"Indian Matchmaking", l'India dei matrimoni combinati tra sessismo e violenza

Su Netflix gli otto episodi della docu-serie con protagonista una sensale che viaggia tra gli Stati Uniti e un paese in cui ancora la situazione femminile è ben lontana da un empowerment diffuso e capillare che sappia rivedere il ruolo della donna nella società.

Sessismo, body shaming, castismo e razzisimo, cultura patriarcale e un fondo neanche tanto velato di misoginia? C’è questo e altro in Indian Matchmaking, docu-serie disponibile su Netflix che racconta i matrimoni combinati in India (e negli Stati Uniti da parte di giovani single di origini indiane) attraverso il lavoro di una sensale.

Grazie alle otto puntate della serie, in molti hanno potuto conoscere il lavoro della matchmaker, una figura professionale della tradizione indiana che negli anni ha unito forze e saperi con quelli dei siti web matrimoniali e si affida oggi, contemporaneamente, a biodata, life coach, astrologi e fisionomisti, per dar vita a unioni che siano le più “giuste” e durature possibili, grazie all’intercessione di Sati, dea della felicità coniugale, e all’analisi dei profili anagrafici.

Il 90% di tutte le nozze nel paese sono ancora organizzati da un intermediario matrimoniale (anche se cresce l’incidenza del matrimonio d’amore) e molti giovani americani di ambo i sessi, ricchi e indipendenti, di origini indiane, sono ancora disposti a provare “metodi del passato” e fare affidamento sulla saggezza di un sensale (come la “Sima aunty” di Indian Matchmaking) pur di trovare compagnia stabile. Molti di loro, per di più, hanno lunghe liste sulle preferenze di chi incontrare, che includono la casta, il colore della pelle e la religione.

Le donne a cui è più facile trovare marito? Sono alte, magre, possibilmente bionde, di carnagione non troppo scura, non sono divorziate e non hanno figli, non hanno neanche particolari ambizioni personali, a meno che non siano gli stessi uomini a cercare per sé una moglie indipendente.

Una ragazza troppo autonoma, d’altronde, ha più difficoltà di adattarsi alle regole che vigono in una famiglia: meglio cercare qualcuno che parli la stessa lingua, mangi lo stesso cibo, abbia le stesse credenze religiose e condivida la stessa visione della società, anche fosse alla base di un sistema gerarchico e discriminatorio.

Non è soltanto uno scontro tra ideali moderni e vecchie usanze quello a cui si assiste, dunque, un conflitto tra tradizione e modernità, ma la necessità di questi giovani di affrancarsi da un possibile scontro di vedute nell’ottica di un’unione che confermi invece il proprio modo di essere al mondo.

I fautori del matrimonio combinato sono pronti a sottolineare il basso tasso di divorzi dell’India e raccontare svariate storie di successi nuziali; senza dubbio, in passato e oggi, sono tante le coppie felici create attraverso una declinazione del tradizionale matchmaking. Questo non cambia tuttavia che il matrimonio combinato sia una forma di controllo sociale approvato dalla famiglia, un modo per gli anziani di una comunità di far rispettare determinate norme ai propri figli: regola la riproduzione, determinando i limiti del pool genico dei propri discendenti, e allo stesso tempo diminuisce la scelta personale dell’individuo a favore della stabilità della comunità (a spesa della donna, verrebbe da aggiungere…).

Non è dovere di un reality show realizzare un cambiamento sociale e non è quello che si chiede a Indian Matchmaking, a cui si riconosce senza dubbio il merito di aver portato allo scoperto – almeno in Occidente – una realtà poco rappresentata e allo stesso tempo di sollevare questioni sul desiderio di appartenenza (e sopravvivenza) di intere comunità.

