All'aborto (se non è un diritto) ci pensano le mammane: con ferri da calza e tubi

Quando l'aborto era illegale le donne si recavano dalle mammane, che praticavano l'interruzione di gravidanza con mezzi di fortuna e in ambienti insalubri, mettendo molto spesso a repentaglio la vita delle partorienti. I rigurgiti antiabortisti moderni potrebbero lasciare spazio a una loro versione 2.0.

Sono passati poco più di quarant’anni da quando l’aborto, in Italia, è stato reso legale dalla legge 194, ma a distanza di tanto tempo quello sull’interruzione di gravidanza è un diritto tutt’altro che scontato per le donne, con i movimenti ProVita, le associazioni ultracattoliche e una certa frangia politica che cercano, di volta in volta, di rimetterne in discussione la legittimità.

L’ultimo e più recente esempio di minaccia alla 194 è arrivato dall’Umbria, dove la giunta leghista ha presentato una proposta di legge che prevede la tutela della vita sin dal concepimento, la prevenzione dell’aborto volontario, più potere nelle mani degli organismi di rappresentanza delle famiglie all’interno di servizi sociali e consultori pubblici.

Insomma le donne non possono, a oggi, essere così certe di vedersi riconosciuto un diritto sancito per legge e volto a tutelarne la salute e la libertà di scelta; e questo non può non sconcertare, soprattutto se pensiamo che non sono così lontani i tempi in cui le interruzioni di gravidanza, proprio perché illegali nel nostro, come in altri Paesi, erano affidate alla clandestinità, e alle mani delle mammane.

Chi erano le mammane?

Leggiamo da vocabolario Treccani

Correntemente, indica anche la donna che aiuta una gestante ad abortire in modo clandestino, valendosi di pratiche rozze e spesso dannose per la salute.

Le mammane agivano nella più totale illegalità, laddove non ci fossero cliniche disposte a far abortire in clandestinità, in camere anguste e con mezzi “di fortuna”, provocando emorragie alle partorienti con infusi al prezzemolo o praticando interruzioni di gravidanza con ferri da calza e pompe per biciclette, mettendo il più delle volte a rischio la vita delle donne che si rivolgevano a loro.

Emma Bonino, nel 1975, pochi anni prima dell’approvazione della 194, si autodenunciò per procurato aborto proprio per sensibilizzare l’opinione pubblica sull’estrema pericolosità di queste pratiche illegali, che molto spesso terminavano con la morte della partoriente.

Ci fu bisogno di una sentenza della Corte Costituzionale, sempre nel 1975, per stabilire la differenza tra un embrione e un essere umano e per sancire la prevalente importanza della vita della donna rispetto a quella del nascituro, e fu anche grazie a questa se, tre anni più tardi, il 22 maggio, l’aborto fu finalmente reso legale, gratuito e accessibile a ogni donna.

Di mammane e aborti clandestini parla anche il libro 194. Storie di aborto. Dalla criminalità alla legalità, del ginecologo e medico legale Marco Sani, cofondatore della Laiga (Libera Associazione Italiana Ginecologi per Applicazione  legge 194), che raccoglie le storie di alcune donne costrette a ricorrere alle interruzioni di gravidanza illegali in assenza del diritto.

194. Storie di aborto. Dalla criminalità alla legalità

194. Storie di aborto. Dalla criminalità alla legalità

Il ginecologo e medico legale del policlinico Casilino di Roma, cofondatore della Laiga (Libera Associazione Italiana Ginecologi per Applicazione legge 194) Marco Sani racconta storie di donne che hanno abortito clandestinamente, prima dell'approvazione della legge 194.
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Prima della sua approvazione [della legge, ndr.] si registravano tra i 350 e i 450 mila interruzioni di gravidanza all’anno, di donne che in ospedale arrivavano dicendo di avere avuto un aborto spontaneo, anche se non era così – ha spiegato Sani a Vanity Fair – L’anno dopo l’approvazione della legge, gli aborti documentati sono scesi a 237 mila.

Circa 250 mila donne ogni anno finivano nelle mani delle mammane, nel nostro Paese. Molte di loro morivano sotto i ferri.

Mammane e aborti clandestini

L’esperienze di aborto clandestino è descritto anche dalla scrittrice Annie Ernaux nel libro L’evento, che racconta dell’esperienza di interruzione di gravidanza di una ragazza di 23 anni nella Francia del 1963, in cui l’aborto è illegale.

L'evento

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Annie Ernaux racconta l'esperienza di aborto clandestino nella Francia del 1963, dove l'interruzione di gravidanza è ancora illegale
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Questo estratto è estremamente importante per capire perché la legalità dell’aborto sia un requisito fondamentale di una società civile.

Che la clandestinità in cui ho vissuto questa esperienza dell’aborto appartenga al passato non mi sembra un motivo valido per lasciarla sepolta. Tanto più che il paradosso di una legge giusta è quasi sempre quello di obbligare a tacere le vittime di un tempo, con la scusa che ‘le cose sono cambiate’. Ciò che è accaduto resta coperto dallo stesso silenzio di prima. È proprio perché nessuno divieto pesa più sull’aborto che, mettendo da parte la percezione collettiva e le formule necessariamente semplificate imposte dalle battaglie degli anni Settanta – ‘violenza sulle donne’ eccetera -, io posso affrontare, in tutta la sua realtà, questo evento indimenticabile.

