
Cos'è la "Little Treat Culture" e perché Gen Z e Millennial la adorano
La Little Treat Culture non è esattamente una novità, anche se sui social network si è portati a pensare di sì: in cosa consiste questo fenomeno basato sulle piccole ricompense.

La Little Treat Culture non è esattamente una novità, anche se sui social network si è portati a pensare di sì: in cosa consiste questo fenomeno basato sulle piccole ricompense.
La Little Treat Culture è uno dei fenomeni considerati relativamente recenti sui social media, ma in realtà è qualcosa che non è stato inventato ora. Affonda le sue radici nella Token Economy – il sistema di ricompense nei gruppi di auto-mutuo-aiuto nel contrasto alle dipendenze – ma ci sono anche altri elementi di popolarità nel passato di questa pratica. Nel 1990 per esempio, nella serie Twin Peaks, il consiglio che l’agente Dale Cooper dava allo sceriffo Harry Truman e a tutti gli spettatori era: fatti un piccolo regalo al giorno, non programmarlo, può trattarsi di una tazza di caffè, di una camicia nuova oppure di un pisolino.
L’espressione anglofona significa letteralmente “cultura della piccola ricompensa”. E la ricompensa è intesa sia come piacere sia come sorpresa. È appunto qualcosa che non è previsto a monte, un auto-regalo che ci si fa quando si è fatto un buon lavoro, quando si è superato un ostacolo. La tendenza sui social è stata inaugurata nel 2024 e da allora continua a coinvolgere utenti, gruppi di persone (in particolare Millennial ed esponenti della Gen Z) ma anche brand.
Il concetto può apparire semplice ma è abbastanza complesso. Se le generazioni precedenti hanno scelto il “linguaggio della grinta”, si legge su Self, i più giovani provano a fare qualcosa di differente: sposano la soddisfazione, trovano un modo per autogratificarsi per un lavoro ben riuscito. Il che, come vedremo, ha anche un rivolto spiegabile scientificamente. Tuttavia la questione non è esente da critiche, legate alle accuse di consumismo eccessivo. Ma, in fondo, chi l’ha detto che il regalo, come analizzeremo più avanti, deve essere solo materiale?
Sul Guardian c’è un corsivo relativo al viaggio di scoperta a Los Angeles scritto dalla giornalista femminista Arwa Mahdawi: racconta di come sia venuta a contatto con la Little Treat Culture proprio attraverso i marchi, in particolare supermercati di lusso come Erewhon e Whole Foods. È qui che molto spesso i tiktoker all’interno del fenomeno acquistano dolcetti o frullati che vengono a costare 19 dollari (poco meno di 17 euro), o cosmetici costosi e di tendenza. È questo il marketing in fondo, e i brand sfruttano l’ondata di questo fenomeno per fare ciò che è nella loro vocazione: vendere prodotti. Naturalmente questo rappresenta il risvolto della Little Treat Culture che porta a interrogarsi: bisogna spendere davvero un capitale per stare bene con se stessi?
Quante volte ci siamo ritrovati e ritrovate a fare shopping per risollevare il nostro umore? È accaduto a molte persone, anche se poi la serenità forse è durata poco, dipende dai casi. Tuttavia la questione dell’autogratificazione ha una spiegazione scientifica: quando ci facciamo un regalo per migliorare il nostro umore, il cervello rilascia la dopamina, ovvero il cosiddetto ormone della felicità.
Ma il punto è un altro: dobbiamo davvero svuotare il nostro portafogli per essere felici? La risposta è no: ci sono tanti piccoli piaceri che possono essere auto-concessi gratuitamente o quasi. Magari consistono nella ricerca di un abbraccio da una persona cara, forse sono rappresentati da una tazzina di caffè a metà mattina, presa al bar dell’angolo dietro casa o dietro l’ufficio, oppure semplicemente concedersi di ballare per qualche minuto come pausa sulle note della propria canzone di Lady Gaga preferita. Poi chiaramente qualche piccolo acquisto ci sta: un lucidalabbra, un croissant, della piccola bigiotteria. Ma questo non può succedere ogni giorno, non possiamo riempirci di cose per pensare di riempire il buco che abbiamo nel cuore (come in quella fiaba per bambini di Anna Llenas in cui una bambina ha una voragine che cerca di colmare in ogni modo, ma poi scopre che solo le relazioni umane possono rimpicciolire il buco, che tuttavia non può mai scomparire perché fa parte del sé).
Nel bene e nel male sono i social media oggi che contribuiscono nella diffusione dei fenomeni culturali. Filosofie come quella della Little Treat Culture diventano subito virali e si autoalimentano perché le nostre ricerche e tutto quello che facciamo in rete viene rielaborato in modo da diventare strumento di marketing. E quando un fenomeno di questo genere incontra lo shopping, si comprende facilmente come i social network ci si buttino dentro a capofitto (d’altra parte sono essi stessi aziende in cerca di guadagno).
Per i Millennial e la Gen Z, spesso le piccole auto-gratificazioni riguardano qualcosa di molto comune, come aver fatto bene un bucato o essere riusciti a stirare una montagna di vestiti (per qualcuno, soprattutto quanto si lavora tanto, potrebbe essere un grosso ostacolo, proviamo sempre a metterci nei panni degli altri, quello che è facile per noi potrebbe non esserlo per qualcun altro). Oltre ai piccoli mestieri casalinghi, l’autogratificazione può giungere durante una piccola pausa dal lavoro: immaginiamo di essere per ore davanti a uno schermo, e quindi periodicamente è importante staccare, chiudere gli occhi o fare una passeggiata (anche i vostri occhi ne gioveranno). La passeggiata può essere una di quelle auto-gratificazioni a costo zero: prendetevi il tempo ogni giorno per visitare un posto nuovo della vostra città o del vostro paese e dintorni, camminate in campagna. Conoscere cose nuove o respirare aria pulita possono essere alcuni tra i più grandi regali da fare a voi stessi.
Vorrei vivere in un incubo di David Lynch. #betweentwoworlds
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