"The Girl in the Fountain", Monica Bellucci in dialogo con Anita Ekberg

È possibile liberarsi dallo stigma della femme fatale? Un documentario prova a rispondere mettendo a confronto la vita e la carriera di due attrici bellissime, a lungo considerate dei sex symbol dall'industria del cinema.

Anita Ekberg il 29 settembre 2021, se non fosse morta in una casa di cura nel 2015, avrebbe compiuto 90 anni, molti dei quali vissuti come la Sylvia che si immerge nell’acqua gelata della Fontana di Trevi ne La dolce vita di Federico Fellini. Eppure quella fontana, come dice Monica Bellucci nel documentario The Girl in the Fountain, è stata la sua prigione.

La storia del cinema è costellato di interpreti schiacciate da un ruolo, di bellissime “vittime” della propria immagine: Brigitte Bardot, Marilyn Monroe, Laura Antonelli, solo per citare qualche nome, sono esempi di donne che hanno incarnato un sogno erotico per l’universo maschile, rimanendone in diversi modi prigioniere.

Anita Ekberg, svedese che a soli 19 anni (quando la maggiore età era al compimento di 21 anni), conquistato il titolo di Miss Svezia, lascia la famiglia per trasferirsi a Hollywood, malgrado il coraggio, l’indipendenza, l’irriverenza (non mancherà di imbracciare arco e frecce e colpire un paparazzo che voleva violare la sua privacy), sarà comunque succube di uno sguardo che di lei vedeva soltanto le curve.

Nel 1960 la società italiana era molto arretrata per quanto riguarda i diritti delle donne e l’autodeterminazione femminile: prima della legge sul divorzio (1970), sull’aborto (1978), dell’abrogazione del reato d’adulterio (1968) e del delitto d’onore (1981) e della riforma del diritto di famiglia (1975), alle donne era concesso essere figlie, mogli e madri; tutte quelle che non rientravano nelle tre categorie erano bollate come di facili costumi, prede consenzienti, ragazzine con la gonna troppo corta che se l’andavano a cercare.

Difficile non immaginare come doveva essere vista quella diva bionda, straniera e procace, sposata due volte e due volte divorziata, a cui il gossip attribuiva relazioni clandestine con Frank Sinatra, Gianni Agnelli (da lei stessa definito il grande amore della sua vita) e Dino Risi, protagonista della dolce vita romana fuori e dentro il grande schermo.

Pungente, ironica, coraggiosa fino alla fine, morirà in casa di cura a Rocca di Papa, alle porte di Roma, dopo aver per anni provato a resistere all’interno dello star system prendendo parte a commedie sexy e prodotti commerciali di scarso valore. Dopo Sylvia, il ruolo che Fellini le aveva riservato ne La dolce vita, il mercato ha continuato a offrirle parti sempre uguali, che rispecchiassero quell’immagine di “ghiaccio bollente” che l’industria del cinema voleva da lei.

Mezzo secolo dopo, un’attrice come Monica Bellucci che nasceva proprio in quegli anni (nel 1964) si dice ancora inseguita dallo sguardo maschile, ma meno in balia di un’immagine in cui quello sguardo vorrebbe rinchiuderla: a lei è affidato il controcanto del documentario, che la segue nella costruzione del personaggio Anita Ekberg per un film sulla sua vita.

Nel 2000 quando Bellucci recita in Malena di Giuseppe Tornatore dopo una lunga carriera di modella, tre celeberrimi calendari con cui entra nell’immaginario erotico di molti (nel calendario Pirelli, immortalata da Richard Avedon, e in quello di Max e di GQ) e qualche ruolo importante, ha 36 anni ed è mozzafiato nel ruolo della donna relegata nella Sicilia del Dopoguerra, che vuole le donne rigorosamente divise tra le mogli e le meretrici.

Bellissima e pressoché muta. Le ci sono voluti 20 anni per riuscire a conquistare un ruolo che varcasse la sua fisicità grazie a Maria Callas – Lettere e memorie, per la regia di Tom Volf, presentato Festival di Spoleto. Acclamato dalla critica, lo spettacolo – in cui Bellucci è sola sul palcoscenico e veste i panni della celeberrima soprano (non solo figurati, visto che l’abito nero che indossa in scena è appartenuto alla Divina ed è stato concesso alla produzione dello spettacolo dalla collezione italiana My private Callas) – ha riempito i teatri di Parigi, Atene e Lisbona, per poi collezionare sold out anche nelle tappe della tournée italiana (a Milano, Roma, Venezia).

