
Settimana lavorativa corta o ridotta: i pro e i contro a confronto
Qual è la fattibilità della settimana lavorativa corta o ridotta? In Italia e nel mondo esistono diversi modelli di questo approccio, che si ritiene migliori la produttività.

Qual è la fattibilità della settimana lavorativa corta o ridotta? In Italia e nel mondo esistono diversi modelli di questo approccio, che si ritiene migliori la produttività.
Ciclicamente si torna a discutere di settimana lavorativa corta o ridotta, e se ne parla come fosse il cupo oggetto del desiderio, la chimera, il sogno ingenuo e un po’ illuso. Tuttavia si tratta di una realtà in molte aziende e nazioni del mondo. Per comprendere però cosa potrebbe capitare, è importante conoscere questa misura.
La tradizionale settimana lavorativa prevede, per molte categorie full time di lavoratrici e lavoratori dipendenti, un orario di 40 ore distribuite in 5 giorni lavorativi. Ovviamente questo standard ignora diverse altre categorie e naturalmente anche chi, purtroppo, è costretto a lavoro nero e turni massacranti da romanzo di Charles Dickens. Esiste però, accanto allo standard, una differente filosofia di pensiero: e se per essere più produttivə bastassero meno giorni o meno ore?
Lo standard, come lo conosciamo noi, viene dagli Stati Uniti, come riporta LiveCareer: negli anni 1920, Henry Ford stabilì il lavoro su turni di 8 ore. Curiosamente la questione destò molte perplessità, non tanto per gli orari ma quanto per l’alienazione prodotta a causa della catena di montaggio che lui propugnò. Pochi anni più tardi, nel 1929, arrivò però la Grande Depressione: così i turni si ridussero a 40 ore settimanali, in modo da far lavorare più persone anche se ognuna di loro lavorava meno. In altre parole, mentre in Italia il Fascismo creava l’apparenza di una bassa disoccupazione – legata ai lavori periodici legati a bonifica e restyling delle città – negli Usa si ragionava già come poter alleggerire il più possibile la pressione della povertà sulla popolazione. Tanto che l’economista John Maynard Keynes teorizzò che nel 2030 avremmo lavorato solo 15 ore a settimana, cosa che ovviamente non è avvenuta.
La definizione di settimana lavorativa ridotta prevede invece un orario impiegatizio compreso tra 32 e 37 ore alla settimana, secondo diversi modelli:
Solitamente lo stipendio resta lo stesso, oppure viene ridotto in proporzione al monte ore. Attualmente, anche a causa dell’assenza di politiche ad hoc, la settimana lavorativa corta o ridotta non è il modello prevalente. Può darsi però che questo accada in futuro, ma questo dipende innanzi tutto dai legislatori delle singole nazioni, dalla volontà dei datori e delle datrici di lavoro e naturalmente di lavoratori e lavoratrici. L’idea alla base è quella di un maggior benessere che scaturisce da un impegno più lieve sul piano temporale, ma tuttavia con una spinta in più sul piano qualitativo.
Ci sono dei pro e dei contro nella settimana lavorativa corta o ridotta. I vantaggi sono:
Di contro, chiaramente ci sono gli svantaggi:
In Italia, tecnicamente e legislativamente, ma solo in linea teorica, è previsto che sia nel pubblico che nel privato, chi lavora in ruoli dirigenziali possa gestire le proprie ore settimanali: non se ne svolgono quasi mai di meno, ma spessissimo, a livello pratico, se ne effettuano di più. Tuttavia alcune aziende private stanno avvalendosi di alcuni modelli interessanti: da Intesa San Paolo dove si lavora 4 giorni a settimana per 9 ore al giorno con lo stesso stipendio, a Lavazza dove l’orario il venerdì viene ridotto a 5 ore tra la fine della primavera e la fine dell’estate, passando per Lamborghini e Luxottica in cui molti venerdì possono essere liberi senza vedere decurtazioni sullo stipendio.
Alcune nazioni utilizzano ampiamente la settimana ridotta, come la Danimarca, dove si lavora 37 ore, o la Francia, dove si lavora 35 ore alla settimana. Accordi da 37,5 ore settimanali sono presenti invece in Spagna e Norvegia. Anche diverse aziende private ne stanno beneficiando, dalla sede Bolt degli Usa a quella di Microsoft in Giappone fino a Unilever in Nuova Zelanda.
Vorrei vivere in un incubo di David Lynch. #betweentwoworlds
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