Hina Saleem e Sana Cheema, ragazze uccise per aver detto "no" al matrimonio combinato

Hina Saleem e Sana Cheema sono solo due delle ragazze uccise per aver rifiutato di unirsi in un matrimonio combinato. Anche nel nostro Paese sono stati moltissimi, negli anni, i casi di giovani donne assassinate per aver voluto vivere "all'occidentale".

Molto spesso, per le famiglie straniere che approdano in un paese nuovo, imparare a convivere serenamente con la cultura e le tradizioni del luogo che li ospita e che diventa la loro nuova casa non è facile.

Capita così che i primi ad apprendere meglio gli usi e i costumi del nuovo paese, a farli propri e ad adeguarvisi siano i figli, i ragazzi più giovani, soprattutto se nati lì o se trasferiti da molto piccoli. Le cose, però, non sempre sono semplici, in particolare quando lo stile di vita perseguito dai figli cozza in modo importante con i precetti religiosi o culturali della famiglia di appartenenza; abbiamo spesso parlato dell’usanza, ancora in vigore presso molti popoli, del matrimonio combinato, tradizione ai nostri occhi arcaica e persino lesiva della libertà individuale consacrata dal diritto internazionale, eppure tuttora perno della società in moltissime aree del mondo. Ci sembra un fenomeno assolutamente lontano e remoto dalla nostra idea di famiglia finché ne leggiamo sui giornali o se ne sente parlare vagamente, ma negli anni abbiamo sentito spesso storie di ragazze date in sposa dai parenti o uccise proprio per aver rifiutato questo genere di unioni.

Tra le storie più agghiaccianti ci sono quelle di Hina Saleem e Sana Cheema, assassinate per aver detto “no” al matrimonio che la loro famiglia aveva scelto per loro.

Hina Saleem, attirata in casa con un pretesto e uccisa

Hina Saleem, ventunenne, si era trasferita dal Pakistan a 14 anni, nel 1999, per ricongiungersi alla famiglia, che viveva a Sarezzo. Già nel passato Hina Saleem aveva avuto problemi con la famiglia per la sua integrazione rispetto al modo di vivere italiano, ed era anche fuggita di casa, firmando una denuncia per maltrattamenti e abusi. Aveva fatto anche altre due denunce, poi ritrattate al momento del processo e ricevendo persino un’accusa per calunnia, da cui è stata assolta dopo la morte. Hina Saleem lavorava in una pizzeria di Brescia e conviveva da alcuni mesi con Giuseppe Tempini, il fidanzato trentatreenne.

Hina Saleem venne attirata con un pretesto in casa del padre, e trovò ad attenderla alcuni parenti, mentre la madre Bushra Begun e gli altri cinque tra fratelli e sorelle erano in vacanza in Pakistan. Quattro persone furono implicate nella morte di Hina Saleem: il padre Mohammed Saleem, lo zio Muhammad Tariq (marito della sorella della moglie) e due cognati della ragazza, i fratellastri ventisettenni Zahid Mahmood e Khalid Mahmood, mariti delle due sorelle maggiori.

Saleem venne uccisa con oltre venti coltellate, poi sgozzata e infine sepolta nell’orto di casa, con la testa rivolta verso La Mecca. A dare l’allarme fu proprio il fidanzato, preoccupato di non vedere tornare Hina Saleem a casa.

Nel 2021 il fratello di Hina Saleem, Suleman, diventato capofamiglia dopo l’arresto del genitore, ha tolto la foto posta da un anonimo sulla lapide della ragazza, con questa motivazione.

In quella foto Hina era troppo spogliata, indossava una canottiera rosa e non è rispettoso apparire così su una tomba.

Durante la trasmissione di Rete4 Zona bianca Suleman ha anche aggiunto che il padre è pentito dell’omicidio di Hina Saleem – il Tribunale nella sentenza di appello ha confermato i 30 anni di reclusione per l’uomo – e che la sorellina minore, nata in Italia e cresciuta all’occidentale, quest’anno andrà in Pakistan per sposarsi con un uomo che non conosce.

