I figlie so’ piezz’ ‘e core indipendentemente dalla loro età o situazione del momento.

Dalla nascita all’età adulta e anche oltre se si può, sono il centro di “gravità permanente” di ciascuna madre, anche di quelle che prima di diventare genitrice ha giurato urbi et orbi che avrebbe preservato sempre e comunque la propria indipendenza e libertà e che non sarebbe diventata mai e poi mai come quelle donne che parlano sempre e solo di pannolini, di pappe o di preoccupanti consistenze delle cacche e che riversano sulle altre madri, come se fosse il santo e tanto atteso rigurgitino del bebè – ma anche sulle amiche fieramente single, le quali sopportano per quieto vivere e per affetto – ogni ansia e preoccupazione sul futuro dei propri pargoli.

Peggio ancora chi dichiara convinta e categorica che non sarà mai uguale alle propria di madre!

Generalizzazioni e iperboli a parte, che spero mi perdoniate, facendo io parte della schiera delle child free e quindi posso solo osservare con occhio e sorriso sornione ma sempre benevolo, sono davvero convinta che l’arrivo di un figlio non solo cambi la vita di una persona ma la sconvolga totalmente.

Sapere che c’è un’esistenza che dipende totalmente dalla tua, almeno fin quando non spicca il volo per conto proprio, toglie il sonno, modifica completamente la percezione di tutto, dalla quotidianità più spicciola fino ai rapporti con le altre persone, facendo correre spesso e volentieri il rischio di chiudersi totalmente nel proprio mondo genitoriale senza avere più la capacità di capire cosa stia succedendo intorno a te.

Quanti rapporti di amicizia ma anche di coppia si freddano o addirittura si interrompono nel momento in cui arriva un figlio che tra sorrisini, pianti, cambi di pannolino, ginocchia sbucciate, saggi di danza, partite di pallone e via discorrendo si insinua tra equilibri e abitudini consolidate, distruggendoli come se fosse uno tsunami? Quante si trasformano anche nella madre del proprio partner ridimensionando drasticamente il proprio ruolo di compagna con tutte le conseguenze del caso o si ergono a dispensatrici di consigli sulla perfetta organizzazione delle giornate verso tutti?

Soprattutto a essere totalmente alterata è la sensazione del tempo che scorre, sì proprio quel perfido e ingannevole tic-tac, tic-tac che da paffuto mostriciattolo che odorava di latte e talco l’ha trasformato in una persona adulta e indipendente. A crescere, però, non è solo il piccolo moccioso ma anche quelle rughe intorno agli occhi e alla bocca che le avvicinano inesorabili ai secondi “anta”. E che succede dopo alle madri?

Cosa fanno quando il catalizzatore di ogni loro pensiero, azione e attenzione non è più presente come prima, specie se la vita di coppia non è delle più scoppiettanti, ammesso che ancora ve ne sia una? Sicuramente sorgono il panico e la necessità di colmare quel vuoto, nei modi più disparati e bizzarri anche a costo di piombare come un fulmine a ciel sereno nella vita già avviata dei propri “pargoli”.

La vita dopo i figli di Cindy Chupack e disponibile su Netflix è una simpatica commedia, anche se a tratti risulta troppo patinata e sciccosa, che affronta proprio questo momento della vita delle madri: trovare un senso alle proprie giornate dopo aver speso tutte le proprie forze dietro ai figli.

Le nostre protagoniste, Carol (Angela Bisset), Gillian (Patricia Arquette) ed Helen (Felicity Huffman) ritrovatesi per festeggiare da sole la festa della mamma nella vana attesa di una chiamata di auguri da parte dei propri ragazzi, decidono di partire per New York e ricongiungersi ciascuna con il proprio virgulto che, rispettivamente, sono Matt (Sinqua Walls), Daniel (Jake Hoffman) e Paul (Jake Lacy).

Una volta arrivate a destinazione e tra una serie di simpatiche vicende e divertenti equivoci che creano non pochi imbarazzi ai ragazzi, si rendono conto che i propri figli sanno esattamente chi sono e cosa vogliono anche senza la presenza costante delle proprie madri e che, di contro, sono proprio loro a non sapere più chi siano come persone al di fuori del proprio ruolo genitoriale.

Sì perché se è vero che il mestiere più difficile del mondo non lo insegna nessuno, è altrettanto veritiero che è un percorso che si impara insieme alla propria prole e da quest’ultima arriva una lezione fondamentale: prendere coscienza di sé e darsi nuove prospettive non toglie niente a nessuno, anzi, al contrario, arricchisce non solo se stessi ma anche tutta la rete di contatti che gravitano intorno. Figli per primi.

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