Una credibilità conquistata con fatica, figlia probabilmente dei tempi e dei nuovi costumi che permettono oggi a una donna di potersi liberare dallo stigma del sex symbol. Eppure, nel web, sui motori di ricerca fisico e misure di Ekberg sono ancora in cima alla lista tra le parole più cercate, sintomo forse che di strada da fare ancora ce n’è.

The Girl in the Fountain
Monica Bellucci in The Girl in the Fountain (Courtesy Press Office)

Perché vedere The Girl in the Fountain

A ben guardare, la vera protagonista del documentario The Girl in the Fountain sembra essere la fontana, metafora di una gabbia capace di stritolare una carriera, più che la ragazza, sia essa la modella e attrice Anita Ekberg o la modella e attrice Monica Bellucci.

Se si vuole conoscere più da vicino la star svedese meglio sarebbe, invece, lasciare che sia lei stessa a raccontarsi, come accade nel bel documentario Ciao Anita (disponibile in streaming su Chili), girato a Castelgandolfo, pochi mesi prima della sua scomparsa, diretto da Jacques Lipkau Goyard e Marco Kuveiller.

Non solo la carriera e l’incontro con Federico Fellini, con il racconto divertito e scanzonato della settimana trascorsa a girare nella Fontana di Trevi, ma gli amori e i sogni di un’attrice capace di toccare e commuovere con le sue lacrime per la perdita non della giovinezza e della ricchezza (truffata dal secondo marito e più volte rapinata, nella sua villa a Genzano, arrivò a chiedere di avere accesso alla Legge Bacchelli e al fondo a favore di cittadini illustri che versino in stato di necessità), ma delle tante amiche e amici morti prima di lei.

Al documentario di Antongiulio Panizzi va comunque il merito di aver riletto in maniera originale il materiale d’archivio, attraverso l’esperienza di Monica Bellucci.

The Girl in the Fountain
Monica Bellucci in The Girl in the Fountain (Courtesy Press Office)

Scheda del documentario su Anita Ekberg

Presentato in anteprima alla 39esima edizione del Torino Film Festival, The Girl in the Fountain è un documentario scritto da Paola Jacobbi e Camilla Patermò e diretto da Antongiulio Panizzi sulla vita di Anita Ekberg, diva de La dolce vita di Federico Fellini (Palma d’oro nel 1960 e Oscar ai costumi di Piero Gherardi nel 1962).

The Girl in the Fountain è un viaggio tra gli archivi e pellicole famose,  tra cui Hollywood or Bust di Frank Tashlin, Nel segno di Roma (peplum diretto da Guido Bignone e un giovanissimo Michelangelo Antonioni), e l’episodio di Boccaccio ’70, Le tentazioni del dottor Antonio, diretto da Federico Fellini, in cui Ekberg è quasi l’esasperazione di sé stessa.

A raccontare la sua storia, Monica Bellucci: l’attrice italiana si mette alla sua ricerca per riscattarla dallo stigma della “ragazza nella fontana” e sottolineare i cambiamenti avvenuti nell’industria del cinema rispetto all’immagine della donna.

Monica Bellucci ci ha consentito di osservare da vicino l’idiosincrasia di una star, che rappresenta nel mondo un’icona di bellezza. Nel film le loro storie si parlano continuamente, in un dialogo sottile. Anita Ekberg e la sua vita straordinaria, piena di successi, scandali, amori e delusioni. E poi la storia di un’attrice di oggi che si trova a interpretare una diva di un’altra epoca. Studia il personaggio, indaga, cerca di capirlo intimamente. Monica Bellucci trova un senso nel repertorio e Anita Ekberg nel mondo di oggi“, ha raccontato il regista.

Il docufilm è nei cinema italiani come evento speciale per due giorni (1 e 2 dicembre), distribuito da Eagle Pictures.

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