Dark tourism, quando la memoria diventa turismo dell'orrore

Auschwitz, il World Trade Center, il cimitero parigino di Père Lachaise: luoghi che parlano di morte, ma anche attirano ogni giorno moltissimi visitatori. Si chiama dark tourism, ed è un tipo molto particolare di turismo, in cui a essere visitati sono proprio i luoghi di sofferenza e dolore.

L’isola del Giglio dove nel 2012 naufragò la Costa Concordia, la villetta di Novi Ligure in cui Erika e Omar massacrarono la mamma e il fratellino di lei, Auschwitz. Luoghi macabri, teatri di tragedie o fatti di cronaca orribili, che tuttavia suscitano un certo appeal nel pubblico, che spesso corre in massa per visitarli, addirittura per avere una foto ricordo.

Lo chiamano dark tourism, ed è una pratica tutt’altro che rara.

Dark tourism: cos’è?

Per risalire al momento in cui questo termine ha cominciato a diffondersi dobbiamo andare a circa vent’anni fa, quando l’etichetta di dark tourism ha fatto la sua comparsa nella letteratura scientifica; i primi a usarlo furono John Lennon e Marc Folley nel libro The Dark Tourism, ma nel tempo il business attorno a questo genere di turismo, sorprendentemente, si è ampliato sempre più, tanto che oggi il turismo “oscuro” costituisce una nicchia di mercato alla pari di molti altri tipi di turismo.

Nel 2018 anche il regista neozelandese David Ferrier se ne è occupato, realizzando per Netflix una serie tv di otto puntate intitolata Dark tourist; a una prima impressione sembrerebbe piuttosto facile scandalizzarsi e domandarsi come sia possibile trovare attraenti luoghi in cui sono state compiute delle carneficine o si sono verificate delle tragedie, ma la realtà è che il dark tourism è un fenomeno complesso, che lo studioso Philip Stone, direttore esecutivo dell’Institute for Dark Tourism Research, ha definito come “l’atto di viaggiare e visitare siti associati alla morte, alla sofferenza o a ciò che è apparentemente macabro”.

Nel suo sviluppo, ad esempio, una parte importante è rappresentata dal fattore tempo: più un crimine o un fatto si è verificato temporalmente vicino al momento in cui stiamo vivendo, più creerà empatia e desiderio, nel turista, di andare a visitare il luogo in cui è stato compiuto (ricordiamo appunto il boom di prenotazioni all’isola del Giglio dopo la tragedia della Concordia).

Nella sua trattazione del tema Stone ha distinto tra luoghi associati alla morte o alla sofferenza e i luoghi che invece sono di morte e sofferenza. I lager appartengono alla seconda categoria, i luoghi o i musei che commemorano quanto accaduto al loro interno, invece, alla prima; lo studioso sostiene che esistano diversi gradi di dark tourism, che si collocano lungo un continuum: si passa dal dark tourism nei luoghi di sofferenza, come appunto i lager, per motivi educativi, a quelli in cui il turismo è praticato solo per divertimento, anche perché i fatti collegati al luogo sono datati in un periodo temporale molto remoto.

Un esempio di questo tipo sono le visite al “London Dungeon”, una sorta di luna park in cui sono inscenati gli eventi più macabri della storia di Londra, grazie ad attori, effetti speciali e scenografie.

Tipologie di dark tourism

Tutti gli studiosi che se ne sono occupati sono abbastanza concordi nel sostenere che non esista un solo tipo di dark tourism; A.V. Seaton, in particolare, ne ha identificate cinque tipologie:

  • assistere alla morte pubblica di una persona, che, fortunatamente, è un’esperienza sempre più rara, diversamente da un tempo, dove il popolo era chiamato ad assistere anche a pubbliche esecuzioni;
  • visitare luoghi in cui sono avvenute morti individuali o di massa;
  • visitare lapidi commemorative o luoghi di reclusione;
  • assistere a rappresentazioni simboliche della morte;
  • assistere alla rievocazione di alcuni eventi delittuosi.

C’è poi chi, come il già citato Lennon, per cui, sostiene che, affinché si parli di dark tourism, occorre che siano presenti tre circostanze: morte, disastri, atrocità.

Perché questo fascino nei confronti della morte e del macabro? Secondo il sociologo Mike Presdee in questo modo l’uomo si dà la possibilità di vivere delle emozioni represse o di avvicinare dei temi lontani dalla sfera concreta dell’esistenza; in un contesto in cui la morte viene spesso demonizzata, se non addirittura esclusa dai discorsi di tutti i giorni, e quindi l’uomo è immerso in una sorta di “menzogna vitale”, entrare in contatto diretto, o quasi, con la morte, permetterebbe di fare i conti con la realtà.

