Sei negro, sei ispanico. Basta il colore della tua pelle che tradisce origini lontane per definirti come la feccia della società; rappresenti il male e la causa di tutte le brutture del secolo, sei il capo di imputazione ideale per qualsiasi iniquità commessa. Sei il perfetto capro espiatorio di un sistema giudiziario superficiale, manchevole, violento e razzista e, soprattutto, dominato dalla razza perfetta: quella bianca.

Che importanza ha che tu, ragazzino di New York della fine degli anni ‘80, abbia tra i 14 e i 16 anni e, forse, di certi argomenti, come il sesso, non ne abbia mai sentito parlare? Forse lo stai scoprendo adesso, nell’intimità della tua camera o del bagno di casa, forse ne inizi a parlare con gli amici perché c’è quella ragazza con le treccine che ti fa battere il cuore. Che importanza ha se frequenti ancora le scuole medie e più di qualsiasi altro coetaneo devi dimostrare la tua bravura perché altrimenti sarai sempre considerato un essere inferiore? Nessuna, perché sei negro e tu, invece, sei ispanico e già questo fa di te un criminale, lo hai impresso nel tuo DNA, quindi è meglio fermarti subito, stroncare sin dall’inizio la tua potenziale carriera da criminale, prenderti la vita e rinchiuderla in un carcere, rubandoti gli anni migliori senza approfondire niente su di te.

A me, polizia dello stato di New York, interessano solo i risultati finali, gli obiettivi raggiunti da portare come un trofeo davanti al Procuratore Generale. Che tu, poi, sia colpevole o innocente non me ne frega proprio niente! Tanto una confessione te l’ho estorta a modo mio, grazie ai miei mezzi e ai miei uomini che sanno essere buoni e cattivi nello stesso tempo e, pur di farla finita presto, perché non reggi la pressione e la violenza psicologica che ti stanno infliggendo, mi dai quello che voglio e io porto a casa il risultato: voi, cinque ragazzini, siete tutti accusati di aver aggredito e stuprato la jogger Trisha Meili il 19 aprile 1989.

When They See Us, la mini serie in 4 puntate di Netflix, ideata e diretta da Ava DuVernay racconta senza pietà e buonismi ma con estremo carattere la vera vicenda dei Central Park Five. La ventottenne e bianca Thrisha fu violentata a Central Park quella maledetta notte di aprile. Rimase in coma dodici giorni prima di morire. Fu un caso che scosse profondamente la comunità americana ed era necessario dare subito sangue ai vampiri politici e mediatici che si erano avventati sul Dipartimento di Polizia. Nella stessa notte dello stupro furono arrestati  cinque giovani ragazzini, individuati subito ma senza alcuna prova o logica ragione, come i colpevoli: Kevin Richardson (Asante Blackk), Antron McCray (Caleel Harris), Yusef Salaam (Ethan Herisse), Korey Wise (Jharrel Jerome) e Raymond Santana (Marquis Rodriguez).

A tutti e cinque fu estorta una confessione mendace e, nonostante l’analisi del DNA confermasse che nessuno di loro aveva violentato la donna, i Central Park Five furono giudicati colpevoli in due processi diversi, e condannati a pene carcerarie tra i cinque e i quindici anni (il massimo consentito per imputati minorenni).

Solo nel 2002 ci fu una svolta: Matias Reyes (Reece Noi), il vero colpevole e con una lunga sfilza di precedenti penali, confessò di aver violentato Meili, e l’analisi del DNA confermò la sua versione dei fatti. I cinque ragazzini, divenuti uomini troppo in fretta e in carcere, furono del tutto scagionati e passarono il resto del decennio a citare in giudizio gli accusatori, ottenendo un risarcimento pari a circa un milione di dollari a testa per ogni anno che erano stati in prigione.

La storia è lontana dai nostri giorni, ma se penso ai governi e alle istituzioni dei maggiori stati al mondo, compreso il nostro, cos’è cambiato? Guardandola, mi sembra tristemente e pericolosamente vicina a tutti noi e più che considerarla una vecchia vicenda di cronaca statunitense, vorrei che fosse un memento per tutti noi e per quello che potrebbe accadere anche nella nostra società se non ripristiniamo umanità e legalità.

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