Un reggiseno e un paio di slip nuovi. È questo il “regalo” che l’infermiera Martha Phillips fa alle donne che, purtroppo, arrivano numerose nel pronto soccorso dell’ospedale in cui lavora, il PeaceHealth Medical Center di Bellingham, nello stato di Washington.

Le pazienti cui Martha fa questo particolare dono sono accomunate da una cosa: sono tutte vittime di violenza sessuale. Per questo Martha ha deciso, dallo scorso dicembre, assistendo a una particolare scena, di mettere a disposizione un intimo nuovo per loro, dal momento che spesso il loro viene trattenuto dai medici legali per effettuare le dovute analisi e indagini.

Proprio vedendo una donna uscire dall’ospedale in camice, intenta a coprirsi il seno con le braccia strette intorno al petto, imbarazzata, l’infermiera ha deciso di andare ad acquistare 150 dollari di reggiseni e mutande da tenere in ospedale. Per un motivo molto semplice.

Chi è vittima di violenza sessuale ha subito già abbastanza traumi – ha spiegato al Washington Post Phillips – Devono lasciare l’ospedale sentendosi esposte, senza reggiseno e biancheria intima decente? È semplicemente inaccettabile.

Dopo aver acquistato l’underwear, Martha ha anche scattato una foto che ha condiviso poi sul proprio profilo Facebook, spiegando il suo intento.

Questa è la biancheria intima che nessuna donna vorrebbe indossare – si legge nel post – E non solo perché si tratta di reggiseni sportivi del colore di un farmaco per la nausea. Ma perché viene data alle vittime di stupri, che lasciano i propri indumenti in ospedale come testimonianza di quanto hanno subito.

Questo noioso reggiseno sportivo è decisamente meglio di quello che normalmente viene dato alle pazienti dimesse. Alcune donne restano completamente senza vestiti: camicia, canotta, pantaloni, reggiseno, calzini. E se il programma che si prende cura di loro non provvede a dar loro un ricambio, escono dall’ospedale in camice e con i calzini ospedalieri. Senza reggiseno.

[…] Hai mai visto una donna che è appena stata violentata, ha appena fatto un esame forense di tre ore, ha appena fatto analizzare ogni superficie del suo corpo martoriato, lo ha fatto fotografare per la polizia, l’hai mai vista uscire da un ospedale indossando solo un enorme camice d’ospedale con le braccia avvolte intorno al petto, piena di vergogna perché non ha un reggiseno da indossare?

Io sì.

E mi rifiuto assolutamente di vederlo ancora.

Martha, che da 14 anni fa parte di un team che si occupa di prestare assistenza alle vittime di stupro, e che solo nel 2019 ha preso in carico ed esaminato ben 136 casi, ha concluso il suo post con un link alla rete nazionale Rape, Abuse and Incest e l’appello alle persone di donare all’ospedale, al centro di accoglienza per lo stupro o al rifugio per le vittime di violenza altra biancheria intima, pantaloni della tuta e calzini.

La risposta della gente non si è fatta attendere, tanto che ora al PeaceHealth ci sono indumenti disponibili adatti ad “aiutare le sopravvissute per un anno intero“.

Del resto l’argomento sta davvero a cuore a Martha, che collabora con un programma di recupero delle vittime di violenza domestica e violenza sessuale nella contea di Whatcom, il quale garantisce a ogni donna di ricevere anche ascolto e sostegno, grazie anche alla figura degli avvocati che presenziano agli esami medici e sono pronti a difendere le richieste delle donne, sia che desiderino coinvolgere la polizia o che vogliano solo assicurarsi di non aver contratto l’HIV o di essere rimaste incinte.Ci sono però alcuni dati sullo stupro che Martha snocciola, e che danno l’idea di quanto ancora forte sia il senso di colpa instillato nelle vittime: quasi il 70% delle donne violentate nella contea di Whatcom, dice, non vengono in ospedale a farsi visitare.

Questo senso di vergogna e colpa che impedisce loro di cercare cure mediche incredibilmente importanti e necessarie deve finire“, ha detto – Quello che è successo non è colpa loro. Abbiamo davvero molta strada da fare in questo paese “.

Significativa è anche questa parte del post:

Un intimo nuovo, un reggiseno comodo, un comodo paio di pantaloni, un morbido cappuccio, calzini soffici, tutte queste cose possono aiutare a far sentire una sopravvissuta a uno stupro di nuovo una donna.
Una persona.
Non una vittima.
Perché è una lunga passeggiata quella che deve fare in quel corridoio, fuori dall’ospedale, e di nuovo nel mondo. Facciamola almeno stare a suo agio in ogni suo passo.

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