Eppure lascia perplessi come non si faccia per nulla accenno a una serie di dati capaci di fotografare un Paese in cui ancora la situazione femminile è ben lontana da un empowerment diffuso e capillare che sappia rivedere il ruolo della donna nella società. Tanta ironia, dunque, che pur non mette al riparo da quel divertimento carico di senso suprematista da parte di noi occidentali che in fondo non fa bene a nessuno degli attori coinvolti.

Pundit Sushil-Ji e Sima Taparia in Indian Matchmaking (Photo: Courtesy of Netflix)

Il matrimonio in India: alcuni dati

  • In India, i tassi di depressione tra le donne sposate sono molto più alti che altrove. Secondo il Lancet, hanno due volte e mezzo più probabilità di suicidarsi rispetto alle donne dei Paesi più ricchi. Le cifre del National Crime Records Bureau mostrano che ogni anno, a partire dal 1997, più di 20 mila casalinghe indiane si sono tolte la vita.
  • Svariati i problemi sollevati dalla dote, antica tradizione hindu, un tempo diffusa solamente tra le caste alte, oggi radicata in tutte le sezioni della società indiana e diventata una sorta di merce di scambio nel matrimonio combinato. Per ragioni collegate a questa pratica antica ma vietata dalla legge cinquant’anni fa, muore una media di una sposa all’ora, mentre quelle che sopravvivono a una fine sovente orrenda, cosparse di acido o bruciate vive, sono almeno dieci volte tanto. Nel 2010 sono state registrate 8.391 denunce di omicidi di giovani donne per motivi di dote, con un aumento di oltre il 15% sui 6.995 di dieci anni prima.
  • Nonostante in India la legge preveda che l’età da matrimonio sia per le donne 18 e per gli uomini 21 anni, secondo il rapporto dell’Unicef del 2009 il 47% delle donne si sarebbe sposata prima dei 18 anni. Nelle aree rurali la percentuale cresce al 56%. Il 40% dei matrimoni infantili nel mondo (in calo ma ancora in numeri sopra i 12 milioni) avvengono in India e si stima che 3 milioni di bambine sotto i 15 anni abbiano già un bambino. Nelle zone rurali i matrimoni vengono celebrati in determinati periodi e sono matrimoni per questo di massa. Una volta sposati i bambini tornano ognuno alle proprie case per venire riuniti poi dopo la prima mestruazione della bambina. Una volta riuniti, i giovani sposi vanno a vivere dalla famiglia del maschio.
Vyasar Ganesan e Manisha Dass in Indian Matchmaking (Photo: Courtesy of Netflix)

Indian Matchmaking: la scheda della docu-serie

La docu-serie Indian Matchmaking in otto parti presenta la più celebre tra le sensali con sede a Mumbai, Sima Taparia, mentre cerca di trovare abbinamenti adatti ai suoi ricchi clienti in India e negli Stati Uniti, mentre vola avanti e indietro tra i due paesi e gestisce i propri clienti tramite le videochiamate.

La serie, prodotta dalla documentarista Smriti Mundhra (nominata all’Oscar nel 2020 per il documentario St. Louis Superman), presenta diverse persone che cercano una via di mezzo tra il matrimonio organizzato dai genitori e gli appuntamenti moderni (compresi quelli facilitati dalle app di incontri).

Le donne in carriera, originarie dell’India che vivono negli Stati Uniti, assumono la signora Taparia di propria iniziativa; i parenti costringono invece i ragazzi di Mumbai ricchi a farle visita. Qui, le conversazioni a casa nella maggior parte dei casi avvengono con i genitori perché, come dice la signora Taparia: «In India i matrimoni sono tra due famiglie e le famiglie hanno la loro reputazione e milioni di dollari in gioco, quindi i genitori guidano i loro figli».

Sima “aunty” cerca allora di trovare corrispondenze adatte per i suoi ricchi clienti: indaga sui dettagli più intimi della loro vita, sui loro interessi, le ambizioni e attraverso approfondite letture astrologiche, così da guidarli verso l’anima gemella.

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