Didone innamorata: donna divisa tra opposte tensioni

Siamo all'inizio del IV libro dell'Eneide: Virgilio dipinge la regale Didone come una donna già in preda al sentimento, un'onda quasi sconosciuta che non sembra governare, un fuoco che lentamente prende corpo nel suo cuore e che sarà suo “compagno” per molto tempo.

Ma la regina ormai tormentata da grave pena, alimenta nelle vene la ferita ed è rosa da cieco fuoco”

Enea ha appena terminato il racconto delle sue avventure e Didone ha già impresse nel suo cuore le parole e il volto dell’eroe. L’agitazione la tormenta, e la speranza ricade nell’appellarsi ad Aurora, la sola dea che è in grado di cacciare le ombre dell’inquietudine amorosa. Emergono i sintomi della patologia d’amore: la metafora della ferita e della fiamma si richiama alla tradizionale rappresentazione dell’amore come vera passione patologica, in latino “insania”. Pazza, disperata per l’immagine costante nella sua anima, Didone si rivolge alla sorella Anna, svelandole i dubbi di questa sconosciuta fiamma, giurando che non avrebbe violato la fede promessa al morto Sicheo.

“..Solo costui piegò i sentimenti e scosse il cuore che vacilla. Conosco i segni della antica fiamma.”

La regina è inconsapevolmente già innamorata, ma divisa tra opposte tensioni: da una parte il ricordo e la fedeltà giurata al marito defunto, dall’altra la stirpe troiana di Enea . Ma l’eroe amato deve necessariamente seguire il Destino, forza superiore che lo porterà ad abbandonare Cartagine e dirigersi verso il Lazio per fondare Roma. Nel frattempo però avviene l’unione segreta “diretta a tavolino” dalle due bellezze divine, Giunione e Venere, le quali scatenano un temporale misto a grandine: giù dai monti corrono e ululano le ninfee, simbolo profetico di nozze. La regina ed il suo amato sono costretti a rifugiarsi nella stessa spelonca e a

…tenersi caldi nel lusso, immemori dei regni (Enea dell’Italia, Didone di Cartagine), e rapiti da turpe passione”

 L’istinto femminile non sbaglia mai: Didone avverte qualcosa di sospetto.

Opera di Stefano Piacenti

Ma la regina presentì le trame (chi potrebbe ingannare uno che ama?) e captò prima di tutti le mosse future, lei che temeva anche quando tutto era tranquillo.

Enea è stato infatti richiamato al suo dovere dal dio Mercurio, messaggero di Giove. E’ ormai deciso a lasciare Cartagine e cerca il momento opportuno per parlare a Didone, la quale è informata successivamente dalle voci che la flotta è già allestita e pronta a salpare. Fuori di sé e accesa dal furore erra per la città intera. Le sue urla risuonano per i grandi palazzi. Avverte il senso della colpa, lo “sbaglio” amoroso: a quell’ospite “strano” ha dato tutto, ha rinunciato alla fama divenendo ostile persino al suo popolo, ha dimenticato i suoi doveri e infine ha dimenticato se stessa. Scissa tra follia, delusione e smarrimento affronta per prima Enea, cercando di distoglierlo dalla sua missione. Le sue parole sono vuote e non hanno potere, poiché nulla può contro il Destino.

Forse fuggi da me? Per queste lacrime, per la tua destra, per la nostra unione, per il nostro matrimonio appena iniziato, se ho qualche merito verso di te, o se hai avuto qualche dolcezza verso di me, io ti prego, abbi pietà della casa che crolla e deponi questa tua idea, se nel tuo pensiero c’è ancora posto per le preghiere..

 Almeno se prima della fuga mi fosse nato da te un figlio, se un piccolo Enea mi giocasse nella reggia, che ti ricordasse nel volto, non sembrerei a me stessa del tutto delusa e abbandonata!

Didone innamorata: donna divisa tra opposte tensioni

Più che un colloquio tra amanti sembra un scontro tra due punti di vista inconciliabili. Di fronte alle parole dell’impulsiva Didone, Enea appare misurato e razionale: pur riconoscendo i meriti della regina, risponde puntualmente alle accuse, a partire dal primo capo d’imputazione, la fuga, con il tono del tipico “eroe fondatore” che sa sottrarsi a un rapporto esclusivo per restituirsi alla comunità e alla missione cui appartiene. Un freddo tecnicismo giuridico introduce la sua difesa: non c’è stato nessun impegno matrimoniale da parte sua.

Riguardo a ciò dirò poco. Né io sperai di nascondere con frode questa fuga, non credere, né mai ho alzato le fiaccole nuziali o venni a tali patti.

[…]

Ora Apollo Grinèo e gli oracoli di Licia mi han comandato di raggiungere l’Italia; questo è il mio amore, questa la mia patria.

[…]

Smetti di incendiare me e te coi tuoi pianti: inseguo l’Italia non spontaneamente.

Didone è ormai disperata: le continue domande retoriche e il richiamo ossessivo a immagini macabre sono sintomo di un’ inquietudine che le blocca il respiro e la ragione. Addirittura si rivolge a se stessa, quasi alienandosi dal confronto verbale con l’eroe Enea:

Io l’ho accolto e buttato sul lido, quando era bisognoso, io, pazza, gli trovai un posto nel regno.

Vinta dal pessimismo e dallo stesso fuoco amoroso sembra non voler più ascoltare le possibili risposte dell’eroe, ora definito “malvagio”.

Vai, insegui pure coi venti l’Italia, cerca pure i regni attraverso le onde. Io Spero davvero che in mezzo agli scogli, se le preghiere hanno ancora potere, tu berrai supplizi e spesso chiamerai per nome Didone! Assente ti inseguirò con neri fuochi e, quando la morte separerà le membra dalla mia anima, sarò ombra in tutti i luoghi. Pagherai, malvagio, il fio.

Nella notte Enea è di nuovo avvertito da un dio dall’aspetto simile a Mercurio: deve necessariamente rompere gli indugi e affrettarsi a partire.

Perchè non ti decidi a fuggire in fretta dato che c’è la possibilità di farlo? Smetti di indugiare, vai. E’ sempre un essere vario e mutevole la donna!

Alla vista delle vele spiegate Didone inizia a battere le mani sul petto e di nuovo parla al suo cuore, in preda alla follia e ad un amore devastante. L’insania le sta oscurando la ragione:

Che dico? O dove sono? Quale pazzia è in grado di cambiare la mente?

Fra i personaggi non c’è stato dunque un vero contatto. Didone vede crollare tutte le sue aspettative: è colpita dalle parole gelide dell’amato come fossero frecce appuntite e riconosce che parole identiche (ad esempio “amor”) vengono caricate dall’uno e dall’altro di significati diversi, troppo distanti per essere conciliati. Ognuno ha infatti la sua verità.

Cosa resta allora? Rimangono le fiamme e la ferita che inizialmente divorò la regina. Ma questo dolore deve essere spezzato e Didone decide di morire: il vulnus d’amore si concretizza nella ferita reale che lei stessa si procura con la spada, dono di Enea, e le fiamme della passione cedono il posto alle fiamme del rogo funebre.

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