Referendum sul divorzio in Italia: storia di una legge che cambiò la famiglia

Una storia che merita di essere conosciuta e una legge che ha cambiato il nostro Paese. Ecco come si arrivò al Referendum sul divorzio in Italia e cosa accadde dopo

Il 12 e 13 maggio del 1974, ormai cinquant’anni fa, si è svolto uno dei momenti più significativi della storia recente del nostro Paese. Una data che, per chi c’era, non può essere dimenticata, e per chi non c’era è bene conoscere. Il motivo? In queste due giornate storiche di cinquantuno anni fa, le donne e gli uomini aventi diritto di voto furono chiamati a rispondere al referendum sul divorzio in Italia.

Un momento che ha segnato in modo netto la storia della nostra Repubblica. Due giorni che e videro una maggioranza definita di persone, votare a sfavore dell’abrogazione della legge che, quattro anni prima, aveva introdotto in Italia il diritto a divorziare dal proprio matrimonio.

Il contesto storico del referendum sul divorzio del 1974

Un netto 59% di No, rispetto al quasi 41% di SÌ. Un voto che impedì la cancellazione della norma che nel ’70 era stata introdotta e votata a maggioranza dal parlamento e che, di fatto, ha visto il popolo italiano difendere un istituto giuridico che, già in altre occasioni, si era provato a ridimensionare se non a cancellare.

La rivendicazione di un diritto che andò a marcare il laicismo in Italia. Ma che mise anche in evidenza il taglio netto di una buona parte della popolazione dall’influenza della Chiesa e del conservatorismo.

Una presenza, quella clericale, che già a partire dall’Unità d’Italia nel 1861 aveva interrotto sul nascere ogni tentativo di promuovere una legge sul divorzio. E che, con la dittatura fascista delle prime decadi del 1900, ne aveva completamente chiuso la questione.

Nel dopoguerra, poi, seppur in alcuni casi fosse possibile annullare il matrimonio (ricorrendo alla Sacra rota, uno degli organismi di giustizia della Curia romana), questa procedura era molto complicata da seguire, prevedendo delle condizioni estremamente vincolanti per la libertà dell’individuo e soprattutto, neanche a dirlo, per le donne.

Il contributo delle donne

Una condizione che vide un primo significativo cambiamento durante gli anni ’60, grazie all’impegno enorme promosso dai gruppi femministi dell’Unione donne in Italia (UDI) e dalla Lega italiana per il divorzio (LID).

Un impegno che portò a ottenere un confronto e dibattiti complicati e accesi tra i partiti in parlamento, che, dopo anni e un percorso pieno di ostacoli, riuscirono ad arrivare, nel 1970, al varo della legge n.898, detta Fortuna-Baslini (nome dei primi firmatari, il socialista Loris Fortuna e il liberale Antonio Baslini), e che introdusse in Italia il diritto al divorzio.

Referendum sul divorzio in Italia: le campagne a favore e contro

Una legge che, di fatto, si pose come un traguardo significativo per il nostro Paese ma che, al tempo stesso, generò non pochi problemi e dibattiti.

In primis dalla Chiesa, nella figura del Papa Paolo VI, che si espresse in opposizione a questa possibilità (come forse prevedibile). Ma anche nei vari gruppi di cattolici che, per la prima volta in Italia, si avvalsero di uno strumento previsto dalla carta costituzionale: il referendum popolare abrogativo. Già un anno dopo la legge, nel 1971, si raccolsero le 500mila firme richieste previste (arrivando a 1 milione e 300mila firme depositate in Cassazione), in vista della consultazione fissata infine il 12 e 13 maggio 1974.

Il Comitato nazionale per il referendum sul divorzio (CNRD), riunito attorno al giurista Gabrio Lombardi e ampiamente supportato da personalità di spicco, era pronto a battersi per abrogare la legge e riaffermare la centralità del cattolicesimo in Italia.

Referendum sul divorzio in Italia, una battaglia identitaria

Una lotta contro il divorzio e la legge Fortuna-Baslini che si trasformò in una battaglia identitaria, fatta di lotte politiche e di tentativi di scavalcare i partiti del parlamento. Arrivando, quindi, a mettere in mezzo il popolo, convinti che gli fosse stato fatto un torto e un tradimento morale. Ma di fatto ponendo le basi a un enorme passo falso per gli antidivorzisti.