Poco importa che i media, quotidianamente, propongano immagini o scene di morte (da film fino ai telegiornali), questo non è sufficiente per far scattare la presa di coscienza che, invece, con il dark tourism si ha.

Dark tourism: dove farlo in Italia

Anche il nostro Paese offre spunti molto interessanti per fare dark tourism. Abbiamo già citato l’isola del Giglio, che rientra però in particolare nel “turismo del disastro”, alla pari di New Orleans, distrutta nel 2005 dall’uragano Katrina, di Chernobyl, in Ucraina, sede del terribile incidente nucleare del 1986, o del World Trade Center di New York, luogo simbolo dell’attentato dell’11 settembre 2001.

Andando a ritroso nel tempo uno dei primi grandi luoghi di dark tourism nel nostro Paese è senza dubbio Pompei, distrutta dall’eruzione del Vesuvio del 79 d.C., in cui è possibile vedere ancora oggi i resti pietrificati di alcuni degli abitanti rimasti uccisi. Una delle mete preferite dai turisti sono le Catacombe dei frati cappuccini a Palermo, così come la diga del Vajont.

Ci sono luoghi che rimandano al periodo nazifascista e alle grandi stragi, come le Fosse Ardeatine a Roma o Sant’Anna di Stazzema, in provincia di Lucca, rese tristemente celebri dai rastrellamenti, e successive rappresaglie delle SS. Ma, a ben pensarci, anche una delle sette meraviglie del mondo come il Colosseo rappresenta una meta di dark tourism, se si pensa alle lotte dei gladiatori e a tutti i cristiani uccisi di fronte agli spettatori in festa.

Ma accanto a questi luoghi “storici” ne figurano altri che hanno a che fare con casi di cronaca ben più recenti: dalla villetta di Cogne dove nel 2002 il piccolo Samuele Lorenzi fu ritrovato massacrato, in condizioni disperate, dalla madre, Annamaria Franzoni – riconosciuta colpevole dell’omicidio e che ha scontato 6 anni di carcere e 5 ai domiciliari, prima di venire rilasciata per buona condotta – alla casa di Perugia in cui, la sera del 1° novembre del 2007, fu ammazzata la studentessa inglese Meredith Kercher, passando per Avetrana, diventato tristemente famoso per la morte di Sarah Scazzi, nel 2009.

Dark tourism: polemiche e questioni etiche

È chiaro che il dark tourism possa suscitare qualche perplessità etica, ma probabilmente è necessario operare un distinguo tra le varie tipologie: se visitare luoghi estremamente dolorosi, come Auschwitz o Pompei, può avere uno scopo educativo, e in effetti molte scolaresche vengono condotte nei lager, o nella città distrutta dal Vesuvio, proprio per poter vedere di persona, e prendere coscienza del dramma che in quei siti si è consumato, recarsi nei luoghi di omicidi o tragedie può, indubbiamente, essere interpretato come un’assenza di rispetto per le vittime e i loro familiari. Soprattutto se la visita viene accompagnata da selfie sorridenti, come se ci si trovasse in un luogo diverso rispetto a quello in cui si è consumata una tragedia.

Naturalmente le visite alla morgue di Parigi, di cui esistono documentazioni già dall’Ottocento, così come ai cimiteri monumentali come il Père Lachaise a Parigi costituiscono un tipo di dark tourism diverso, e che non solleva dubbi di natura etica: chi passeggia nell’immenso camposanto della capitale francese lo fa soprattutto per strappare una foto al monumento funebre del proprio mito, come Jim Morrison, Oscar Wilde o Edith Piaf, o per lasciare il proprio omaggio.

Insomma, non è sempre l’attrattiva esercitata dalla morte a spingere a recarsi in un luogo da dark tourist, e questi ultimi esempi, in particolare, possono essere equiparati più alle visite alla casa natale di Leonardo Da Vinci o di Leopardi, ad esempio, piuttosto che a quelle di fronte alla casa dove Erika e Omar hanno compiuto la loro strage.

C’è infine un ulteriore categoria del dark tourism, che Chris Rojek ha nominato come black spot: parliamo delle commemorazioni e dei pellegrinaggi nei luoghi di nascita – o di morte – di personaggi particolarmente iconici. Degli esempi? Il luogo in cui ha perso la vita James Dean, o di Graceland, la casa-museo di Elvis Presley (in cui il re del rock è morto).

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