7 tecniche di tortura moderne ancora praticate in questi Paesi

7 tecniche di tortura moderne ancora praticate in questi Paesi
Fonte: Pixabay
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Le prime settimane in cui iniziarono a trapelare i dettagli relativi alla morte di Giulio Regeni, abbiamo fatto i conti con un racconto straziante. Un nostro connazionale era stato torturato a morte in Egitto per ottenere delle informazioni. Ci sono tante cose che non si conoscono ancora di questa storia brutale, ma le tecniche di tortura usate, quello sì – per esempio le scosse elettriche. Si tratta di qualcosa di lontano dalla nostra vita di tutti i giorni, ma è bene conoscere che esistono molti luoghi al mondo in cui queste tecniche di tortura sono praticate e anche avallate dai governi.

Accade anche in molti Paesi occidentali, ma per lo più accade laddove i diritti umani fondamentali sono a stento garantiti – o addirittura per niente. È spaventoso, lo comprendiamo e ancor più capiamo la posizione di associazioni o organizzazioni come Amnesty International che si battono contro questo stato di cose. Abbiamo raccolto alcune delle tecniche di tortura moderne più diffuse e le abbiamo raccontate in questa gallery. Sono escluse quelle che rappresentano un unicum per determinati Paesi. Come il bastinado per esempio, che è una verga con cui vengono colpite le piante dei piedi dei prigionieri nelle prigioni turche.

La Cia ha un vero e proprio manuale per le torture, in vigore quindi negli Stati Uniti – che prende il nome di Kubark, come riporta SocialUp. Si tratta di tecniche basate sulle torture medievali. Per 126 pagine, si imperversa nell’orrore: tutto è finalizzato a estorcere confessioni, ma una domanda è d’obbligo in questi casi. E se le persone confessano cose che non hanno commesso solo per far cessare su di sé la terribile tortura? Nella gallery ci sono le principali torture contenute in Kubark, che è stato messo fuori legge solo nel 2007.

Come ha reso noto Amnesty International nel suo report annuale, nel 2020 si è avuta una riduzione sostanziale dell’uso della pena di morte, anche per via della pandemia che ha diminuito le esecuzioni; in generale, queste ultime sono diminuite del 26% rispetto al dato totale del 2019, registrando così il valore più basso da dieci anni a questa parte e confermando il trend della riduzione che va avanti dal 2015.
È diminuito anche il numero dei Paesi che hanno eseguito condanne a morte (18), mentre le esecuzioni sono diminuite soprattutto in Iraq e Arabia Saudita, mentre a bilanciare i dati c’è stata l’impennata registrata negli Stati Uniti con le ultime condanne dell’era Trump, 10 in cinque mesi e mezzo dopo la ripresa a livello federale a luglio, dopo 17 anni.

Ci sono stati anche altri Paesi in cui le condanne a morte non si sono rallentate, come l’Egitto, che ha più che triplicato il proprio valore annuale, mentre in India, Oman, Qatar e Taiwan sono ripresi gli “omicidi di stato”.
Per quanto riguarda l’Italia, solo nell’estate del 2017 è stato introdotto nel codice penale il reato di tortura, e un articolo del Corriere della Sera cita delle storie che hanno sollevato l’opinione pubblica: le vicende della scuola Diaz durante il G8 di Genova e i casi tragici di Stefano Cucchi, Federico Aldrovandi e Aldo Bianzino, tre persone morte in carcere o durante azioni di polizia. E si potrebbe continuare con altri casi di cronaca che hanno diviso l’opinione pubblica in due fazioni contrastanti: per alcuni le forze dell’ordine possono tutto e agiscono sicuramente per il meglio, per altri ci sono dei confini che non devono essere valicati e chi sbaglia deve pagare.

Ricordare quanti paesi pratichino ancora la tortura, nonostante il 10 dicembre 1984, l’Assemblea generale dell’Onu abbia ratificato la Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura, è ancora, estremamente importante, soprattutto alla luce della data del 26 giugno, Giornata mondiale contro la tortura.