Quello sull’obiezione di coscienza resta uno dei dibattiti più scottanti su cui ragioni di fede, di morale e di etica si scontrano inevitabilmente con altre più pratiche e decisamente più razionali.

Naturalmente stiamo parlando soprattutto degli obiettori di coscienza in campo medico, ossia di quei ginecologi e infermieri che si rifiutano di praticare le interruzioni di gravidanza garantire dalla legge 194 del 1978, peraltro la stessa che regola il loro stesso ruolo.

Fermo restando che non spetti a noi entrare nel merito delle scelte personali compiute da chi decide di ricorrere all’aborto, così come di chi decide di non praticarlo, va però detto che un distinguo appare necessario laddove il diniego all’interruzione arrivi proprio da un professionista medico, che spesso si trova ad avere fra le mani la stessa vita della gestante che vuole abortire. Insomma, se si sceglie di diventare ginecologi si può mettere in conto che potrebbe capitare di affrontare degli aborti, e che il proprio diritto alla scelta (di non praticare Ivg) o le proprie ragioni etiche non dovrebbero contrastare con la tutela della salute e della vita della paziente (cosa che peraltro è garantita per legge, come vedremo più avanti).

Un bel dilemma con molte implicazioni, chiaramente, per questo nell’articolo cercheremo di esplicare la situazione italiana al meglio.

L’obiezione di coscienza di medici e infermieri

obiezione di coscienza
Fonte: web

Come si legge da definizione di Treccani, l’obiezione di coscienza è l'”Esercizio del diritto, da parte del medico o di altro personale sanitario, di rifiutarsi di prestare la propria opera di fronte a una richiesta di intervento che sia contraria ai propri principi etici e per la quale sia normativamente prevista l’obiezione“.

L’obiezione di coscienza può dunque esercitarsi secondo quanto stabilito dalla l.194/78, il cui art. 9 prevede specifiche “clausole di coscienza” che garantiscono al personale medico e sanitario la facoltà/diritto di non esercitare l’interruzione di gravidanza.

L’obiezione interessa lo staff ospedaliero nel suo complesso, dai medici – ginecologi e non – fino a ostetriche, infermieri e anestesisti.

Tale diritto viene riconosciuto anche dal Codice deontologico dei medici del 2006, al cui art. 22 si legge: “Il medico, al quale vengano richieste prestazioni che contrastino con la sua coscienza o con il suo convincimento clinico, può rifiutare la propria opera, a meno che questo comportamento non sia di grave e immediato nocumento per la salute della persona assistita“.

Ne consegue che il personale sanitario obiettore non sia tenuto a prendere parte alle procedure presso il consultorio o a garantire i necessari accertamenti medici, e che sia altresì esonerato dal compimento delle procedure e delle attività necessariamente dirette a determinare l’aborto. L’obiezione di coscienza e il diritto a praticarla deve essere preventivamente dichiarata al medico provinciale, nel caso di personale dipendente dell’ospedale o, al direttore generale, nei casi di case di cura.

L’obiezione di coscienza, restando nel campo medico, può riguardare anche la fecondazione artificiale eterologa, mentre sulla pillola del giorno dopo c’è stato a lungo un dibattito aperto, che si è risolto con l’utilizzo della giurisprudenza, per cui è stabilito che il medico che rifiuti di prescrivere il contraccettivo di emergenza sia tenuto a inviare la ragazza a un collega non obiettore, disposto a prescriverla in tempi brevi. Qualora il farmacista si rifiutasse di dispensare il contraccettivo senza prescrizione, occorre presentargli copia della determina AIFA del 1° febbraio 2016.

I dati dell’obiezione di coscienza in Italia

Secondo alcuni dati del Ministero della Salute l’obiezione di coscienza è al 68,4% tra i ginecologi, al 45,6% tra gli anestesisti e al 38,9% tra il personale non medico.

Ci sono regioni, come il Molise, in cui le percentuali di ginecologi obiettori sale addirittura fino al 96,4%, in Basilicata è dell’88%, in Sicilia 83,2%, a Bolzano dell’85,2%. In Lombardia la percentuale di medici obiettori supera il 70%.

Per quanto riguarda invece la percentuale di strutture che effettuano l’Ivg, sono il 64,5% (contro il 60,4% della relazione precedente). Con casi particolari, come quello della provincia autonoma di Bolzano e della Campania, dove le strutture che effettuano Igv sono meno del 30% .

Esaminando il carico di lavoro del personale non obiettore, la media nazionale di Ivg è di 1,2 a settimana, con valori che vanno dallo 0,2 nella Valle d’Aosta all’8,6 del Molise, passando per picchi di 18,2 Ivg in ospedali siciliani o 13,6 in alcuni campani.

La legge sull’obiezione di coscienza

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Fonte: web

L’obiezione di coscienza, come detto, è regolata dalle medesima legge che ha introdotto l’interruzione di gravidanza in Italia, ossia la l. 22 maggio 1978 n. 194. Secondo la legge, l’obiezione di coscienza sollevata da un medico è da considerarsi revocata con effetto immediato qualora questi partecipi direttamente a pratiche di Ivg, fatti salvi i casi in cui sia presente un evidente pericolo di vita per la donna.

Lo status di obiettore non esonera però il professionista sanitario dall’assistenza antecedente e conseguente all’intervento; il SSN, infatti, è tenuto ad assicurare che l’Ivg si svolga in strutture ospedaliere deputate a ciò, perciò, qualora il personale assunto sia costituito interamente da obiettori, dovrà sopperire a tale situazione, magari richiedendo un trasferimento di personale.

Il professionista sanitario, anche se obiettore, non può invocare l’obiezione di coscienza qualora l’intervento sia indispensabile per salvare la vita della donna in imminente pericolo.

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