punto di vista lavorativo, professionale, economico.

Certo si nota una sorta di incomunicabilità tra il femminismo contemporaneo e Aspesi; da un lato la giornalista non sembra avere tutta quella voglia di capirlo, come se pensasse che, in fondo, non le importa (e magari può pure essere vero, certe battaglie ormai non sono più le sue), ma dall’altro sembra che il femminismo contemporaneo faccia davvero fatica a recepire certi messaggi.

Prendiamo il problema delle morti sul lavoro, che è poi quello che ha ispirato l’editoriale-scandalo: davvero dobbiamo indignarci solo se a morire è una bella ragazza, giovane, attraente, con belle foto sui social, quando la realtà ci racconta che a morire sono soprattutto gli uomini ma che, molto probabilmente, queste morti finiscono con il passare in sordina, senza neppure essere citate, solo per il fatto stesso che i morti siano uomini?

È questo che Aspesi invita a fare quando dice alle donne di prendersi

Una tregua nella giusta battaglia contro i maschi sopraffatori. E riflettete sul fatto che il lavoro segue la parità di genere, uccidendo sia uomini che donne, però privilegiando, se così si può dire, gli uomini.

Andare al nocciolo del vero problema, lo ripete Aspesi, anche in un’intervista per Huffington Post in cui dice, a proposito del perché le violenze sulle donne non cessino praticamente mai,

Perché evidentemente non bastano le denunce sui social per fermare le violenze. Ci sarebbe anche bisogno di andare al fondo degli uomini, visto che poi sono loro che commettono le violenze, cercando di capire come sono fatti questi benedetti maschi, anziché aizzare la lotta quotidiana contro di loro. Non sarà certo mettendo i maschi all’angolo che le violenze cesseranno. Al contrario, le cose cambieranno se si troverà una collaborazione, un dialogo tra uomini e donne.

Insomma, il problema non è il benaltrismo, quanto capire quale sia il vero nocciolo della questione e quali gli strumenti per affrontarlo e tentare il cambiamento. I modi di Natalia Aspesi potranno non essere sempre politically correct, ma prima di indignarsi, forse, varrebbe la pena comprendere davvero il significato delle sue provocazioni.

*** Articolo originale del 21 giugno 2019 ***

Era un ragazzo bello e simpatico ma sua mamma odiava le donne, preferiva che dormisse con dei giovanotti piuttosto che con me“.

Parola della signora delle Questioni di cuore, Natalia Aspesi, 90 anni nel 2019, da decenni impegnata per i diritti Lgbt, cui è appena stato conferito il premio “More Love”, consegnatole da Ambra Angiolini nell’ambito del 33esimo Mix Festival, la rassegna cinematografica dedicata proprio al mondo omosessuale e transgender.

Oggi se cominciano a dare fastidio a questi diritti – ha aggiunto la giornalista di Repubblica – bisogna ribellarsi. Se ci disturbano reagiamo, andando in piazza.

Del resto, per tutta la vita lei si è occupata di amore, di quelle questioni di cuore, appunto, che hanno dato il nome alla rubrica famosissima che dagli anni Novanta cura sul settimanale Il Venerdì di Repubblica; senza distinzioni, né pregiudizi chiaramente, in virtù di quella vasta esperienza acquisita dopo anni passati a rispondere ai dilemmi più o meno fantasiosi di lettori e lettrici.

Perciò, Natalia Aspesi ha le idee molto chiare su come le coppie funzionino, sui meccanismi precisi che le mandino avanti, e sul perché, talvolta, si rompano.

E la chiarezza l’ha anche quando indica quale sia la coppia migliore, quella “vera”.

La vera coppia è quella omosessuale – dichiarò nel 2017, in un’intervista per Repubblica – Un uomo e una donna si legano per amore, che nasce soprattutto dalla fisicità. Ma arriva un momento in cui questa fisicità si placa, e rimangono un uomo e una donna, ovvero due persone opposte, che molto difficilmente si capiscono. Tant’è che si disfano. Si disfano anche quelle omosessuali, per carità, però due uomini che hanno avuto un legame passionale restano un uomo e un uomo, ovvero due persone che hanno molto in comune. Si capiscono meglio, e hanno più comprensione nel tradimento.

La giornalista nell’intervista ha ripercorso anche gli anni passati a rispondere alle Questioni di cuore, alle domande poste proprio dagli omosessuali, dicendo: “Ho sempre cercato di rispondere al problema, non all’omosessualità, salvo quelli che, venendo da piccoli paesi, non trovavano il coraggio per rivelarsi. A loro ho sempre risposto come omosessuali”.

Lì, in quel contesto, anche la “confessione”, poi ribadita dopo aver ricevuto il premio a una vita fatta di comprensione e libera da ogni cliché:

Ho avuto, come tutte, un fidanzato gay. Alla fine degli anni ’50 i gay si fidanzavano tutti per non far capire che erano omosessuali.

Ma Natalia Aspesi, questioni di cuore a parte, sa benissimo che la società, e il mondo dei media in particolare, è ancora intriso di pregiudizi e cliché difficilmente abbattibili.

Il giornalismo è ancora pieno di stereotipi sulle donne – dice – l’essere maschio dà ad alcuni ancora l’idea di essere qualcosa di più, sicuramente di una femmina, ma probabilmente anche di un altro uomo che, essendo omosessuale, non esercita la sua funzione di imperio. I giornali, invece, anche in questo modo civile e democratico di parlare, tendono a seguire sempre il ‘politicamente corretto’. Io penso che se scrivo di un omosessuale che è un cretino, gli do la libertà di essere un cretino. È lo stesso discorso delle donne: prima non potevano essere toccate, ma ci sono in politica, ad esempio, donne fasciste o di estrema destra che io trovo orribili, non mi importa niente che siano donne. Così la vera parità degli omosessuali è poter dire che sono degli stronzi. Non sono santi, sono persone“.

Interpellata, com’è tipico della sua persona discreta e mai invadente né presuntuosa, Natalia Aspesi ha speso un pensiero anche sulla maternità surrogata, aperta non solo agli omosessuali ma a chiunque voglia intraprendere questo percorso per avere un figlio.

Come la maternità non è di tutti, io capisco che un uomo o un ragazzo vogliano avere un figlio. Non capisco le femministe contro, fa parte della storia delle donne.

In gallery abbiamo ripercorso la carriera e le idee di questa straordinaria donna.

Perché le parole sul femminismo di Natalia Aspesi devono essere lette senza rabbia
Fonte: reptv
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