Il termine “green economy” sta diventando sempre più familiare e diffuso, non solo tra gli addetti al settore ed esperti di sostenibilità. Lo stesso non si può dire di “blue economy”, un concetto emergente che incoraggia lo sfruttamento sostenibile, l’innovazione e la gestione degli oceani e delle risorse “blu”.

Ecco di cosa si tratta e perché è così importante per il futuro del Pianeta.

Blue economy: cos’è?

“Blue economy” – anche conosciuta come economia oceanica – è un termine usato per descrivere le attività economiche legate agli oceani e ai mari. La Banca Mondiale definisce la blue economy come:

l’uso sostenibile delle risorse oceaniche a beneficio delle economie, dei mezzi di sussistenza e della salute dell’ecosistema oceanico.

Si stima che valga più di 1,5 trilioni di dollari all’anno a livello globale. Fornisce oltre 30 milioni di posti di lavoro e rappresenta una fonte vitale di proteine ​​per oltre tre miliardi di persone. Secondo le previsioni dell’OCSE, l’economia oceanica potrebbe raddoppiare le sue dimensioni fino a raggiungere i 3 trilioni di dollari entro il 2030.

La blue economy è, come è facile dedurre dal nome, legata alle opportunità economiche, ma è anche focalizzata sulla protezione e lo sviluppo delle risorse “blu” più immateriali come i modi di vita tradizionali, il sequestro del carbonio e la resilienza costiera per di aiutare gli stati vulnerabili a mitigare gli effetti devastanti della povertà e del cambiamento climatico.

Blue economy e green economy

Negli ultimi anni c’è stata una sempre maggiore attenzione alla cosiddetta “green economy”, ovvero a quella che Treccani definisce una

forma economica in cui gli investimenti pubblici e privati ​​mirano a ridurre le emissioni di carbonio e l’inquinamento, ad aumentare l’efficienza energetica e delle risorse, a evitare la perdita di biodiversità e conservare l’ecosistema.

Il ruolo dell’economia marina e di un uso sostenibile delle sue risorse, invece, è rimasto in secondo piano. Eppure, come spiega il report di KPMG, “You can’t go Green without going blue”, perché “la ‘blue economy’ è cruciale per gli obiettivi ESG delle organizzazioni”:

Non si può ignorare la componente ‘blue’ della transizione ‘green’ poiché gli oceani influenzano tutti i cicli naturali e sono direttamente e indirettamente coinvolti in tutti i settori economici. Gli oceani producono fino all’80% dell’ossigeno che respiriamo, mentre il sostentamento di quasi il 40% della popolazione mondiale dipende dalla biodiversità marina e costiera.

Esempi e iniziative

Le attività comunemente incluse nell’economia blu sono il trasporto marittimo, la pesca e l’acquacoltura, il turismo costiero, le energie rinnovabili, la desalinizzazione dell’acqua, il cablaggio sottomarino, le industrie estrattive dei fondali marini e l’estrazione mineraria in acque profonde, le risorse genetiche marine e la biotecnologia.

Diversi Paesi, tra cui Kenya, Vietnam, Samoa, India e Cina hanno incorporato la Blue Economy nelle loro strategie di sviluppo. Per esempio, la Binh Thuan Fisheries Association vietnamita ha istituito un programma di gestione della comunità per incoraggiare pratiche di pesca sostenibili. Il programma ha portato al ripristino della pesca delle vongole, principale fonte di reddito per la comunità locale, in meno di un anno. Le nuove pratiche di pesca introdotte dal programma hanno portato il reddito dei pescatori locali da 15 a 25$ al giorno.

Uno degli obiettivi principali per la Vision 2030 del Kenya, invece, è sviluppare la pesca del tonno in mare aperto del Paese, che i pescatori domestici attualmente sottoutilizzano. Altre iniziative includono l’allevamento di alghe, lo sviluppo dei porti, la navigazione e il turismo.

Blue economy e sostenibilità

Gli oceani svolgono un ruolo fondamentale nella regolazione della temperatura terrestre, nell’assorbimento di anidride carbonica e nel sostenere la biodiversità e i mezzi di sussistenza di milioni di persone.

L’High Level Panel for a Sustainable Ocean Economy stima che l’economia oceanica possa contribuire per il 21% alla riduzione delle emissioni di gas serra necessaria per raggiungere l’obiettivo dell’Accordo di Parigi e limitare l’aumento della temperatura globale media a 1,5°C entro il 2050. Suggerisce, inoltre, che un un aumento significativo della produzione alimentare sostenibile proveniente dagli oceani (anche chiamata “blue food“, un termine che include attività di pesca, alghe, acquacoltura e maricoltura) potrebbe soddisfare le esigenze di una popolazione globale in crescita e ridurre la pressione sui sistemi alimentari terrestri.

Benefici climatici positivi possono anche essere generati attraverso la finanza oceanica (o “finanza blu”), ovvero gli strumenti finanziari e gli investimenti necessari per raggiungere un’economia oceanica sostenibile, attraverso cui ogni dollaro investito in azioni oceaniche potrebbe restituire 5$ in benefici sostenibili.

Uno degli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG) delle Nazioni Unite è dedicato specificatamente agli oceani: il numero 14, “La vita sotto l’acqua”, infatti, mira a conservare e utilizzare in modo sostenibile gli oceani, i mari e le risorse marine e stabilisce sette obiettivi per un’economia oceanica sostenibile entro il 2030.

Finora, però, i progressi verso il raggiungimento di questi obiettivi sono stati limitati. Ci sono stati alcuni piccoli miglioramenti nella sostenibilità della pesca e un’espansione delle aree marine protette (AMP), ma queste coprono solo il 7,5% circa degli oceani.

La blue economy in Italia

Secondo l’edizione 2021 del “The EU Blue Economy Report” della Commissione europea Blue Economy, in Italia “l’economia blu” dà lavoro a quasi 530.000 persone e genera oltre 23,7 miliardi di euro di valore aggiunto. Nel 2018 il settore costituiva il 2,3% dell’occupazione nazionale e l’1,5% del PIL. Il nostro Paese è terzo in Europa per ricchezza prodotta.

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