Perché "Dio è donna e si chiama Petrunya"

"Essere il cambiamento che vogliamo nel mondo" è un mantra facile a dirsi, ma difficile da mettere in pratica, soprattutto quando quel cambiamento si scontra con una realtà che ci vuole sottomesse e emarginate. Ci vuole un evento scioccante per innescarlo, ci vuole un tuffo in acque gelate.

“Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo”: a noi e solamente a noi stessi è delegato questo importantissimo compito se davvero vogliamo realizzarci o semplicemente vivere secondo i nostri principi e seguire le nostre velleità in armonia con ciò che ci circonda.

Soprattutto se il nostro cambiamento che, altro non è che una ri-nascita, genera quel meraviglioso “effetto-onda” che travolge positivamente chi ci circonda. Facile a dirsi, molto più complicato a farsi. Ancora più arduo prenderne consapevolezza e agire di conseguenza. È molto più semplice addossare la colpa agli altri, passare per incompresi, ritenere che il nostro modo di agire sia “perfetto”, indossare la veste della vittima invece che spogliarci, mettersi a nudo in compagnia delle nostre meravigliose imperfezioni per essere puramente noi stessi, interpretare e vivere quell’agognato cambiamento che vorremmo vedere. In noi. Attorno a noi.

Di solito tutto ciò accade se irrompe nella nostra routine un fatto scioccante e talmente tanto ingiusto da farci alzare la testa e rivendicare i nostri diritti. A maggior ragione se si tratta di donne che vivono in un contesto poco accogliente per la propria autodeterminazione e gli stimoli e le opportunità sono davvero ridotte all’osso.

Se a questo, poi, aggiungiamo un aspetto fisico dalle fattezze non proprio aggraziate e da un giudizio continuo che si erge come un dito puntato contro per come ci si veste, per aspirazioni personali non comprese e per mancanza di contatto fisico e mentale con l’altro sesso, il moto di cambiamento che si innesca è ancora più dirompente. Non importa più a questo punto che nasca in maniera casuale, ma che avvenga e che si porti a compimento.

Una scena del film

È quello che succede alla protagonista del film Dio è donna e si chiama Petrunya, film rivelazione all’ultimo Festival di Berlino della regista macedone Teona Mitevska. La pellicola, presentata in anteprima italiana al Torino Film Festival (22-30 novembre 2019), sarà distribuito nelle sale italiane da Teodora Film a partire dal prossimo 12 dicembre ed è inclusa tra i tre film finalisti del Premio LUX del Parlamento Europeo, che sarà assegnato il 27 novembre.

La regista si è ispirata a un fatto realmente accaduto per narrare la storia di una donna che, disillusa dalla vita e senza un lavoro, tira fuori le unghie e porta avanti una battaglia per affermare i propri diritti, incarnando nel corso della narrazione la vera forza del cambiamento.

Nei paesi di rito ortodosso vige la tradizione annuale di gettare in acqua a gennaio una croce di legno: chi la recupera, può contare su un anno di felicità e prosperità. Tale competizione, però, è riservata esclusivamente agli uomini che sfidano le temperature polari e si tuffano per garantire a sé e alle proprie famiglie il prezioso amuleto della fortuna. Nel 2014 a Štip, in Macedonia, è stata una donna a recuperarla attirando su di sé l’odio della comunità locale e religiosa perché mai e poi mai una donna si era permessa un gesto così oltraggioso e funesto.

Nella trasposizione cinematografica la nostra eroina si chiama Petrunya (Zorica Nusheva) che, spinta dalla curiosità e un po’ da un senso di rivalsa per l’ennesima delusione accantonata, si getta vestita in acqua e vince tra lo sdegno totale dei suoi concittadini. La sua vittoria segna l’inizio del suo reale cambiamento perché non è solo la sfida di una donna che prende finalmente coscienza di sé e del proprio potenziale contro una società maschilista ma è l’acquisizione di una consapevolezza sconosciuta che diviene forte e appassionata contro ogni forma di sottomissione.

È finalmente coerenza e rispetto di sé anche se non si ha il consenso nazional-popolare del mondo circostante, è ammettere con se stessi che si ha diritto a essere felici e di meritare il proprio “anno di fortuna”, rivendicandolo in maniera corretta senza essere né sentirsi vittime sacrificali. È avere la libertà di riscrivere i finali ma anche gli inizi di grandi storie: come quella di Dio che in questa bellissima narrazione dell’affermazione di sé diviene donna. E si chiama Petrunya, ma anche Anna, Antonella, Ilaria, Nicole e tutte noi.

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