Il mito di Evita Perón e la raccapricciante storia mai raccontata della lobotomia

Evita Perón fu dalla parte dei deboli e dei poveri. Ma sulla sua fine prematura, avvenuta a soli 33 anni, da qualche tempo aleggia un incredibile mistero. La pasionaria argentina avrebbe subito una lobotomia che ne avrebbe accelerato la morte.

Forse l’interpretazione di Madonna nel film omonimo del 1996 diretto da Alan Parker contribuì solo ad accrescere la sua fama soprattutto tra le nuove generazioni, ma Maria Eva Duarte, meglio conosciuta come Evita, ha davvero rappresentato un’icona mondiale senza tempo, una donna amatissima non solo dal suo popolo, in Argentina, ma in tutto il mondo. Nel 2019 ricorrono i cento anni dalla sua nascita, avvenuta il 7 maggio 1919 a Los Toldos, in provincia di Buenos Aires.

La moglie del presidente sudamericano Juan Perón, first lady alla Casa Rosada dal 1946 al 1952, anno della sua prematura scomparsa, ha davvero incarnato un ideale di donna emancipata e intraprendente, ricca di forza e di volontà, doti grazie alle quali si insediò nel cuore degli argentini conducendo, al loro fianco, battaglie sociali di grande impatto dedicate proprio alle fasce più emarginate della società.

Evita si occupò con impegno e passione degli ultimi, dei poveri, dei bambini, delle donne, rappresentando il prototipo di una donna forse all’epoca impensabile per intelligenza e potenza, e contribuendo magnificamente ad accrescere anche la popolarità del marito, che ovviamente godeva, di riflesso, dell’amore del popolo argentino per lei.

Eppure, nella vita di Evita Perón, finita a soli 33 anni per un tumore all’utero, ci furono anche ombre e misteri, l’ultimo dei quali, incredibile, è stato rilanciato nel 2015 dal giornale Neurosurgical Focus, e ripreso, tra gli altri, dalla BBC. Il neurochirurgo della Yale University Medical School, Daniel Nijensohn, avrebbe infatti rivelato prove che confermerebbero in maniera inconfutabile che Evita Perón fu sottoposta a lobotomia due settimane prima di morire. Una verità scomoda, naturalmente, che sarebbe stata insabbiata per oltre sessant’anni uscendo allo scoperto solo nel 2011, anno in cui cadde il segreto di Stato sulla sua morte.

Secondo la teoria dell’esperto americano, Evita Perón non sarebbe morta principalmente a causa del tumore, ma per un’operazione al cervello, una vera e propria lobotomia, un intervento in grado di recidere le connessioni neurali con il lobo prefrontale e di interrompere quindi le risposte emozionali.

La vita di Evita Péron

Evita Duarte nacque il 7 maggio del 1919 a La Union, la proprietà terriera del padre, nei pressi del villaggio di Los Toldos, in provincia di Buenos Aires, ultima di cinque figli illegittimi di un piccolo proprietario terriero originario di Chivilcoy, Juan Duarte, e della sua cuoca e amante, Juana Ibarguren.

Anche se esistono varie versioni a riguardo, Eva Duarte arrivò il 2 gennaio 1935 a Buenos Aires, a quasi 16 anni, per diventare attrice.

Conobbe il regista Joaquín de Vedia e l’attore José Franco, che la volle nella sua compagnia. Poco tempo dopo però Evita Duarte respinse le richieste sessuali di lui, e si licenziò.

Eva Duarte provò a farsi strada da sola, recitò una piccola parte in un film, comparve come modella sulle copertine delle riviste di spettacolo, ma soprattutto ebbe successo come annunciatrice e attrice di soap opera, fino alla svolta, il 1° maggio del 1939, quando la compagnia del Teatro dell’Aria cominciò a diffondere una serie di radiodrammi firmati Héctor P. Bolomberg, con protagonisti proprio Eva Duarte e Pascual Pelliciotta.

L’amore per Péron

Il 15 gennaio 1944 la città di San Juan venne distrutta da un terremoto che causò più di diecimila morti, e Perón, all’epoca promosso sottosegretario al Departamento Nacional del Trabajo – il Ministero del lavoro – allo scopo di raccogliere i fondi per la ricostruzione del paese organizzò un festival affidato a una commissione di artisti, tra i quali anche Evita Duarte. Lì si incontrarono, e già nel febbraio seguente decisero di andare a vivere insieme, nel nuovo appartamento di Evita Duarte, in Calle Posadas.

