Com'è possibile amare in tante un uomo e uccidere solo perché "Charlie says"

Le figure femminili che ruotarono attorno alla vicenda di Charles Manson e della sua famiglia omicida sono al centro, negli ultimi anni, di due importanti film: "C'era una volta a Hollywood" di Quentin Tarantino e "Charlie says" della regista Mary Harron.

Lascia andare il tuo ego, unisciti a me, dimentica tuo padre e tua madre, scorda chi sei, quello che hai fatto o ciò che hai rappresentato, la tua esistenza inizia oggi, hic et nunc qui con me e non avrai più bisogno di voltarti a guardare chi eri perché nulla ha più senso se non la coscienza collettiva, unica e indiscussa della nostra “famiglia”, di cui io, Charles, sono il leader indiscusso, la luce, il messia, la mente e la mano.

Sotto la mia guida il tuo pensiero sarà totalmente resettato e riformato, non avrai più bisogno di sforzarti e di far lavorare le sinapsi, a me basta che sfrutti il tuo corpo e le tue capacità per garantire la sopravvivenza alla nostra comunità. Quando parlerai di me o di noi, inizierai solo e sempre ogni tuo discorso con Charlie says.

E Charlie says è il titolo della terza opera cinematografica di Mary Harron, distribuito in Italia da No.Mad Entertainment, per un film totalmente al femminile non solo nella regia, ma anche nella scrittura grazie alla penna di Guinevere Turner che ne ha firmato la sceneggiatura.

Il film, già stato presentato alla Mostra del Cinema di Venezia nella sezione “Orizzonti” del 2018, è appena uscito in Italia ed è dedicato a Leslie Van Houten, detta Lulu (Hannah Murray), Patricia Krenwinkel detta Katie (Sosie Bacon) e Susan Atkins detta Sadie Marianne Rendón ), tre delle “Manson’s Girls” che componevano la famiglia di Charles Milles Manson, il folle criminale e manipolatore che alla fine degli anni ’60 sconvolse gli USA con i suoi delitti efferati, culminando nell’omicidio di Sharon Tate il 9 agosto del 1969.

L’obiettivo della regista è stato quello di raccontare la psiche del leader criminale, interpretato da Matt Smith, attraverso i racconti delle tre ragazze che presero parte alla sua follia omicida e che, una volta in carcere e in regime di massima sicurezza, furono affidate alle cure di Karlene Faith (Merritt Wever), che nelle sue sessioni di terapia tentò una sorta di deprogrammmazione mentale cercando di restituire loro la consapevolezza della loro persona e la riappropriazione di se stesse.

Tutto l’agghiacciante racconto, che alterna toni di assoluta normalità a quelli di un totale invasamento satanico, è un flashback nella vita della “family” all’interno dello Spahn Ranch, la fattoria alle porte di Los Angeles nota per essere stata location di svariati film western e che, successivamente, è stata colonizzata dalla setta di Charles Manson nella quale il criminale viveva insieme al suo fido Tex Watson (Chace Crawford) e a una pletora di donne follemente innamorate di lui e pronte a una totale sottomissione fisica e mentale fino all’annullamento di sé.

Il tutto in barba alle autentiche rivoluzioni sociali dell’epoca e alle reali comunità hippies. Sì perché il ritratto che ne viene fuori sia di Charles Manson sia delle ragazze che allietavano i sollazzi dello psicopatico e dei suoi amici ha davvero poco a che vedere con la libera scelta di concedersi a una o più persone con cognizione di causa o per il puro piacere di farlo.

Il potere che Manson esercitava sulle sue prede era ben più sottile, raffinato e insidioso. Il suo talento – se così si può definire – è stato quello di riformare il pensiero di ciascuno dei membri della sua comunità, facendo leva sulle debolezze o le carenze affettive che le vittime manifestavano nel momento in cui entravano in contatto con lui, adottando in prima battuta la tecnica del love bombing e circondando le “new entry” di un affetto e di un’attenzione mai provati e avuti prima.

Il tutto condito da una buona dose di droghe e allucinogeni che sicuramente hanno aiutato non poco ad alterare sensi e realtà. Fino al totale annullamento della propria personalità. Fino al depauperamento completo della propria volontà. Fino ad accettare la violenza fisica perché “essere picchiata dall’uomo che ami, non è diverso dal far l’amore con lui”. Fino ad essere disposte a rovistare tra i rifiuti e concedere favori sessuali a chiunque per procurare il cibo a tutti. Fino al cedimento finale di ogni valore, materiale o sentimentale che sia. Fino a uccidere nella maniera più atroce e provare gusto nel farlo perché Charlie così dice.

Non esistono più privacy, indipendenza, capacità di scelta e di azione che non vengano dai dictat del leader indiscusso, il quale detta nuove regole, stili differenti e uno sguardo verso il mondo che non deve discostare di un millimetro dal suo, in nome di una non bene identificata rivoluzione che salverà solo loro.

Le vicende della “Famiglia Manson” sono tristemente note e, benché la regista ci abbia dato una visione differente con l’occhio puntato verso chi è stato sottomesso, non vogliamo assolutamente simpatizzare con chi ha impugnato armi e coltelli e si è arrogato il diritto di spezzare molte vite come se fosse un gioco, ma di certo ci ha indotto a riflettere ancora una volta sul fatto che abusi, domini, manipolazioni e soprusi fino al cambiamento fisico e psichico è quanto, purtroppo, molte donne ancora oggi subiscono dai propri aguzzini.

Ed è anche ciò che succede a uomini e donne all’interno di molti gruppi, religiosi e politici, dove il guru di turno o il demagogo della situazione si insinua in maniera subdola e criminale fino ad ottenere un annientamento totalmente disarmante dei propri adepti.

Ciò che ci sciocca, spaventa e, soprattutto, preoccupa è la mancanza di cultura e di sensibilità verso situazioni di questo genere nelle quali liberarsi dal plagio è un percorso molto lungo e complesso e richiede non solo pazienza e competenza ma forza e un’educazione continua a utilizzare la propria testa per pensare senza scadere in modelli apparentemente facili e risolutivi.

Cosa che, c’è da chiedersi, se queste donne potranno mai davvero fare del tutto, senza rinunciare alla loro colpevolezza pur riconoscendo anche il loro essere vittime.

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