L'oltraggio a Giuseppe Di Matteo, il bambino rapito per 2 anni e sciolto nell'acido

Nel 1996 l'Italia rimase sconvolta per la fine brutale del piccolo Giuseppe Di Matteo, strangolato e sciolto nell'acido dopo più di due anni di sequestro. Dopo l'arresto di Matteo Messina Denaro non si può non ripensare a questa orribile vicenda.

*** Aggiornamento del 22 marzo 2023 ***

Il boss Matteo Messina Denaro, arrestato il 16 gennaio scorso dopo ben 30 anni di latitanza, ha ammesso la propria responsabilità come mandante del sequestro del piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio del pentito Santino, ma ha negato il suo coinvolgimento nella decisione di uccidere il piccolo, barbaramente assassinato e sciolto nell’acido nel 1996, dopo due anni di prigionia.

Messina Denaro ha imputato esclusivamente a Giovanni Brusca la responsabilità di quella decisione; il boss di Cosa Nostra ha risposto alle domande del gip Alfredo Montalto, spiegando anche che, dopo aver prelevato con l’inganno il ragazzino dal maneggio di Villabate, nel palermitano, Giuseppe venne poi trasferito da un nascondiglio all’altro tra Palermo, Trapani e Agrigento.

La prima masseria in cui il piccolo Di Matteo fu portato era a Campobello di Mazara, proprio il paese in cui Messina Denaro si nascondeva nel suo ultimo covo prima di essere arrestato nei pressi della clinica privata La Maddalena a Palermo, nel quartiere San Lorenzo, dove stava effettuando delle sedute di chemioterapia.

*** Articolo originale ***

Il 16 gennaio 2023 le Forze dell’Ordine hanno arrestato il boss di Cosa Nostra Matteo Messina Denaro, prelevato da una clinica di Palermo dopo ben 30 anni di latitanza. A fronte di questo storico successo da parte dello Stato è impossibile non pensare ai crimini di cui l’uomo si è reso artefice e complice, tra cui il più efferato e spietato di tutti: il sequestro e successivo omicidio del piccolo Giuseppe di Matteo.

Non gli auguro la morte, ma gli auguro una lunga sofferenza, la stessa che ha fatto passare a mio fratello.

Sono le durissime parole che il fratello di Giuseppe, Nicola Di Matteo, ha voluto dichiarare alla stampa in seguito dell’arresto, e non è difficile capirne il motivo, dato che tra le numerose vittime della mafia, Carlo Alberto Dalla Chiesa, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Rosario Livatino (solo per citarne alcune, dato che negli ultimi decenni del XIX secolo potrebbero essere qualcosa come 5000) il piccolo Di Matteo è quella che più di tutte fa aprire gli occhi su cosa è stata in grado di fare Cosa Nostra, che ha sfogato tutta la propria violenza contro un bambino, la cui unica “colpa” è stata quella di avere un padre pentito, e il cui sequestro è stato possibile grazie all’amore di un figlio per il padre.

Di seguito ripercorriamo la storia di Giuseppe Di Matteo, tornata agli onori di cronaca anche 5 anni fa, in seguito all’operazione “Anno zero”.

Santino Di Matteo, pentito, era l’ex luogotenente di Totò Riina, arrestato il 4 giugno 1993 con l’accusa di 10 omicidi mafiosi, fra cui la partecipazione proprio alla strage di Capaci dove persero la vita il giudice Falcone, la moglie Francesca Morvillo e altri tre agenti della scorta.

A Di Matteo rapirono il figlio, Giuseppe, di appena tredici anni, per fargli fare una fine atroce, dopo averlo tenuto sotto sequestro per 779 giorni, più di due anni.

Il 19 aprile 2018 in seguito all’operazione “Anno zero”, in provincia di Trapani, si è arrivati al fermo di 21 persone, tutti presunti affiliati alle famiglie mafiose di Castelvetrano, Campobello di Mazara e Partanna.

Fu questa azione congiunta di polizia, carabinieri e della Dia, a permettere alla Direzione investigativa antimafia di smantellare la rete di comunicazione di Matteo Messina Denaro, composta da chi smistava i suoi “pizzini”. Le accuse per loro furono di associazione mafiosa, estorsione, danneggiamento, detenzione di armi e intestazione fittizia di beni, tutti con l’aggravante della modalità mafiosa. E ora finalmente l’arresto di Messina Denaro, a chiudere questo storico successo.

Nell’ambito dell’operazione del 2018 vennero alla luce delle intercettazioni scioccanti proprio sul brutale omicidio del piccolo Di Matteo. Come quella del 19 novembre 2017, appartenente a uno dei fiancheggiatori di Messina Denaro, che sosteneva che Totò Riina, storico capomafia del clan dei corleonesi, avesse fatto bene a ordinare l’uccisione del ragazzino.