Nel 1945 Perón fu arrestato da militari insoddisfatti della sua politica, volta a ottenere benefici per i lavoratori. Evita Duarte organizzò delle manifestazioni popolari che costrinsero le autorità a liberarlo, e poco dopo lo sposò, prima che lui fosse eletto presidente, nel 1946. Lei aveva 27 anni e lui 51.

Eva Perón nel tempo si guadagnò anche la stima politica del marito, e si occupò di fare da intermediaria tra le richieste ed i problemi degli operai e Perón, ruolo che interpretò tanto bene da avere assegnato un ufficio all’interno della Segreteria del Lavoro. Evit a Perónsi guadagnò la fiducia del popolo, ma in particolare dei lavoratori e dei sindacalisti, frequentando fabbriche, scuole, istituti, eventi sportivi e culturali. Nel 1947 venne incaricata di rappresentare suo marito in un giro europeo tra Spagna, Italia e Vaticano, Francia, Portogallo, Svizzera, prima di tornare in Sudamerica per approdare in Brasile e infine Uruguay.

Dalla parte delle donne

Una delle battaglie fortemente combattute, e vinte, da Evita Perón fu quella per il riconoscimento dell’uguaglianza dei diritti politici e civili tra gli uomini e le donne, ottenuto grazie all’approvazione della legge 13.010 presentata il 23 settembre del 1947. Il suo impegno per le donne fu incessante, e la portò alla Fondazione del Partito Peronista Femminile, il 26 luglio del 1949.

L’8 luglio 1948 Evita creò la Fondazione Eva Perón, che si occupava di migliorare le condizioni di vita dei bambini, degli anziani, delle ragazze madri, e in generale delle donne appartenenti alle classi più povere della popolazione. La Fondazione aveva tre scopi principali:

  • sociale, con aiuti finanziari a chiunque li chiedesse, la creazione di posti di lavoro, la concessione di borse di studio e la costruzione di case popolari;
  • educativa, grazie alla costruzione di scuole, con mense per gli scolari e convitti annessi, o grazie ai famosi “Juegos Infantiles Evita y Juveniles Juan Perón” che permisero a 100.000 bambini e ragazzi provenienti da famiglie povere di accedere all’attività sportiva;
  • infine, di sanità pubblica: Evita Perón portò avanti la costruzione di ospedali, di scuole per infermiere, di laboratori di igiene e profilassi, di case di cura per anziani, con il chiaro obiettivo di debellare alcune malattie endemiche tipiche del paese in quel periodo, come la tubercolosi, la malaria, la sifilide e la lebbra.

La morte e il mistero della lobotomia

Il 5 novembre 1951 Evita Perón fu sottoposta a un intervento chirurgico dall’oncologo statunitense George Pack nell’ospedale Avellaneda, perché affetta da cancro all’utero.

Il 1° maggio 1952 tenne il suo ultimo discorso pubblico, dove usò toni molto forti contro i nemici del peronismo, e sei giorni più tardi, il 7 maggio, nel giorno del suo trentatreesimo compleanno, Perón nominò sua moglie “Leader spirituale della Nazione argentina”, onorificenza concessa formalmente dalla Camera dei deputati. Evita Perón pesava appena 37 kg.

La sua ultima apparizione pubblica fu il 4 giugno dello stesso anno, al fianco del marito in piedi sull’auto presidenziale per la seconda parata inaugurale. Da qualche anno è uscita allo scoperto la notizia di una presunta lobotomia che le sarebbe stata praticata poco prima di morire.

Il 26 luglio del 1952, alle 20:23, Evita Perón morì. Qui, però, entra in gioco la storia della lobotomia cui accennavamo a inizio articolo: Manena Riquelme, confidente e infermiera di James Poppen, il medico che avrebbe praticato l’intervento, sembrerebbe confermare l’ipotesi di Nijensohn, dato che avrebbe affermato che Evita Perón sopravvisse effettivamente alla lobotomia, ma uscì dal tavolo operatorio come un vegetale, smettendo completamente di mangiare e accelerando la sua strada verso la morte.

