Forse qualcuno avrà letto o sentito l’espressione “giro di vite”, non conoscendone però esattamente né il significato né l’origine.

Questo modo di dire è molto comune nell’ambito giornalistico, e può in effetti significare cose che hanno sfumature diverse: ad esempio, può indicare l’applicazione di provvedimenti restrittivi, ad esempio in ambito fiscale, oppure l’inasprimento di sanzioni pecuniarie, di provvedimenti disciplinari o di pene carcerarie già esistenti, ma ritenuti insufficienti.

Viene quindi generalmente usata per dare l’idea di un intervento che va a modificare una situazione preesistente, in negativo o positivo a seconda del contesto.

Alcuni esempi tratti dal linguaggio giornalistico:

Giro di vite su regali, telefonini e auto per i dipendenti pubblici. Lo prevede il decreto presidenziale approvato oggi dal consiglio dei ministri e che introduce il codice di comportamento per i lavoratori della pubblica amministrazione.

Il Fatto Quotidiano, 8 marzo 2013

Giro di vite su immigrazione e sbarchi, e norme spazza clan per smaltire l’arretrato delle sentenze in esecuzione nei tribunali. Il Viminale annuncia il ‘decreto Sicurezza bis’, che nei prossimi giorni sarà presentato in Consiglio dei ministri

La Stampa, 10 maggio 2019

L’espressione è presente anche nella lingua inglese, sia utilizzata con traduzione letterale, turn of the screw, che attraverso i termini crackdown o clampdown. Il giro di vite è inoltre un racconto dell’orrore di Henry James, a cui secondo alcuni si è ispirato il regista Alejandro Amenábar per il film del 2001 The Others.

Ma da dove deriva l’espressione “giro di vite”? L’origine è a dir poco truculenta: infatti parliamo di un tipo di condanna a morte praticata in Spagna, la garrota, in cui a ogni giro di vite un cerchio di ferro si stringeva intorno alla gola del condannato, fino a strangolarlo e a causarne quindi la morte.

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