Cosa spinge un uomo e una donna a mettere al mondo un altro essere umano durante la guerra? Perché una madre sceglie di testimoniare gli orrori del conflitto e di raccontare al mondo gli attacchi senza sosta a civili e ospedali invece di mettere in salvo sua figlia? Che ci fanno i bambini in mezzo alle bombe a grappolo, ai raid aerei, ai colpi di mortaio? Perché giocano ancora in una città sotto assedio?

«Sama, sei la cosa più bella della nostra vita. Ma in che vita ti ho trascinata? Tu non hai scelto. Potrai perdonarmi?», chiede Waad Al-Kateab, la giornalista siriana che ha ripreso dal 2012, la presa di Aleppo est da parte di Bashar Al-Assad e dei suoi alleati russi. È a lei che si deve il documentario Alla mia piccola Sama, un viaggio intimo nell’esperienza femminile della guerra in forma di video diario.

Donne e guerra: argomento spinoso. È il sesso femminile a pagare spesso il conto più salato nei periodi bellici, vittima non solo delle bombe che cadono dall’alto, ma anche delle violenze da parte dei nemici (vincitori o vinti che siano). Sono le donne a dover mettere in salvo i bambini, i vecchi, sé stesse. A loro il compito di resistere in patria e di addossarsi gran parte della ricostruzione.

Difficile non scadere in facile retorica quando si decide di gettare una luce rivelatrice sul costo dei conflitti sulla popolazione civile, eppure Waad Al-Kateab ha il grande merito di mostrare con potenza la forza di cui è capace una madre per dare un futuro alla propria figlia e come l’amore per la propria terra martoriata e il desiderio di libertà possano spingere le giovani generazioni verso gesti titanici, compreso il metterne a rischio l’incolumità.

Al sangue che macchia le strade della città distrutta, alla polvere che rende difficile respirare, agli abiti sporchi, allo stomaco vuoto, è possibile reagire con un solo unico atto rivoluzionario: quello di dare la vita.

La giornalista siriana Waad Al-Kateab (Foto: ufficio stampa)

Alla mia piccola Sama: scheda tecnica

È nei cinema in Italia dal 13 febbraio Alla mia piccola Sama (titolo originale For Sama) della giornalista siriana Waad Al-Kateab e del regista britannico Edward Watts.

Candidato agli Oscar 2020, ha ottenuto riconoscimenti nei principali festival di tutto il mondo (tra questi L’Oeil d’Or al Festival di Cannes, il Bafta e il premio agli EFA). È distribuito da Wanted Cinema con il patrocino di Amnesty International Italia; nella versione italiana vede la partecipazione di Jasmine Trinca come voce narrante.

Al documentario ha fatto seguito la campagna Action for Sama, per raccogliere fondi, sostenere gli operatori umanitari e fermare il targeting delle strutture sanitarie in Siria. Bombardare gli ospedali, infatti, è una delle più gravi violazioni del diritto internazionale umanitario, ma i filmati di Waad Al-Kateab hanno testimoniato più volte di medici in camice verde intrappolati sotto i bombardamenti, mentre tentano impotenti di coprire i pazienti che stanno operando e madri che partoriscono mentre tutto è distrutto.

Waad Al-Kateab la regista del documentario Alla mia piccola Sama
For Sama

Perché vedere il documentario di Waad Al-Kateab ed Edward Watts

Tragedia e speranza si mescolano e si intrecciano in Alla mia piccola Sama, una lettera d’amore della regista Waad Al-Kateab a sua figlia per spiegarle la scelta di restare in Siria sotto i bombardamenti dei missili e dei barili bomba.

Lontano dal voler essere un atto di accusa al mondo che ha permesso l’orrore perpetrato ad Aleppo, il documentario ne è invece testimonianza, atroce ma necessaria affinché anche fuori dal paese si sappia cosa accada ai civili. Allo stesso tempo, però, dimostra quanto i miracoli possano accadere anche in tempo di guerra.

Sono tanti i momenti in cui il pubblico vorrà distogliere lo sguardo dallo schermo: molte delle vittime trascinate fuori da edifici devastati o disposte su pavimenti intrisi di sangue sono bambini; bambini cresciuti in mezzo a una cacofonia di esplosioni assordanti a cui non reagiscono più; le cui prime parole che imparano a dire includono “raid aereo” e “bomba a grappolo”; che giocano tra i rottami degli autobus bruciati.

Alla mia piccola Sama intreccia la narrazione personale con la storia del Paese attraverso un collage di immagini raccolte durante cinque anni e montate con un ordine cronologico fatto di flashback e anticipazioni.

A lasciare il segno, al di là delle tante “scene inquietanti” e le “immagini di corpi morti reali” che “possono causare angoscia ad alcuni spettatori”, sono i legami umani, il cameratismo tra donne che preparano stoicamente il cibo mentre le bombe cadono dal cielo; la resistenza dei bambini che sorridono ancora mentre la loro sopravvivenza è costantemente minacciata.

A restare è la disperata voglia di vivere e di salvare non solo vite umane, ma anche quella di una rosa, che malgrado tutto continua a crescere nel giardino di quella che una volta fu la propria casa.

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