Nijensohn sarebbe giunto a questa incredibile verità dopo aver effettuato una scansione ai raggi X del teschio di Evita Perón, e dopo la diffusione della notizia naturalmente le ipotesi si sono sprecate: c’è chi ha sostenuto che l’intervento (un tempo usato principalmente nei manicomi) potrebbe essere stato usato per aiutare Evita Perón ad affrontare il dolore cronico per il tumore che l’aveva colpita, ma altri hanno parlato di un disperato tentativo di Juan Perón di frenare i comportamenti della moglie, divenuti folli e sicuramente pericolosi per il regime, sull’orlo della guerra civile.

Poco tempo prima di morire, infatti, Evita Perón aveva avuto qualche uscita pubblica giudicata “sconveniente”, ad esempio quando, durante quell’ultimo discorso ufficiale, si scagliò furiosamente contro i suoi nemici, osannata dal popolo argentino. Ci sarebbe inoltre un documento di 79 pagine, redatto poco prima della morte, chiamato “Il mio messaggio”, che sarebbe stato scritto da Evita in uno stato di profonda alterazione e violenza. Evita Perón nelle ultime dichiarazioni ufficiali esortava il popolo a “ribellarsi contro quegli imbecilli che invitano alla prudenza” e propugnava una decisa virata verso il fanatismo per “sfidare l’oligarchia”.

Evita Perón, dal suo letto di morte, avrebbe persino ordinato 5000 pistole automatiche e 1500 mitragliatrici al Principe Bernhard d’Olanda, all’insaputa del marito, per armare i sindacati e creare vere e proprie milizie di lavoratori, guadagnandosi il livore dei sostenitori di Perón, che verrà poi destituito nel 1955, tre anni dopo la morte della moglie, con un golpe militare che portò a insediarsi alla Casa Rosada la sua terza consorte, Isabel.

Proprio dopo l’esilio in Spagna dell’ex presidente argentino il corpo di Evita Perón iniziò un assurdo pellegrinaggio: al colonnello Carlos Eugenio Moori Koenig, ricevuto dal presidente Pedro Eugenio Aramburu, venne affidato il compito di dare una dimora al cadavere di Eva Perón. Moori conservò il corpo di Evita Perón nel seminterrato della sua casa, e fu accusato di essersi innamorato del cadavere, tanto che alcuni, notando che i suoi atteggiamenti si erano fatti effettivamente strani e bizzarri, dissero addirittura che avrebbe violato il corpo della donna.

Quando il presidente Aramburu fu informato degli eventi, trasferì la responsabilità della destinazione del corpo di Eva Perón al colonnello Héctor Cabanillas, che mobilitò la Chiesa, attraverso l’Arcivescovo di Buenos Aires e Nunzio Apostolico, per intercedere presso quello che sarebbe poi diventato Papa Pio XII per inviare il corpo di Evita Perón in Italia. Così avvenne, e la ex first lady fu sepolta nel cimitero di un convento di suore sotto il falso nome di Maria Maggi de Magistris, una presunta emigrata italiana morta in Argentina.

Ma nel 1971 il governo argentino decise di consegnare il corpo di Evita Perón all’ex marito, che finalmente lo ricevette in Spagna nel 1971. Si dice che Perón rimase colpito dal suo quasi perfetto stato di conservazione, nonostante fossero passati quasi 20 anni dalla morte. Dopo il ritorno in Argentina, e la nuova vittoria alle presidenziali nel 1973, con Isabel come vicepresidente, il corpo di Evita rimase in Spagna, alla residenza Perón “Puerta de Hierro”.

Nel 1974, dopo la morte di Perón e la salita al potere di Isabel, quest’ultima ordinò di portare il corpo di Evita dalla Spagna, per farlo imbalsamare assieme al cadavere del marito ed esporlo al pubblico.

Tuttavia, nel 1976, un nuovo colpo di stato militare rovesciò Isabel, che venne arrestata. Di nuovo i militari dovettero trovare una sistemazione al corpo di Evita Perón, che stavolta però era assieme a quello del marito. Finalmente, e saggiamente, decisero di consegnare i corpi alle loro famiglie. Evita Perón venne quindi sepolta nel mausoleo della famiglia Duarte nel cimitero della Recoleta, 24 anni dopo la sua morte, dove ancora riposa.

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