"Ci hanno costrette a matrimoni combinati, ma ecco cosa abbiamo fatto": le testimonianze di tre ragazze coraggiose

Ci sono cose, o situazioni, che ci sembrano così lontane, così irreali, impossibili, per noi. Eppure quella dei matrimoni combinati è una realtà che ancora persiste, ben radicata in alcune culture, ed opporsi ad una unione obbligatoria, fatta per convenienza, spesso come unica via d'uscita (per i genitori) dalla povertà, è difficile. Ma le storie di queste tre giovani nigeriane che hanno avuto la forza di dire "no", per continuare ad inseguire i propri sogni, e per costruire da sole la propria vita, sono esempi, meravigliosi, del fatto che cambiare le cose è possibile. Balkissa, Zeinabou e Barracou hanno tutta la nostra ammirazione più profonda.

È ancora così profondo il divario culturale che esiste nelle varie zone del mondo da rendere praticamente impossibile riuscire a comprendere tutto l’insieme di usi e costumi di Paesi geograficamente (e storicamente) molto lontani da noi. C’è da dire, tuttavia, che alcune delle tradizioni più consolidate di tali Paesi sono umanamente del tutto inaccettabili, e meritevoli di condanna unanime, come più volte hanno sottolineato anche organizzazioni non governative, associazioni, o istituzioni del calibro di ONU o Unicef.

Quella dei matrimoni combinati, ad esempio, rimane una pratica che, se non può essere giudicata per la sua vetustà, suscita comunque (giustamente) clamore, soprattutto quando ad essere protagoniste di queste unioni decise esclusivamente per convenienza economica dalle famiglie sono bambine o ragazze appena all’inizio dell’adolescenza. Quello che dovrebbe essere uno dei passaggi più importanti nella vita di una donna, il matrimonio, rappresenta, per queste ragazze, una forzatura, in cui loro non sono autorizzate ad intervenire, figuriamoci ad opporsi. Così, mentre noi aspiriamo ad organizzare la cerimonia dei nostri sogni, con piena consapevolezza di ciò a cui stiamo apprestandoci, con desiderio e con la necessaria maturità per compiere questo passo importantissimo, loro ne subiscono semplicemente le conseguenze, nella più totale passività, relegate al ruolo di comprimarie della società e giudicate esseri inferiori. Perché la fame, la povertà, le carenze evidenti in cui versano le famiglie di queste giovani non permettono di avere dei sogni, né di poter scegliere autonomamente la propria strada, tutto deve essere per un motivo ben più importante: la sopravvivenza, che può esser garantita solo con un accordo economico. Già, sostanzialmente questo è il significato del matrimonio per queste popolazioni.

La Nigeria, ad esempio, ha il più alto tasso di matrimoni contratti in età infantile: benché la soglia minima per sposarsi, secondo una legge del governo, sia di 15 anni per una donna, un rapporto dell’Unicef ha evidenziato che ben il 35% delle ragazze sono già sposate a questa età, e addirittura il 75% della popolazione femminile nigeriana si sposa prima del compimento dei diciotto anni.

Sposarsi per una donna nigeriana significa abbandonare la scuola, ecco perché solo il 1o% delle donne prosegue con gli studi e raggiunge almeno le scuole superiori.

Come detto, la povertà è la ragione principale che spinge i genitori a dare in moglie ad uomini, spesso molto più grandi di loro, le figlie; la Nigeria si piazza addirittura all’ultimo posto nell’Indice di Sviluppo Umano dell’ONU, stilato l’ultima volta nel 2014: 187esima su 187.

I dati che emergono sono impressionanti: quasi il 35% dell’intera popolazione -vale a dire circa 5,4 milioni di persone- soffre di malnutrizione, ma, per contrasto, la Nigeria risulta avere il più alto tasso di fertilità, con una media di 7,6 figli per ogni donna. Troppi affinché tutti possano essere sfamati adeguatamente, ed è appunto per questo motivo che i matrimoni in età infantile o quasi si sono trasformati da tradizione popolare a business; alcune famiglie vendono le proprie figlie a uomini di altre comunità, o addirittura di altri Paesi, per ricavarne denaro e toglierle da casa così da non doversene più preoccupare.

In mezzo a questa desolante realtà, però, ci sono anche tre storie che lasciano spazio per uno spiraglio di luce: sono le storie di tre ragazze, raccolte da Marie Claire, che hanno avuto il coraggio di opporsi alle scelte delle loro famiglie, che hanno combattuto per i loro diritti di decidere con chi sposarsi, di continuare a studiare, di scegliere come vivere la propria vita.

Balkissa Chaibou: “Dimostrerò loro cosa posso fare della mia vita”

ph: Jillian Keenan
ph: Jillian Keenan

Ad appena 12 anni Balkissa è stata promessa sposa ad un uomo di mezza età; ma a spaventarla non era tanto il matrimonio, quanto l’idea di dover lasciare la scuola, dove lei eccelleva. Così Balkissa fece un patto con i suoi genitori: se le avessero permesso di continuare a studiare per altri cinque anni, lei si sarebbe sposata a 17. Ma, più passava il tempo, più Balkissa si rendeva conto di quanto studiare le piacesse, e nonostante sapesse di essere molto fortunata, dato che sarebbe potuta restare a scuola fino a 17 anni (età molto elevata rispetto alla media, visto solo il 15% delle donne nigeriane sa leggere o scrivere correttamente), lei voleva proseguire, e andare all’università. Sogno che si sarebbe infranto definitivamente con il matrimonio.