‘Non ha fatto bene? Ha fatto bene! […] Se la stirpe è quella… Suo padre perché ha cantato?’, questo il contenuto di alcune delle intercettazioni.

‘Il bambino è giusto che non si tocca – continua l’intercettazione – però settecento giorni sono due anni … Tu perché non ritrattavi tutte cose? Se tenevi a tuo figlio, allora sei tu che non ci tenevi’.

‘Una persona la puoi ammazzare una volta, ma la puoi far soffrire un mare di volte’, risponde un altro interlocutore.

Inutile dire che queste parole mettano davvero i brividi, per la spietatezza e il cinismo con cui vengono pronunciate. Tutto questo non è oltraggioso per Santino Di Matteo e la moglie Francesca, che, al di là di tutto quel che si può e si deve pensare sul passato criminale di lui, hanno perso un figlio, ma è oltraggioso per Giuseppe. Per un bambino che è stato reso capro espiatorio per i peccati del padre e poi brutalmente assassinato, senza neppure che la famiglia potesse avere diritto a dargli una sepoltura, un luogo dove onorare la sua memoria.

Perché Giuseppe, dopo due anni di agonia e di sevizie, è stato sciolto nell’acido.

Il sequestro e l’omicidio di Giuseppe Di Matteo

È il 23 novembre 1993, sono passati 18 mesi anni dalla strage di Capaci, 10 dall’arresto di Totò Riina. Giuseppe Di Matteo sta cavalcando in un maneggio nelle campagne attorno a Palermo.
Alcuni poliziotti si avvicinano a lui, gli chiedono qualcosa. “Sì! Papà, amore mio!”, risponde entusiasta il bambino. Gli promettono che gli faranno rivedere papà Santino, lui accetta di seguirli, ma gli uomini lo legano e lo caricano nel bagagliaio dell’auto.

La madre, Francesca, forse ha il sentore di quello che di terribile potrebbe essere fatto a Giuseppe; cerca suo figlio dappertutto, chiama amici, parenti, ospedali. A troncare definitivamente ogni speranza arriva un biglietto.

Tappaci la bocca.

Ovvero “tappagli la bocca”. Assieme al biglietto ci sono due foto di Giuseppe che mostra un giornale, con la data del giorno della scomparsa. Quel “tappagli la bocca” è riferito a suo marito, Santino Di Matteo, detto “Mezzanasca”, il papà di Giuseppe, in carcere dal 4 giugno del ’93 con l’accusa di aver partecipato alla strage che uccise il giudice Giovanni Falcone e di altri omicidi mafiosi. I sequestratori chiedono a Santino di tacere, in cambio della vita del figlio.

Santino decide di non cedere al ricatto.  Il 10 giugno 1994 sparisce per 36 ore dalla sua località segreta per cercare personalmente suo figlio, senza trovarlo. Cerca di negoziare per la sua vita, ma Cosa Nostra, guidata da Giovanni Brusca dopo l’arresto del “capo dei capi” Totò Riina,  non ha pietà. Giuseppe viene affamato, torturato e fotografato per mostrare al padre cosa è disposta a fare la mafia, anche a un bambino. Spostano continuamente il nascondiglio dove tengono Giuseppe per evitare la polizia, che sta indagando dappertutto. Dopo un anno, gli assassini di Giovanni Falcone, tra mandanti ed esecutori, vengono condannati, e tra loro c’è anche Brusca, condannato all’ergastolo in absentia, da latitante. Questo segna la fine del povero Giuseppe, perché i mafiosi capiscono che Cosa Nostra sta prendendo un nuovo corso.

Giuseppe, a 15 anni, ormai ridotto a una larva umana, viene strangolato su ordine di Brusca. Il suo corpo viene sciolto in un barile di acido che farà sparire ogni brandello del suo corpo. Proprio Brusca, catturato nel maggio del 1996, lo confesserà al processo.

Garantisco la mia collaborazione, ma a questo animale non garantisco nulla: se mi lasci solo con lui per due minuti gli taglierò la testa.

Questo è quello che Santino dice in aula al giudice, trovandosi di fronte a Brusca. Il 16 gennaio 2012, la Corte di Assise di Palermo ha condannato all’ergastolo 5 boss per l’omicidio del piccolo Di Matteo; 12 anni al pentito Gaspare Spatuzza, carcere a vita per Giuseppe Graviano, Matteo Messina Denaro, Luigi Giacalone, Francesco Giuliano e Salvatore Benigno.

Santino Di Matteo è l’unico pentito tornato a casa col proprio nome, e ha fatto causa allo Stato per non essere stato inserito nel programma di protezione testimoni, dopo aver scontato la sua pena. Brusca, condannato all’ergastolo, nel 2004 ha ottenuto la possibilità di godere di permessi premio per tornare a casa, revocatagli immediatamente perché sorpreso a usare un cellulare.

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