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“Cosa ho risposto agli apprezzamenti di alcuni ragazzi sul mio fisico plus size”

E se davvero posso essere modello per qualcuno, spero di esserlo in questo senso. Perché qualche ragazza plus size, che magari ha sofferto e fatto fatica ad accettare il suo corpo "troppo", si renda conto di avere un corpo ok e non debba mai in nessun modo considerare gli appezzamenti pesanti di qualche stupido uomo come un riconoscimento. 

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Ho passato buona parte della mia adolescenza, perennemente a dieta, a fare l’inventario delle cose del mio corpo che non andavano bene. Se dovessi spiegare con una sola parola cosa c’era di sbagliato in esso, quella parola sarebbe “Troppo”.

Il mio corpo era “troppo”. Il seno era troppo. I fianchi erano troppo. Le cosce erano troppo. Persino le mie labbra, i miei zigomi, le mie braccia… Troppo.

Poi a un certo punto ho scoperto che quel mio corpo-troppo, piaceva proprio per le sue curve e per il suo essere prorompente e, roba da non credere, quelle mie forme tanto odiate sono state quelle che mi hanno aperto le porte al lavoro dei miei sogni.

Non ero più grassa, improvvisamente ero curvy o, più correttamente, plus size. Non ero più una donna cui mancavano x chili da perdere per essere bella o felice o in forma, ma ero una modella e, quindi, qualcuno in cui altri potessero riconoscersi.

Non solo potevo indossare quel bellissimo bikini in vetrina da Yamamay – cosa che in teoria potevo fare anche prima, ma non avrei mai osato -: potevo farlo sentendomi bene e, addirittura, sono stata chiamata a farlo per lavoro, posando per campagne pubblicitarie e comparendo su quegli stessi cartelloni su cui un tempo guardavo modelle dal fisico che io non avrei mai avuto.

Il movimento body positive, tutto il tema della fat acceptance e della real beauty, per me e per chiunque viva in un corpo come il mio, sono stati di cruciale importanza, inutile negarlo. Se oggi sono un donna che si ama, nonostante le insicurezze, i limiti e le paure che abbiamo tutte, lo devo a questa nuova coscienza collettiva, che ha ancora tanta strada da fare ma che già sta portando i suoi frutti, complici anche tante campagne pubblicitarie finalmente inclusive.

Peccato però che certi stereotipi siano duri a morire e mentirei se dicessi che quello che è accaduto qualche giorno fa in spiaggia non mi fosse già successo, in altre occasioni e in forme diverse. È successo che camminavo lungo la battigia da sola, indossando un due pezzi che io amo particolarmente e che, sicuramente, evidenzia il mio décolleté e il mio lato B un po’ Kardashian.

Incrocio tre ragazzi. Avevo già notato i loro sguardi e il loro chiacchiericcio rivolto evidentemente alla mia persona e ho fatto quello che noi donne, purtroppo, ci troviamo a fare spesso. Ho fatto finta di nulla, ho continuato a camminare nella mia direzione come se non mi fossi accorta di loro. È a quel punto che uno dei tre, più spavaldo degli altri, ha detto: “Vi faccio vedere io cosa farei a una così se me la trovo in giro per strada una sera”.

Ho risposto. “Non ci faresti proprio nulla, perché lei non vorrebbe fare nulla con uno come te”. Avrei dovuto ignorare quella frase e andare avanti? Me lo hanno detto in molti. Ma perché una donna deve accettare di essere trattata come un oggetto sessuale senza battere ciglio?

A quel punto il gentiluomo che, ci scommetto, se fosse stato solo non avrebbe avuto neppure il coraggio di fare quella prima uscita infelice, deve essersi sentito in dovere di dimostrare agli altri quanto il suo essere maschio lo rendesse abile a zittire una donna e mi ha detto una cosa irripetibile chiamando in causa il mio seno e il mio sedere, prima di concludere con l’acuta osservazione che segue:

Se vai in giro con quella roba davanti e dietro tutta esposta poi non fare la santarellina: vuol dire che ti piace se ti guardano.

Ho sentito la rabbia montarmi dentro e le lacrime salirmi agli occhi. Ero frustrata, ferita, mi sono sentita trattata alla stregua di una bambola gonfiabile.

Questo è il mio corpo. Ed è un corpo abbondante, prorompente che, mi rendo conto, difficilmente passa inosservato. Ma non è un corpo “troppo” o che devo nascondere, camuffare, minimizzare, perché è il mio corpo e, finalmente, lo amo e lo trovo bello.
E sì, come a ogni ragazza, anche a me piace mostrarlo e valorizzarlo e giocare, perché no, sulla sua sensualità ma questo non significa, in nessun modo, dare il consenso perché un uomo possa sentirsi legittimato a sessualizzarlo.

Sono una ragazza plus size, che passando davanti alla vetrina di Yamamay, ha visto un costume di cui si è innamorata e che una volta non avrebbe mai osato mettere per uno stupido senso di vergogna nei confronti del suo corpo.

Ora non più. Ora quel bikini lo indosso con fierezza e vado in giro in questo corpo fatto di curve che amo, mostrandolo come è mio diritto e sentendomici finalmente bene. Non chiedo agli sguardi dei maschi di legittimare questo mio orgoglio, né accetto o sono più disposta ad accettare i commenti di chi pensa di farmi un complimento descrivendomi “che cosa ci farebbe” con questa mia abbondanza, o dicendomi cose del tipo “qui sì che c’è roba da toccare, non come quelle tutte pelle e ossa”, mimando con le mani i miei seni o la forma dei miei fianchi.

E se davvero posso essere modello per qualcuno, spero di esserlo in questo senso. Perché qualche ragazza plus size, che magari ha sofferto e fatto fatica ad accettare il suo corpo “troppo”, si renda conto di avere un corpo ok e non debba mai in nessun modo considerare gli appezzamenti pesanti di qualche stupido uomo come un riconoscimento.

Amarsi, amare se stessi e il proprio corpo significa anche quello: non permettere più che qualcuno lo tratti come un oggetto.

* Questa testimonianza ci è stata affidata da Martina (nome di fantasia), modella curvy, che si batte contro l’oggettificazione del corpo femminile e che non è la modella ritratta nella foto.

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Yamamay nasce dalla passione di una famiglia italiana che, negli anni, guidata dalla bellezza femminile e dall’eccellenza dello stile italiano ha sviluppato collezioni intimo e moda mare ricercate e di tendenza.