L'aborto fa paura perché è (anzi era) una perdita di manodopera

Riflessione sul significato dell'aborto e della maternità in una società capitalista. Non è infatti un caso che siano le persone più povere e discriminate ad essere impossibilitate ad accedere alla pratica abortiva

Quando parliamo di aborto, apriamo una discussione profonda, legata a diversi ambiti della vita umana. Parliamo di diritto individuale e collettivo, parliamo delle sedi che ne determinano la fruizione e di chi le abita. Integriamo la prospettiva di chi le abita, spesso ritrovandoci a fare i conti con credenze e convinzioni che hanno poco di secolare e troppo di temporale.

Si apre il dilemma morale, meglio il credo di qualcuno o la scelta di chi è direttamente interessato? E soprattutto, quale credo? Rimaniamo quindi incastrati – ed è giusto, perché il diritto va difeso e come dimostrano i recenti avvenimenti non possiamo cedere di un centimetro – in una conversazione a due poli, perdendo diversi piani e diverse motivazioni che stanno dietro alle mentalità antiabortiste. Nel rumore si perdono attori, uno in particolare, abilissimo nel nascondersi dietro all’ombra della religione : il capitale.

Riproduzione di capitale 

Il sistema neoliberista è fortemente antiabortista, anche se ammetterà sempre il contrario. Lo svelano le sue dinamiche estrattive, gli elementi chiave di cui si nutre per esistere e moltiplicarsi. Dopotutto, essendo un sistema antropico, quindi non derivato da processi naturali ma da precise scelte umane (dei pochi privilegiati a sufficienza da poter aprire tale conversazione). Manca dunque di meccanismi di riproduzione autonomi. Per sopperirvi, ha ideato prodotti e operato acquisizioni capaci di generare tale perpetuazione nel tempo e nello spazio: cultura, controllo riproduttivo e colonialismo. Questi fattori nella loro estensione permettono di leggere chiaramente che il capitale, per prosperare, ha bisogno di persone da cui estrarre valore

Prole, diritto o ricchezza?

Il termine proletariato indicava una classe umana la cui unica ricchezza era la prole. La prole però non appartiene agli individui che la generano, ma al capitalismo stesso nel momento in cui riesce ad integrarla come risorsa. Le gestazioni forzate, ovvero tutte quelle derivate dall’impossibilità di accedere alla pratica abortiva, permettono al sistema di garantirsi una produzione costante di capitale umano, di persone da inquadrare in un sistema di consumo-lavoro che le accompagnerà in ogni fase della loro vita. 

Liber* di scegliere, o forse no

Le gravidanze coatte hanno un ulteriore valore, quello di ridurre la libertà di agency delle donne e connettendo un’eventuale volontà abortista alla devianza criminale. Rendendo l’aborto illegale, o inarrivabile se non con pratiche illecite, si etichettano le persone che scelgono di abortire come criminali. Persone che, stando ai vari indicatori di divari di genere, sono già pesantemente discriminate dal sistema socio-economico in cui svolgono le proprie esistenze, inquadrate come cittadini e cittadine di serie B : donne, persone razzializzate, persone di fede musulmana, soggettività trans* o non binari, persone disabili.

Il capitalismo è un sistema che lavora per accumulo e risparmio, è economico in un’accezione differente da quella che gli attribuiamo. Fa economia di servizi per aumentare l’accumulo. Per risparmiare sul sistema di cura e non assumersi i compiti essenziali di uno stato sfrutta i ruoli e le aspettative di genere, costringendo le donne a un lavoro di cura non retribuito che realizza un welfare alternativo, non calcolato e penalizzate per le biografie delle dirette interessate. 

Questioni di scelte

Il capitale si riproduce per accumulo di corpi, umani e non umani. Le nostre funzioni biologiche sono ritualizzate per essere amministrate e incanalate in modo da estrarne profitto. Quindi maggiore è lo spazio di azione del singolo, più ampia è la sua capacità di scelta, minore è la prevedibilità e quindi la continuità garantita al capitalismo. La libertà di scelta, la programmaticità autonoma, la rottura dei ruoli di genere costituiscono minacce a cui il capitalismo sa di non poter sopravvivere. 

L’interruzione volontaria di gravidanza è un diritto umano trasversale, che interessa la sfera della salute come quella dell’autodeterminazione, intersecandosi con la tutela dalla violenza di genere. L’aborto, in tutte le sue forme, libero e legale, preservato e tutelato dalle leggi è un diritto di cura verso quei soggetti altamente oppressi dal patriarcato capitalista. L’antiabortismo, avvolto nei sudari della religione, che parla di anime negando la dignità umana degli individui esistenti e desiderosi di fare una scelta, è un’espressione del capitalismo più spassionato.

L’aborto è una perdita di manodopera. Il fatto stesso che siano i gruppi sociali più marginalizzati a subire le conseguenze più aspre delle legislazioni antiabortiste non è casuale, essi infatti sono quelli più sfruttati dal sistema capitalista.

Più che corpi, persone.

Scegliere di avere un figlio, di portare a compimento una gravidanza, in salute e sicurezza è una libertà potente e non scontata, tanto quanto quella di interrompere la gravidanza. La scelta è il terreno scomodo per il capitalismo, l’imprevedibilità e la capacità di determinazione autonoma lo destabilizzano al punto da aver bisogno di rendere le gravidanze una forzatura collettiva. 

Difendere il diritto all’aborto, significa tracciare un solco profondo oltre il quale il sistema non deve andare, quello dei nostri corpi. Potenti, liberi e connessi solo alla nostra volontà, perché non siamo solo corpi di cui disporre, ma persone.

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