I giornalisti e le personalità di spicco del tempo si schierarono apertamente per l’una o l’altra parte. Comparvero slogan di ogni tipo, alimentando paure, senso di colpa e cercando di criminalizzare i sostenitori del divorzio. Nella sua propaganda, la DC, utilizzava ragazze che dicevano di volere un marito che credesse nel matrimonio e nella famiglia piuttosto che nel divorzio. E arrivando anche a produrre un documento, riportando un rapporto dell’ONU riferito alla delinquenza negli Stati Uniti, in cui si sottolineava che il 45% degli arresti fatti, erano ragazzi con meno di 18 anni e quasi tutti figli di genitori divorziati.

I risultati del voto del referendum sul divorzio

A favore della legge, si posero tutta una schiera di partiti, dal Partito comunista al Partito socialista, il Partito liberale, il Partito repubblicano e il Partito socialdemocratico. E fino al Partito radicale di Marco Pannella.

Contro il divorzio, invece, si posero il Movimento sociale italiano – Destra nazionale (MSI-DN) e, in prima fila la Democrazia Cristiana. Il partito di maggioranza relativa e che, nella figura di Amintore Fanfani, segretario dello stesso, sosteneva la convinzione che l’Italia non volesse questo cambiamento, visto come l’avvio di un rovino declino morale.

Il 12 e 13 maggio 1974, con il referendum sul divorzio in Italia, il primo referendum della storia della Repubblica, gli italiani con diritto di voto, furono chiamati a dire la loro riguardo alla questione, e di fatto decidendo a favore o contro l’abrogazione della legge sul divorzio.

Un plebiscito di più di 33 milioni di persone, l’87,72 per cento di persone di presentò alle urne, votando NO con il 59,26 per cento dei voti e vincendo il referendum. E di fatto ponendosi in difesa del diritto acquisito quattro anni prima e, di fatto, confermando in via definitiva la legge sul divorzio.

Le conseguenze sociali e culturali del referendum sul divorzio in Italia

Una vittoria che portò non poche delusioni per i cattolici e che condusse, nel corso degli anni a seguire, a tutta una serie di aperture a volte anche piuttosto contradditorie. Quello che avvenne, poi, fu una presa di coscienza sicuramente amara che, l’influenza politico-culturale del Vaticano e del cattolicesimo, che per tantissimi anni era stata molto forte e determinante, stava calando in modo significativo. Un aspetto che sottolineò come  l’Italia degli anni ’70 era completamente diversa da quella che era stata fino a ora.

Una spaccatura che si ebbe anche all’interno della Chiesa stessa visto che una parte del mondo cattolico si pose a favore del diritto al Divorzio, andando contro corrente durante il Referendum sul divorzio in Italia e contravvenendo alle indicazioni del clero.

Una vera e propria “crociata elettorale” che si trasformò in un cambiamento epocale per il nostro Paese, forte della sua libertà e della voglia di scardinare l’influenza della Chiesa e dei partiti, in favore dei diritti che toccano la vita di ognuno di noi, al di là del credo e delle convinzioni personali.

Il divorzio oggi: com’è cambiata la legge

Una legge nata nel 1970, confermata con il referendum sul divorzio in Italia nel 1974 e che, nel corso degli anni si è vista modificare e “snellire”, quanto meno nella procedura e nei termini.

Per esempio, con la legge n. 74 del 6 marzo del 1987 ,la legge originaria venne modificata, diminuendo da 5 a 3 anni il periodo necessario per la separazione coniugale e che permetteva l’accesso al divorzio. E passando poi a un anno con la legge numero 55 del 6 maggio 2015, in caso di separazione giudiziale, e sei mesi in caso di separazione consensuale.

La Riforma Cartabia del 2022

Nel 2022, con la Riforma Cartabia, vennero introdotti ulteriori cambiamenti rispetto alla legge confermata durante il referendum sul divorzio in Italia, e portando a tutta una serie di semplificazioni, tra cui:

  • una facilitazione delle procedure consensuali grazie al ricorso congiunto, che snellisce le procedure le se separazioni o divorzi con accordo delle parti, e andando a ridurre in modo significativo costi e conflitti;
  • una maggior attenzione ai figli e al loro benessere, con massima priorità all’interesse dei minori e agli impegni riguardo all’educazione, la cura, ecc.;
  • una maggior promozione della mediazione familiare per risolvere eventuali dispute e promuovendo un approccio più collaborativo e volto alla comunicazione
  • alcune modifiche procedurali, come l’introduzione di un solo giudice dal principio del procedimento, eliminando l’udienza presidenziale e accelerando il processo stesso e le sue tempistiche.

In più, oggi, già durante l’atto di separazione è possibile dichiarare l’intenzione dei coniugi di procedere al divorzio, tagliando di molto le tempistiche (una volta ottenuta la separazione occorreranno sei mesi per proseguire con il divorzio). 

La discussione continua nel gruppo privato!
Seguici anche su Google News!