Quando la famiglia non è solo quella che si crea "Dopo il matrimonio"

Nuovi modi di essere famiglia sono sempre più all'ordine del giorno, plasmati sulla necessità di dare e avere sostegno. Spesso caldeggiati dalle donne, non hanno chance di successo senza l'impegno della parte maschile.

C’è un modo di essere famiglia che si va creando dopo il matrimonio e c’è un tipo di famiglia plasmata dalla necessità: la seconda, capace di varcare egoismi e gelosie, ha spesso più chance di sopravvivenza della prima.

L’esigenza di proteggere i propri figli, a volte, sa superare il senso di possesso congenito a molti esseri umani, madri in testa. E a suo modo il film Dopo il matrimonio, con Julianne Moore e Michelle Williams, mette sotto i riflettori due modi opposti e contrari e per questo complementari di essere madre costrette dagli eventi ad affidarsi una all’altra.

È amore materno fare in modo che la propria prole abbia maggiori opportunità, anche a costo di sé stessi: abbandoni che non sono rifiuti, gesti estremi commessi in nome di un bene superiore.

Il concetto di famiglia continua a cambiare e a plasmarsi con e sulla società circostante. In un mondo dove i legami sembrano farsi sempre più effimeri, il nucleo famigliare conosce nuove forme e allarga i confini trasformandosi sempre più in uno spazio di sentimenti non irregimentati da contratti legali o parentele di sangue.

Per affrontare il mondo c’è bisogno di trovarsi e sorreggersi vicendevolmente. Come spesso accade, è alla donna che tocca il compito di allungare una mano in cerca di aiuto e per dare aiuto. Indispensabile, l’impegno della parte maschile affinché questo modo allargato di essere famiglia abbia successo e sia in grado di assicurare ai propri figli quelle cure e quell’affetto che restano inderogabili.

Julianne Moore e Michelle Williams in Dopo il matrimonio (Foto: Ufficio stampa)

Dopo il matrimonio: scheda tecnica

Presentato in anteprima al Sundance Film Festival del 2019, Dopo il matrimonio è il remake del film omonimo della regista danese Susanne Bier, del 2006 (candidato agli Oscar come miglior film straniero).

Regia e sceneggiatura sono affidati a Bart Freundlich, che cuce addosso alla moglie, l’attrice Julianne Moore, un ruolo intenso e sfaccettato. Accanto alla Moore, Michelle Williams, Billy Crudup e Abby Quinn.

La storia ruota attorno a Isabel e Theresa: la prima dirige un orfanotrofio in un bassofondo di Calcutta, la seconda è una magnate dei media. Invitata da quest’ultima a New York per presentare di persona il progetto della scuola in India, Isabel si trova suo malgrado coinvolta nei festeggiamenti del matrimonio della figlia ventunenne della potenziale benefattrice.

Dietro lo sfarzo e la gioia, però, le nozze portano a galla una verità nascosta, riaprendo una vecchia ferita e rivelando un nuovo segreto.

Abby Quinn e Michelle Williams in Dopo il matrimonio (Foto: Ufficio stampa)

Perché vedere il film con Julianne Moore e Michelle Williams

Convince la scelta di Bart Freundlich di declinare al femminile il dramma familiare che Susanne Bier, regista della versione originale di Dopo il matrimonio, aveva affidato a Mads Mikkelsen e Rolf Lassgård. Pur patinato nella messa in scena dell’inesorabilità del destino, il film americano restituisce con forza i legami tra i personaggi.

Svettano Julianne Moore e Michelle Williams, sempre bravissime e calibrate nell’interpretare due figure sfaccettate e non banali. In parte anche i due co-protagonisti, Billy Crudup e Abby Quinn.

Da segnalare la splendida tenuta sulla Oyster Bay dove la protagonista vive con il marito artista: si tratta della villa di Carter e Susie Bells, nota designer del paesaggio e autrice di dodici libri sull’argomento, che si era dedicata con passione alla cura dei giardini della casa.

Lontano dall’essere un capolavoro, appesantito da qualche dialogo a tratti stereotipato ed eccessivamente melodrammatico, Dopo il matrimonio ha il merito di raccontare con grazia – e una certa dose di sincerità – sia l’esigenza di fare delle scelte al limite che può abbattersi anche nelle vite più agiate sia quanto labile possa dimostrarsi il confine tra giusto e sbagliato.

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