A differenza dell’84% delle donne che vivono in aree rurali, Balkissa viveva a Niamey, centro urbano dotato di tutti i servizi necessari; così, la sera prima del matrimonio, il 14 settembre del 2012, decise di scappare di casa, per rifugiarsi presso la stazione di polizia locale. Una volta lì, venne condotta al centro SOS, dove rimase una settimana, fino a che non portò lo zio, patriarca della famiglia e responsabile del contratto matrimoniale, davanti ad una corte. Nonostante fosse atterrita dall’idea di rappresentare un disonore per la sua famiglia per la sua insubordinazione, Balkissa venne incoraggiata dalla madre a continuare la sua lotta e quando vinse la causa contro lo zio disse che quello era stato il più bel giorno della sua vita.

Oggi, a 19 anni, Balkissa studia all’università e spera di diventare un medico, e ha creato un precedente, sia nel suo villaggio che nella sua famiglia, dato che ora le sue sorelle minori potranno continuare a studiare senza problemi.

“Tutti pensavano che fossi una ragazza cattiva, irrispettosa. Ma ora si sono accorti che la scuola è una buona scelta. Vi mostrerò cosa posso fare della mia vita”

 

Zeinabou Moussa: “Ho visto che stavo affondando”

ph: Jillian Keenan
ph: Jillian Keenan

Quando Zeinabou aveva 15 anni, i genitori la costrinsero a lasciare la scuola e la promisero ad un vicino diciannovenne, Mustafa, che pagò 10 mila Nira (circa 54 Euro, una cifra piuttosto alta per il paese) per sposarla entro i due mesi successivi. Non importava che Zeinabou non volesse affatto lasciare la scuola, né che non conoscesse Mustafa e neppure che lui avesse già una moglie: il suo destino era segnato. Quando provò a pregare il padre di cambiare idea, lui la picchiò con un bastone.

“Vedevo che stavo affondando. La mia vita era distrutta”

Il giorno della cerimonia, nel suo abito tradizionale, Zeinabou rimase seduta in disparte, pensando a cosa avrebbe potuto fare; nel suo villaggio non aveva accesso a servizi sociali, a polizia, o tribunali. Quella notte tornò a casa dei suoi, ma suo padre la picchiò di nuovo, e così succedette anche per le quattro notti successivi, in cui veniva sempre percossa e riportata con la forza da Mustafa.

Ma il giorno della verità arrivò presto; il marito voleva consumare il matrimonio e, benché non sapesse molto di cosa succedesse durante la prima notte di nozze, aveva sentito molti racconti dalle amiche, già sposate, di 13 o 14 anni, che le avevano fatto venire in mente un piano: appena Mustafa si fosse avvicinato per costringerla ad avere un rapporto, lei lo avrebbe colpito sul pene, così forte da fargli perdere i sensi. Così fece, e il giorno dopo chiese il divorzio al capo della tribù.

“I miei genitori hanno smesso di impormi di sposarmi- dice adesso Zeinabou, che nel frattempo ha anche ripreso a studiare- credo abbiano capito la lezione”

 

Barracou: “Lui mi rende felice”

ph: Jillian Keenan
ph: Jillian Keenan

Nel caso di Barracou il matrimonio combinato non avrebbe posto fine ai suoi sogni nello studio, ma ad un amore. La ventenne era da sempre innamorata del vicino di casa, un pastore di nome Sane. Ma, ad appena 14 anni, Barracou fu obbligata a diventare la seconda moglie di uno zio molto più anziano che lei non aveva mai neppure visto. Il giorno in cui lasciò il villaggio per andare a sposare l’uomo, che viveva a molti chilometri di distanza, Barracou promise all’amato Sane di tornare, e lui la rassicurò dicendole che l’avrebbe aspettata.

Per i successivi due anni, Barracou rifiutò di avere rapporti sessuali con lo zio, nonostante lui la picchiasse con un bastone per punirla; finché, un giorno, alcuni amici del villaggio vennero a farle visita e, non vista, lei si nascose nel bagagliaio della loro auto, facendo così tutto il viaggio di ritorno verso il posto dove aveva vissuto, e in cui non era mai più tornata dopo il matrimonio.

Barracou ha detto che non dimenticherà mai la faccia stupita e felice di Sane quando la vide di nuovo; lei tornò immediatamente dai suoi genitori mettendo nelle loro mani il suo destino. Inizialmente furiosi, in un secondo momento ritennero che era preferibile averla sposata e vicino a casa, piuttosto che così distante.

Oggi, Barracou e Sane sono sposati, e recentemente hanno avuto Tassiou, il loro primo figlio.

“Amo Sane perché mi rispetta- dice lei con un sorriso timido- Che posso dire? Mi rende felice”

La discussione continua nel gruppo privato!
Seguici anche su Google News!