L’esperienza italiana passata, e in generale di ogni Paese prima dell’approvazione delle leggi sull’aborto, ma anche le storie attuali dei Paesi in cui l’aborto tuttora non è garantito per legge forniscono una prova lampante del fatto che non legittimare il diritto delle donne a interrompere una gravidanza, sia questa scelta dipendente da ragioni di iperconservatorismo religioso o maschiliste, volte ad annientare l’autodeterminazione femminile, non blocca effettivamente il ricorso all’aborto. Ha solo la pericolosissima conseguenza di affidare le donne nelle mani di persone non competenti, che operano in ambienti non salubri, non igienicamente adatti a un’operazione del genere, e senza gli strumenti adeguati.

Se una donna decide di abortire lo farà a prescindere, anche nella clandestinità, con il rischio, estremamente concreto, di morire sotto i ferri delle mammane. Per questo è importante difendere la legge 194 e il diritto garantito da essa di interrompere la gravidanza: non significa necessariamente essere d’accordo, o che prima o poi, nella propria vita, ci si troverà di fronte alla scelta di abortire. È importante per tutelare altre donne che, per ragioni personali e decidendo liberamente per sé e sul proprio corpo, operano questa scelta.

Le mammane oggi

I recenti casi di alcuni Stati, negli USA, che stanno facendo delle pericolose marce indietro rispetto al tema aborto, della Polonia, dove l’aborto è stato praticamente messo fuori legge, ma anche dell’Umbria, con la suddetta proposta di legge, o del comune di Iseo, dove vengono dati 160 euro alle donne che rifiutano di abortire, fanno comprendere quanto il diritto a interrompere una gravidanza sia tutt’altro che assicurato per le donne, in Italia e nel mondo.

Il rischio del ritorno di una versione 2.0 delle mammane, per molti, purtroppo è dietro l’angolo, e questo a causa di vari fattori, su cui senza dubbio spiccano le ingerenze degli ambienti ipercattolici, ma anche il numero mai in diminuzione dei medici obiettori di coscienza, la cui presenza negli ospedali è anch’essa tutelata dalla 194.

I medici che fanno obiezione di coscienza sono in aumento e contemporaneamente diminuisce il numero delle strutture che praticano l’interruzione di gravidanza, soprattutto quella terapeutica dopo la 12esima settimana

Ha spiegato a LaPresse Silvana Agatone, presidente di Laiga.

Un rapporto del Ministero della Salute parla di sette obiettori su dieci, e di un fenomeno dimezzato rispetto agli anni ’80, ma, sottolinea Agatone, questo non è sufficiente a circoscrivere il problema.

Se in una città va in pensione l’unico medico che pratica l’interruzione di gravidanza e nessuna donna può più usufruire del servizio, non significa che in quella città non si abortisce più. Le donne andranno altrove. E se non risulta che siano andate in altri ospedali, allora parliamo di ritorno all’aborto clandestino.

Per queste donne si apre la possibilità di andare all’estero, oppure di fare nuovamente ricorso a mammane e pastiglie.

Basta recarsi in farmacia e comprare il Cytotec, un farmaco contro l’ulcera a base di Misoprostolo – si legge in questo articolo – Sebbene questo farmaco non sia venduto come pillola abortiva la somministrazione ripetuta, a poche ore di distanza, provoca delle contrazioni uterine che portano a quello che apparentemente, a un controllo, si presenta come un aborto spontaneo. Lo stesso principio attivo infatti è usato per far espellere il feto quando si sceglie l’aborto farmacologico con la Ru-486. Certo per averlo serve la ricetta, ma basta trovare un medico o un farmacista compiacente e il gioco è fatto.

[…] Pochi secondi di ricerche sul web sono sufficienti per trovare e-pharmacies illegali, che vendono medicinali senza bisogno della prescrizione medica. Secondo la piattaforma legitscript.com ne esistono 35.610 in tutto il mondo, il 95% delle quali è illegale. E come se così non fosse già abbastanza semplice, basta affinare un po’ la ricerca e digitare le parole chiave ‘Abortion kit’ ed ecco qua che escono e-pharmacies dedicate esclusivamente a questo.

La più famosa è Abortionpillrx.com. Su questo sito non si trova solo il Cytotec, ma sembrano essere specializzati nella vendita di veri e propri pacchetti completi. In home page vediamo una bella ‘dottoressa’ bionda, avvolta in un camice bianco, con un sorriso rassicurante e una donna che rilassata si tocca la pancia. Basta uno scroll veloce per arrivare alla merce in vendita. Le informazioni fornite sono facilmente comprensibili: ‘100% di soddisfazione, prezzi accessibili, aborto sicuro e privacy’.

Quindi basta scegliere la quantità, digitare il numero della propria carta di credito e fornire un indirizzo e per meno di 180 euro, entro cinque giorni lavorativi, nascosto in un anonimo pacchetto, eccoti servito il kit per l’aborto. Facile come rubare le caramelle a un bambino.

Dovrebbero esserci molti modi alternativi rispetto alla scelta clandestina, su tutte la pillola abortiva Ru-486 e l’aborto farmacologico, che però è ancora praticato da pochissime strutture. Se a questa scarsità uniamo, d’altro canto, l’abbondanza di obiettori di cui abbiamo poc’anzi parlato (93% in alcune zone italiane, come Bolzano, ad esempio) è chiaro che le donne che desiderano interrompere la gravidanza non vedano altra via d’uscita se non quella della mammana e della clandestinità.

Non è un caso se, nel 2016, un decreto legislativo del 15 gennaio abbia depenalizzato l’interruzione di gravidanza clandestina, innalzando però le sanzioni per chi lo pratica, dai simbolici 51 euro (pari alle vecchie 100 mila lire stabilite nell’articolo 19 della 194) a 5-10 mila euro. È un modo come un altro per dire: fatelo, se volete, ma attenzione a non farvi scoprire.

Quando il messaggio, in realtà, dovrebbe essere di tutt’altro tipo: non avete bisogno di farlo, perché il Sistema Sanitario Nazionale vi tutela.

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