Lei è d’accordo, compirà 18 anni. Non tutto dipende dalla religione.

Sana Cheema, uccisa mentre era in Pakistan dalla famiglia

Sana Cheema era tornata in Pakistan per far visita ai parenti rimasti là; purtroppo ha trovato la morte, il 18 aprile del 2018, dopo aver rifiutato il matrimonio combinato propostole dal padre, e dichiarando di voler sposare un italiano. In un primo momento la versione dello sgozzamento della ragazza è stato sostituita da un’altra, in cui i familiari hanno asserito che Cheema sarebbe morta per un infarto. Dopo i risultati dell’autopsia che hanno però fatto emergere che la ragazza avesse l’osso del collo rotto, il padre Ghulam Mustafa, avrebbe prima confessato di averla uccisa, con l’aiuto del fratello della ragazza, salvo poi ritrattare. A febbraio del 2019 il tribunale pakistano di Gujrat ha assolto gli 11 imputati per insufficienza di prove.

Si erano perse le speranze di vedere a processo in Italia Mustafa Cheema e il figlio Adnan, ma dopo essere stati a lungo irreperibili, i due uomini, padre e fratello della ragazza morta, hanno contattato, nell’aprile del 2021, un avvocato del Foro di Brescia per occuparsi della loro difesa, e sono stati rinviati a giudizio dal gup, Matteo Grimaldi, per omicidio volontario aggravato dalla premeditazione.

Saman Abbas e le altre

La lista delle giovani donne uccise per il desiderio di “vivere all’occidentale”, però, non si arresta con loro due. Nel 2021 è scomparsa la diciottenne Saman Abbas, per il cui delitto sono accusati lo zio e i cugini. Il suo corpo, a oltre un anno di distanza dalla sparizione, non è mai stato ritrovato.

C’è poi Sanaa Dafani, che viveva a Montereale Valcellina, in provincia di Pordenone, e voleva solo essere felice, come si sentiva da quando vivema insieme a Massimo. Ma il padre, El Kataoui, non poteva accettare la svolta occidentale della figlia. Il 15 settembre 2009 la sorprese mentre si trovava in auto col fidanzato, la ragazza tentò di scappare ma lui la raggiunse con un fendente alla gola. Morì dissanguata in un boschetto poco lontano.

Nel maggio 2012 Kaur Balwinde, una giovane donna indiana di 27 anni, viene strangolata e gettata nel Po dal marito, Kabir Singhj. La sua sola colpa, volersi vestire troppo all’occidentale.

Cosa dice la legge in Italia sui matrimoni combinati

In Italia i disegni di legge n. 638 (sen. Bonfrisco) e 2441 (sen. Stefani e altri) hanno inoltre introdotto, attraverso modifiche al Codice Penale, misure per il contrasto del fenomeno dei matrimoni precoci e forzati. Tanto che oggi il reato di costrizione o induzione al matrimonio è disciplinato dal nuovo art. 558 bis c.p. introdotto nel codice penale dalla legge n. 69/2019, ce recita quanto segue:

Chiunque, con violenza o minaccia, costringe una persona a contrarre matrimonio o unione civile è punito con la reclusione da uno a cinque anni.

La stessa pena si applica a chiunque, approfittando delle condizioni di vulnerabilità o di inferiorità psichica o di necessità di una persona, con abuso delle relazioni familiari, domestiche, lavorative o dell’autorità derivante dall’affidamento della persona per ragioni di cura, istruzione o educazione, vigilanza o custodia, la induce a contrarre matrimonio o unione civile.

La pena è aumentata se i fatti sono commessi in danno di un minore di anni diciotto.

La pena è da due a sette anni di reclusione se i fatti sono commessi in danno di un minore di anni quattordici.

Le disposizioni del presente articolo si applicano anche quando il fatto è commesso all’estero da cittadino italiano o da straniero residente in Italia ovvero in danno di cittadino italiano o di straniero residente in Italia.

 

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