L’autocompassione si riferisce ai modi sani di relazionarsi con sé stessi nei momenti di sofferenza, che siano causati da un fallimento personale, da una percezione di inadeguatezza o da difficoltà generali della vita.

Si tratta quindi di un esercizio che consente di accettarsi, comprendere i propri limiti e le imperfezioni che ci rendono umani.

Cos’è l’autocompassione?

L’autocompassione è semplicemente la compassione per se stessi, ovvero la sensibilità alla propria sofferenza e il conseguente desiderio di alleviarla, ovvero trattare sé stessi con la stessa cura e attenzione che si dedicherebbero a un amico in difficoltà.

Sebbene l’autocompassione affondi le sue radici nelle prime pratiche meditative buddiste, il concetto è stato elaborato recentemente dalla dottoressa Kristin Neff:

Avere compassione per se stessi non è diverso dall’avere compassione per gli altri. Pensate a cosa si prova nell’esperienza della compassione. In primo luogo, per avere compassione per gli altri bisogna accorgersi che stanno soffrendo. Se ignorate quel senzatetto per strada, non potete provare compassione per la difficoltà della sua esperienza. In secondo luogo, la compassione consiste nel sentirsi toccati dalla sofferenza degli altri, in modo che il cuore risponda al loro dolore (la parola compassione significa letteralmente “soffrire con”). Quando ciò accade, si prova calore, attenzione e desiderio di aiutare la persona che soffre in qualche modo. Avere compassione significa anche offrire comprensione e gentilezza agli altri quando falliscono o commettono errori, invece di giudicarli duramente. Infine, quando si prova compassione per un altro (piuttosto che semplice pietà), significa che ci si rende conto che la sofferenza, il fallimento e l’imperfezione fanno parte dell’esperienza umana comune.

La dottoressa individua 3 componenti dell’autocompassione:

  1. Autocompassione vs autogiudizio: chi è autocompassionevole riconosce di essere imperfetto e accetta la possibilità di fallire, di non raggiungere esattamente ciò che desiderava. Arrabbiarsi davanti ai fallimenti o alla sofferenza non fa altro che alimentare lo stress, l’autocritica e la frustrazione.
  2. Umanità comune vs. isolamento: la frustrazione causata dagli accadimenti negativi della vita è spesso accompagnata da un senso di isolamento, come se “io” fossi l’unica persona a soffrire o a commettere errori. L’autocompassione implica il riconoscimento della sofferenza come qualcosa facente parte dell’esperienza umana universale, che quindi tutti sperimentano nelle forme più disparate.
  3. Mindfulness vs. eccessiva identificazione: l’autocompassione richiede anche un approccio equilibrato alle emozioni negative che può derivare solamente dal confronto delle proprie esperienze personali con quelle degli altri. Allo stesso modo ha un peso consistente la volontà di osservare i propri pensieri e le emozioni negative in modo chiaro e senza giudizi, osservandoli semplicemente così come sono.

I benefici dell’autocompassione

Lo studio della dottoressa Kristin Neff dal titolo An examination of self-compassion in relation to positive psychological functioning and personality traits, ha evidenziato gli effetti positivi dell’autocompassione sulla psiche:

  • Felicità;
  • Maggiore ottimismo;
  • Buon umore;
  • Saggezza;
  • Slancio verso iniziative personali;
  • Senso di curiosità e voglia di esplorare;
  • Coscienziosità;
  • Maggiore estroversione.

Ulteriori benefici derivanti dall’autocompassione sono la diminuzione dello stress, un miglioramento dell’autostima, una soddisfazione maggiore della propria vita perché si riesce a guardare agli errori come opportunità di crescita e di apprendimento invece che come mero riflesso negativo del proprio modo d’essere o della propria inettitudine.

L’autocompassione rappresenta anche un aiuto per chi soffre di ansia e depressione come puntualizza la dottoressa Elizabeth Fedrick:

Quando siamo severi o critici nei confronti di noi stessi, possiamo entrare in un cosiddetto “stato di minaccia”, in cui si attiva il centro emotivo del nostro cervello e si attiva la risposta “combatti o fuggi. […] Aumentare la capacità di dimostrare compassione verso i nostri errori e le nostre difficoltà ci aiuta a non cadere in uno stato di minaccia, contribuendo così a ridurre alcuni problemi di salute mentale.

Self-compassion: come svilupparla e praticarla

La sfida intrinseca dell’autocompassione consiste nell’estendere un abbraccio amorevole a sé stessi proprio quando questo riesce difficile. Per fare pratica e abituarsi alla self-compassion ecco alcuni suggerimenti per svilupparla:

Scrivere un diario

Tenere un diario giornaliero in cui elaborare gli eventi difficili o dolorosi della giornata attraverso una lente di autocompassione può migliorare il benessere mentale ed emotivo. Si tratta di un esercizio che stimolerà quotidianamente anche la consapevolezza, la gentilezza verso sé stessi e il senso di umanità comune.

Regalarsi piccoli gesti di gentilezza

Trovare piccoli modi per essere gentili con se stessi nei momenti difficili consente di praticare l’autocompassione. Prepararsi una tazza di tè caldo, guardare un video divertente (magari costruendo una sorta di “biblioteca delle risate” per i giorni difficili), concedersi delle brevi passeggiate, qualsiasi iniziativa positiva che sia di ristoro è valida.

Ascoltare i propri bisogni

La psicologa Deanna Denman suggerisce di farsi la domanda dell’autocompassione per eccellenza nel corso della propria giornata, ovvero: “Di cosa ho bisogno in questo momento?”. Che sia una pausa, un pisolino per ricaricare le batterie o una conversazione con un amico, è fondamentale ogni tanto fermarsi e ascoltare quali sono le proprie esigenze del momento.

Meditare

Grazie alla meditazione, in particolare quella guidata, è possibile esercitare l’autocompassione facendo spazio tra pensieri e sentimenti e imparando a rifiutare i condizionamenti negativi della propria voce autocritica. Il percorso di meditazione guidata si concentra sul respiro e l’ascolto del proprio corpo e può essere intrapreso facilmente grazie ad app di meditazione come Headspace o mediante le registrazioni audio del dottor Stephen Hickman, psicologo e direttore operativo dell’organizzazione no-profit Global Compassion Coalition, insegnante e formatore certificato di autocompassione consapevole.

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