"Le marocchinate del 44": come lo stupro di massa di 20.000 donne italiane è stato dimenticato

Un documentario prova a ridare voce alle donne del Basso Lazio, violentate dalle truppe alleate: più di 30 testimonianze per squarciare il velo di silenzio che per anni ha coperto la vergogna di abusi sessuali di massa mai condannati e mai risarciti.

Lo stupro di guerra – e in generale le violenze sessuali perpetrate in contesti bellici – soltanto negli ultimi anni non è più visto come un “naturale effetto collaterale della guerra”: oggi è condannato con forza e rientra fra i crimini di guerra e contro l’umanità.

L’obbligo a prostituirsi delle comfort women, “donne di conforto” costrette a diventare schiave sessuali dalle forze occupanti, ne è una delle possibili, aberranti, modalità. Ad oggi, invece, non ne fanno parte le marocchinate del 44, lo stupro di massa a danno della popolazione femminile (ma anche di alcuni bambini e preti) perpetrato dai Goumier, i soldati di nazionalità marocchina incorporati nell’esercito francese dal 1908 al 1956.

Nell’ottobre del 1943, i nazisti avevano tracciato dal Basso Lazio alla costa abruzzese la Linea Gustav, una linea difensiva fortificata che divideva l’Italia a metà: a nord i tedeschi, a sud gli alleati; in mezzo, i civili già provati da anni di guerra, fame, bombardamenti e devastazioni. Le colline tra Frosinone e Cassino, dove molte delle donne e dei pochi uomini rimasti si erano rifugiati, nel maggio del ’44, dopo lo sfondamento della Gustav che costrinse i tedeschi ad arretrare fino alla linea Hitler, più a nord, furono teatro di uno degli stupri di massa più feroci della storia recente. Alle cosiddette marocchinate del 44, Damiana Leone, nipote di una delle tante donne violentate dai Goumier dell’esercito francese, ha dedicato tre anni di ricerche, uno spettacolo teatrale (Ninetta e le altre ) e ora Le marocchinate del 44, un documentario che possa ridare voce a quelle tante donne  violentate e spesso vittime anche di malattie, gravidanze, pregiudizi ed emarginazione.

In una continua oscillazione di cifre, si calcola che vennero violentate e brutalizzate almeno 20.000 donne, di tutte le età, e una cifra imprecisata di bambini e uomini. Un caso unico nella storia della seconda guerra mondiale e non solo, totalmente lontano dalla contrapposizione tra fascismo e anti-fascismo. Piuttosto una scheggia dell’orrore del colonialismo arrivata in Italia per volontà dell’esercito francese, tutt’ora non riconosciuta come stupro di guerra e quindi come crimine contro l’umanità“, spiega la regista.

Di fondo, un silenzio calato su tutte e su tutti, che solo con difficoltà Damiana Leone ha rotto iniziando a parlare prima con sua nonna, poi con la nonna dell’autrice della fotografia, con la madre della produttrice del documentario e poi con le zie, le amiche di famiglia, fino ai figli e ai nipoti delle vittime che di stupri e violenze sono stati testimoni.

Dimenticare per ricostruire“: è così che Fiorenza Taricone, professoressa dell’UNICAS di Cassino (consulente storica del documentario insieme a Tommaso Baris, dell’Università degli Studi di Palermo) spiega, in parte, il velo di omertà calato sulle marocchinate, a lungo giustificate per quello stereotipo duro a morire che vede contrapposti da una parte l’esuberanza sessuale maschile e dall’altra l’innata sottomissione femminile.

In realtà è a quelle donne, alla loro forza e alla loro dignità, che è stata lasciata la ricostruzione di un Paese reduce da un ventennio fascista e una guerra devastante, che lo avevano completamente distrutto, economicamente, urbanisticamente ed eticamente. L’avvento del governo della Democrazia Cristiana e della morale piccolo borghese avrebbero fatto il resto. Una rimozione così profonda da non trovare rispondenza neanche con il successo mondiale de La ciociara, capolavoro di Vittorio De Sica tratto dal romanzo di Alberto Moravia, che nel 1962 era fruttato un Oscar a Sophia Loren per la sua interpretazione: Cesira e sua figlia dodicenne Rosetta sono assalite e violentate da un gruppo di soldati nordafricani durante il cammino che le doveva riportare dal Basso Lazio a Roma. Un successo mondiale che non fu sufficiente a gettare una luce sulle migliaia di vittime mai risarcite di quello che fu a tutti gli effetti uno stupro di massa.

Queste donne mi hanno fatto sentire con le spalle coperte, perché se sono riuscite a fare quello che hanno fatto, mi chiedo quanto potremmo fare noi, invece. Mi hanno fatto capire, insomma, cosa significa essere donna“, ha chiosato ancora Leone, che fa notare come sia indispensabile che le marocchinate non vengano strumentalizzate dal sistema patriarcale: squarciare il silenzio non deve significare il dare la stura alla caccia ai magrebini in nome di una vendetta, ma il dare voce alle vittime per tentare di superare insieme il trauma trans-generazionale, affinché non accada ancora; affinché mai più si consideri lo stupro di guerra un effetto collaterale.

Le marocchinate del 44
Una foto di scena di Le marocchinate del 44, diretto da Damiana Leone (Courtesy Press Office)

Scheda del documentario Le marocchinate del 44

Il film di Damiana Leone, la cui lavorazione è durata 3 anni, è interamente ambientato nel Cassinate. La voce narrante della regista è affiancata dagli storici Tommaso Baris e Fiorenza Taricone.

Le marocchinate del 44 prende le mosse dall’intervista alla nonna della regista che ricorda il tentativo di stupro da lei subito da parte dei Goumier. Attraverso quasi 30 interviste si ripercorrono le tappe dalla guerra alla ricostruzione, fino ad arrivare ai nostri giorni e agli stupri di guerra contemporanei. Il risultato è un lavoro che affonda totalmente nel “femminile familiare“di coloro che hanno realizzato il film, dove un microcosmo diventa un’immagine del macrocosmo e della grande storia.

È prodotto da Mariella Li Sacchi e Amedeo Letizia di Qualityfilm, con il sostegno del MIC per l’audiovisivo, il Patrocinio di Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale. La fotografia è di Gioia Onorati, il montaggio di Giuseppe Treppiedi e le musiche di Massimo Martellotta.

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