Cecilia Mangini, Valentina Pedicini, Martina Di Tommaso: il documentario secondo le donne

Il cinema di realtà vissuto come una necessità ha perso nel giro di neanche un anno tre voci importanti: la prima documentarista italiana e due registe, entrambe pugliesi, stroncate ancora giovanissime. Ecco cosa resta della loro produzione cinematografica.

Nel giro di pochi mesi, se ne sono andate tre registe italiane: donne, documentariste, pugliesi, avevano età molto diverse tra loro. Cecilia Mangini, Valentina Pedicini, Martina Di Tommaso avevano rispettivamente, 93, 42 e 31 anni. A legarle, oltre le radici (di Mola di Bari la prima, Brindisi la seconda, Bari la terza), la passione per il racconto di quello che vedevano attorno a sé, indagato attraverso l’obiettivo della macchina da presa.

Protagonista dell’età d’oro del documentario italiano, finita con gli anni Settanta, Cecilia Mangini è considerata la prima documentarista del nostro Paese, modello imprescindibile per tutte quelle che sono venute dopo di lei.

Tra le prime a osare di scendere in strada da sola con una macchina fotografica al collo, in anni in cui “le donne dovevano essere solo oche giulive, non potevano avere opinioni proprie, non potevano discutere di libri e dovevano adorare i maschi“, come aveva spiegato in un’intervista: alla fine degli anni Cinquanta racconta in brevi documentari, spesso realizzati con Pier Paolo Pasolini, gli ultimi relegati ai margini della società, la desolazione della campagna devastata dal cemento delle periferie, i rituali della cultura contadina e pre-cristiana ormai spazzata via dall’avvento della civiltà industriale e dei consumi.

Un cinema del reale impegnato, spesso realizzato al fianco del compagno di una vita, Lino Del Fra, che ha affrontato le complesse trasformazioni politiche e socio-culturali del dopoguerra: una lunga filmografia iniziata con Ignoti alla città, del 1958 (primo documentario italiano diretto da una donna, ispirato a Ragazzi di vita di Pasolini), e terminata nel 1973 con Dalla ciliegia al lambrusco. Degli anni Duemila le due co-regie per In viaggio con Cecilia, di Mariangela Barbanente, e Due scatole dimenticate – un viaggio in Vietnam, di Paolo Pisanelli, sulle immagini scattate da Mangini 50 anni prima, durante la guerra in Vietnam.

Il talento di Valentina Pedicini, invece, si è mostrato in un pugno di lungometraggi (di cui uno di finzione, Dove cadono le ombre, del 2017, ispirato a una storia vera) e in due corti. Si era fatta notare da un pubblico più vasto con Dal profondo, girato per 26 giorni in una miniera del Sulcis, per poi affrontare, di nuovo scevra da preconcetti, una comunità religiosa con i suoi rituali e la sua incrollabile adesione a un ideale, in Faith.

Sulla sua carriera erano in tanti a scommettere, come in tanti erano a scommettere su Martina Di Tommaso, che di lungometraggi all’attivo ne conta soltanto uno: Via della felicità. Stroncata a poco più di trent’anni, dopo aver dato dimostrazione di grandi potenzialità con il suo racconto di coraggio e riscatto di una madre del Sud in cerca di un futuro migliore per i suoi figli.

Certo è che quella strada aperta più di 60 anni fa da una allora giovanissima Cecilia Mangini ha ripreso a essere trafficata da sensibilità attente a temi poco bazzicati dalla cinematografia di cassetta; per tutte loro sembra continui a essere attuale una dichiarazione di qualche anno fa della regista già novantenne: “Il documentario è una necessità, perché ci mette in condizione di pensare al nostro oggi, di collegarlo al passato e proiettarlo verso il futuro“.

Cecilia Mangini, Valentina Pedicini, Martina Di Tommaso: il documentario secondo le donne
Ufficio stampa Casa del Cinema di Roma
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