La locuzione era volgare (e.v.), o era comune (e.c.), è stata introdotta al posto della sigla d.C. (dopo Cristo), onde evitare riferimenti a una particolare religione. Di conseguenza hanno subito cambiamenti anche le locuzioni avanti era volgare (a.e.v.), prima dell’era volgare (p.e.v.) e avanti era comune (a.e.c.) che sono alternative alle sigla a.C. (avanti Cristo).

Siete pronti a brindare per l’anno 2020 e.v.?

Alla base di questa decisione vi è la scelta politically correct di evitare ai non credenti il riferimento alla figura di Cristo contenuto nel consueto “a.C.” o “d.C.”.

L’usanza di usare la dicitura e.v. si è diffusa soprattutto nei paesi anglosassoni, dove si usano le sigle BCE (“before the common era”) e CE (“common era”), mentre in Italia come in altri paesi è scarsamente utilizzata, se non altro perché “era volgare” e “avanti era volgare” suona male, per via del duplice significato della parola “volgare”. La parola volgare usata in questo ambito significa semplicemente “comune, popolare” ma può essere confusa con l’età in cui ha iniziato a diffondersi la lingua volgare, molti secoli dopo l’anno 0.

È vero che contare gli anni in “prima” e “dopo Cristo” potrebbe non essere così corretto dal momento che i Vangeli non danno una datazione coerente per la nascita di Gesù e che comunque tale datazione non corrisponderebbe al fantomatico “anno zero”.

I Vangeli canonici hanno due versioni completamente diverse della nascita di Gesù, quella di Matteo e quella di Luca. Il primo, Matteo, ci dice che Gesù sarebbe nato prima della morte di Erode, avvenuta nel 4 avanti Cristo. Luca, al contrario, fa coincidere la nascita con il famoso censimento di Quirinio che invece avvenne nel 6 dopo Cristo. Ci rimane quindi un gap di almeno 10 anni.

Il nostro linguaggio, nolens volens, è ricco di cristianità

Il nostro linguaggio, nolens volens, è imbevuto di una cristianità a cui spesso nemmeno facciamo caso.

Si può dire che la lingua di un popolo rispecchi la sua cultura, che è fatta, naturalmente, anche delle sue credenze religiose. Dalle invocazioni ai santi (e alle gerarchie più alte) fino alle citazioni dei versetti biblici, riservate ai più colti, possiamo affermare che l’italiano è ricchissimo di espressioni idiomatiche e modi di dire tratti dalla Bibbia, presenti sia nell’Antico Testamento che nei Vangeli. Alcune di queste espressioni hanno riferimenti biblici così espliciti da essere ben conosciute anche da chi saltava quasi ogni settimana le lezioni di Catechismo.

Ad esempio, “guadagnarsi il pane con il sudore della fronte” è un modo di dire che arriva dalla Genesi e sono le parole che Dio rivolge ad Adamo dopo il peccato originale.
Altra espressione molto utilizzata è “occhio per occhio, dente per dente” che sta a indicare la cosiddetta “legge del taglione”, presente nell’Antico Testamento. La locuzione “seminare zizzania“, per esempio, è usata come sinonimo di “causare discordia” tra due persone e arriva direttamente dal Vangelo di Matteo, in cui è presente la parabola della zizzania, cioè il loglio, una pianta infestante che rovina le colture.

Dobbiamo riscrivere la storia seguendo il politically correct?

Da un punto di vista linguistico, il prestigioso manuale di stile “Chicago Manual of Style”  afferma che la scelta tra l’uno o l’altra formula spetta all’autore di testi storici e dovrebbe essere segnalata solo se le abitudini di un determinato settore o comunità sembrano essere in pericolo di essere (involontariamente) violate. Molti autori usano a.C e d.C perché sono familiari e convenzionalmente compresi. Gli scrittori che vogliono evitare il riferimento al cristianesimo sono però liberi di farlo.

Rimane il dubbio comunque se l’alternativa alla locuzione “a.C.” e “d.C” sia un eccesso di politically correct, soprattutto alla luce del fatto che l’anno preso per convenzione come anno 0 sia comunque il medesimo e perciò il riferimento a Cristo rimane comunque implicito, anche se non espresso in modo chiaro. 

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