Siamo abituati a considerarli tra i predatori più pericolosi del pianeta, eppure anche gli squali devono temere un predatore molto più pericoloso e deliberatamente crudele di quanto decine e decine di film ci abbiano abituato a pensare i pescecani: l’uomo.

Ogni anno, infatti, tra i 63 e i 273 milioni di squali vengono uccisi in tutto il mondo per cacciarne le pinne, un ingrediente ricercato per creare piatti sofisticati e prelibati di molti menu asiatici. Questa pratica si chiama finning, e deve essere fermata.

Shark finning: cos’è?

Il finning, o spinnamento, è una tecnica – legale in alcuni paesi, proibita in altri – che viene utilizzata dai pescatori per cacciare le pinne di squalo. Esclusivamente le pinne, si badi bene.

Si tratta di una pratica particolarmente crudele: il taglio delle pinne, infatti, in moltissimi casi viene effettuato quando l’animale è ancora vivo. Gli squali vengono issati a bordo, privati delle pinne e rigettati in mare, dove vanno incontro a una morte certa dopo una lunga e dolorosa agonia per dissanguamento e soffocamento, poiché questi animali possono respirare solo nuotando. In alcuni casi, vengono mangiati da altri predatori.

Le pinne, una volta essiccate, vengono utilizzate nella preparazione di diverse pietanze, tra cui la famosa zuppa di pinne di pescecane che, ricorda Shark School,

una volta appannaggio dei ceti più benestanti, con il recente sviluppo economico della Cina, sta diventando alla portata anche dei ceti tradizionalmente meno abbienti con conseguenze disastrose per l’ecosistema marino. Quel che è peggio è che la pinna, di per sé, non concorre all’insaporimento della zuppa essendo pressoché insapore, ma data la sua elevata disponibilità in fibre di collagene, ha esclusivamente la funzione di fornire la giusta consistenza.

Secondo IUCN Shark Specialist Group, non c’è un’unica specie di squalo che viene cacciata per le pinne: come le razze, infatti, questi animali spesso vengono catturati durante operazioni di pesca di altre specie ittiche o con attrezzi da pesca indiscriminata (palamari, reti a strascico).

Il motivo per cui il numero degli squali è in declino è che sono più sensibili alla pesca rispetto alle specie prese di mira. Quindi è inevitabile che gli squali diminuiscano anche se la specie bersaglio viene pescata in modo sostenibile. È difficile dire quali specie siano prese dall’industria delle pinne: ci sono alcuni articoli scientifici che hanno svolto indagini (genetiche o di mercato) che hanno esaminato le specie in vendita, ma questo è stato fatto solo in alcuni mercati in alcune aree del mondo.

Dal mako al martello, dallo squalo bruno alla verdesca, fino a giganti quali il cetorino e lo squalo balena, sono decine le specie di squalo che subiscono lo spinnamento. Ad essere asportate, perché commercializzabili, sono la prima pinna dorsale, le pettorali ed il lobo inferiore di quella caudale: le altre, assieme al resto del corpo, vengono ributtate in mare come “merce” inutilizzabile.

La crudele tradizione del finning

Su molte tavole asiatiche, i piatti a base di pinne di squalo sono pregiati e ricercati, veri e propri status symbol al pari delle nostre ostriche e caviale. Per questo, sul mercato di Hong Kong le pinne essiccate raggiungono il valore record di 700$ al kg, mentre il resto dello squalo viene considerato solo un peso dall’industria della pesca.

Sebbene non esistano dati certi a causa della pesca e del mercato illegale, si stima che le pinne vendute ai ristoranti siano circa 8000 tonnellate ogni anno. Se si considera che il peso delle pinne è residuale rispetto al peso complessivo di uno squalo – generalmente una percentuale che va dall’1 al 4% – è evidente come non si tratti solo di una questione etica, ma anche di un immenso spreco di carne, che aggiunge un ulteriore livello di inutile crudeltà alla pratica del finning.

Se pensate che si tratti di una tradizione di popoli barbari e incivili, vi sbagliate. Molti paesi europei sono coinvolti nel business delle pinne di squalo: il primato va alla Spagna che occupa il secondo posto a livello mondiale e che, dice Shark School, solo dal 1995 al 2001 ha esportato verso Hong Kong circa 800 tonnellate di pinne.

Ogni anno le pinne esportate dall’UE sono poco meno di 3.500 tonnellate, per un valore complessivo di circa 52 milioni di euro. Non solo: come ricorda Radioveg,

Il regolamento dell’Unione Europea “Fins Naturally Attached”, in vigore dal 2013, vieta senza eccezioni lo stoccaggio, il trasbordo e lo sbarco di tutte le pinne di squalo nelle acque dell’UE e su tutte le navi dell’UE: l’animale morto deve essere caricato intero, e solo in porto posso essere asportate le pinne. Ciononostante, c’è ancora un enorme volume di pinne sul mercato globale, la cui origine è raramente rintracciabile, e queste possono ancora essere scambiate legalmente in tutta Europa.

Spinnamento dello squalo: rischi e conseguenze

I danni dello spinnamento per la popolazione degli squali e per l’ecosistema marino nel suo insieme sono enormi. Sebbene finora nessuna specie si sia estinta a causa di questa pratica, infatti, secondo il sito Biologia Marina

oggi, oltre 20 specie di squalo sono a rischio di estinzione, altre, se non verranno prese contromisure in breve tempo, lo saranno tra pochi anni. La maggior parte degli squali ha subito un calo sconvolgente, ad esempio, nel particolare, lo squalo tigre (Galiocerdo cuvier), lo squalo pinna nera (Carcharinus melanopterus), lo squalo martello (Sphyrna zigaena), e lo squalo toro (Carcharias taurus) hanno subito un calo di oltre il 90%. Gli squali, inoltre, hanno un ciclo riproduttivo molto lento. Uno squalo, infatti, impiega circa 7 anni per raggiungere la maturità sessuale ed è in grado di procreare 1-2 piccoli l’anno. Per cui, non riesce a compensare con le nuove nascite il notevole numero di morti per mano dell’uomo.

Il finning rischia quindi di far scomparire dal pianeta uno dei predatori più affascinanti mai esistiti, che abita i mari da milioni di anni, addirittura da prima della comparsa dei dinosauri.

Come fermare il finning?

Fermare un fenomeno come il finning non è facile, a causa dell’alta richiesta del mercato e dell’enorme giro di affari che lo circonda. Qualcosa, però, si sta muovendo, sia sulla spinta dei cittadini che delle istituzioni.

Grazie ai cittadini europei è stata lanciata Stop Finning EU: non una normale petizione ma un’iniziativa ufficiale dell’Unione Europea finalizzata a proporre un’estensione dell’attuale regolamento “Fins Naturally Attached” alla Commissione Europea.

La regolamentazione attuale, infatti, non riesce a contrastare efficacemente il finning, poiché il grosso dei profitti che se ne ricavano sono legati all’esportazione. Estendendo “Fins Naturally Attached” a importazione, esportazione e transito rimarrebbe legale solo la commercializzazione dello squalo intero: in questo modo, il commercio di pinne di squalo diventerebbe economicamente insostenibile e sarebbe più facile anche contrastare la pesca illegale di specie a rischio.

La raccolta firme si è conclusa il 31 gennaio 2022, raccogliendo più di un milione e duecentomila firme, che ora dovranno essere verificate e validate. L’Italia, ricorda la LAV, è stata tra i partecipanti più attivi, con oltre 70.688 voti, il 128,94% della soglia minima richiesta al nostro Paese.

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