Jan Palach, il ragazzo dimenticato che si diede fuoco

Nel 1969 uno studente cecoslovacco si diede fuoco a Praga per protestare contro l’occupazione del suo paese da parte delle truppe sovietiche, che avevano cercato di reprimere la Primavera di Praga: morì due giorni dopo, ma ancora oggi è il simbolo dell'Europa più bella che guarda al sapere e alla democrazia vera, contro ogni tipo di tirannia

La sera del 16 gennaio 1969 un giovane studente di nome Jan Palach si recò in Piazza San Venceslao a Praga con una bottiglia piena di benzina. Arrivato davanti al Museo, si tolse il cappotto, si versò addosso la benzina e si diede fuoco. Alcune persone accorsero in suo aiuto, chiedendogli chi fosse stato a fargli una violenza simile, ma lui rispose “Sono stato io” e indicò i taccuini e le carte che aveva con sé. Il giovane venne trasportato in ospedale e morì tre giorni dopo. Sul principale giornale principale la notizia venne riportata brevemente come un “insano gesto di uno squilibrato”, ma la verità era un’altra. La sua vicenda drammatica è raccontata anche in una canzone di Francesco Guccini, intitolata Primavera di Praga.

Ma poi la piazza fermò la sua vita e breve ebbe un grido la folla smarrita quando la fiamma violenta e atroce spezzò gridando ogni suono di voce.

Chi era quello studente e per quale motivo arrivò a quel gesto estremo? Il sito ufficiale dedicato a Jan Palach, curato dall’Università Carolina di Praga in cui lui stava studiando, ripercorre ancora oggi la sua drammatica vicenda e i motivi che l’hanno spinto a immolarsi. Nato l’11 agosto 1948 in una piccola cittadina non lontana dalla capitale ceca, era figlio di un proprietario di una pasticceria e di una casalinga. All’inizio degli anni Cinquanta, in seguito al colpo di stato del 1948 che aveva instaurato il regime comunista nel paese, i Palach furono costretti a chiudere la loro attività imprenditoriale. Il padre di Jan trovò quindi lavoro come operaio e la madre come addetta in mensa: ogni loro sforzo veniva compiuto per permettere ai due figli di studiare.

Studente brillante e grande lettore, dopo la maturità Jan Palach tentò l’iscrizione alla Facoltà di lettere e filosofia dell’Università Carolina di Praga, ma non fu ammesso a causa dei troppi candidati. Ripiegò nel corso in economia agraria e iniziò a partecipare attivamente alla vita studentesca, interessandosi di politica e abbracciando con entusiasmo la Primavera di Praga, il tentativo di liberalizzazione politica (purtroppo fallito troppo presto) della Cecoslovacchia.

Nell’estate del 1968 gli venne comunicato che la sua richiesta di passaggio alla Facoltà di lettere e filosofia era stata approvata e nell’autunno dello stesso anno partecipò a diverse manifestazioni, iniziando a maturare un atteggiamento molto più radicale. Proprio in questo periodo si verificò una svolta nel suo atteggiamento. Iniziò a pensare di smuovere l’opinione pubblica grazie a un gesto di protesta e fu così che nella sua testa arrivò l’idea di diventare la “Torcia umana n° 1”. Così scrisse nella sua ultima lettera, che portò con sé il giorno in cui scelse di darsi fuoco:

Poiché i nostri popoli sono sull’orlo della disperazione e della rassegnazione, abbiamo deciso di esprimere la nostra protesta e di scuotere la coscienza del popolo. Il nostro gruppo è costituito da volontari, pronti a bruciarsi per la nostra causa. Poiché ho avuto l’onore di estrarre il numero 1, è mio diritto scrivere la prima lettera ed essere la prima torcia umana.

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Quando la radio diede notizia del suo gesto, la sera del 16 gennaio 1969, molti studenti reagirono sconvolti. Una delle prime azioni a sostegno fu lo sciopero della fame intrapreso da alcuni giovani ai piedi della scalinata del Museo Nazionale, durato quattro giorni. Poi, il 20 gennaio 1969, si svolse a Praga una processione commemorativa cui parteciparono alcune decine di migliaia di persone. Quello stesso giorno si diede fuoco e morì un altro ragazzo, un operaio di nome Josef Hlavatý, e altri giovani scelsero di diventare torce umane nei giorni seguenti. In tutto, le torce umane furono sette, ma le loro azioni vennero sminuite dalle autorità.

Il 25 gennaio, 600.000 persone giunsero da tutto il paese per partecipare al funerale di Jan Palach. Il silenzio da parte del regime sovietico e l’indifferenza fecero sì che per troppo tempo la sua storia restasse inascoltata. Poi, dopo la caduta del Muro di Berlino nel 1989, si potè finalmente celebrare la sua vita e il suo atto di protesta civile. A distanza di cinquant’anni, il sacrificio dello studente praghese è ancora un grido di libertà universale contro ogni tipo di tirannia e il luogo in cui lo studente si diede fuoco è sempre ricoperto di fiori. Nonostante il bieco tentativo di strumentalizzazione politica della sua figura, Jan Palach è il vero esempio dello spirito europeo, mosso dal desiderio di cultura e democrazia. Contro qualsiasi dittatura, di qualunque colore politico essa sia.

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