Li chiamano Generazione Z, per distinguerli dai predecessori, i“millennials”, ovvero tutti i ragazzi – come le classificazioni recitano dopo che il nome è stato ideato dagli studiosi William Strauss e Neil Howe –  nati fra il 1981 e il 1996, quelli che appartengono alla cosiddetta Generazione Y (quella che ha seguito la X).

Il perché della “necessità” di dare un nome alle generazioni di adolescenti è presto detto: è proprio per inquadrarli, per riuscire a “chiuderli” in una definizione, un concetto. Sono, se si volessero spiegare i ragazzi della generazione Z – o iGen, o post-millennials, fra gli altri nomi – in poche parole, i ragazzi cresciuti a pane e Internet, che a tre anni già sapevano maneggiare telecomandi, telefoni cellulari e qualunque altro dispositivo elettronico concepito, è la generazione dei social, quella che sul Web fa tutto, che condivide fotografie e instaura amicizie e relazioni, ma anche che si interessa e diffonde il proprio attivismo verso i temi sociali che gli stanno a cuore.

Strauss e Howe, ai tempi in cui coniarono il termine millennial, si dissero non del tutto convinti da tale definizione, aggiungendo, poi, che “i nomi spesso sono inventati da persone che subiscono una forte pressione da parte della stampa. Tutti cercano un colpo di genio”. È dunque solo un problema di nomi? Nient’affatto.

Generazione Z: cosa significa?

La loro si chiama anche generazione Z, e il nome ha un motivo d’esistere ben preciso: è stato dato per distinguerla dalla generazione Y, quella precedente insomma, quella di chi è stato ragazzino negli anni ’90 e nei primi Duemila, che oggi magari è persino genitore di un post-millennial.

Tra le due si parla spesso e volentieri di vero e proprio scontro generazionale, perché gli adulti di oggi, ragazzini di un tempo, trovano motivi seri e validi per criticare gli adolescenti odierni e il loro modo di vivere e di approcciarsi al mondo e ai rapporti interpersonali. Tanto che, come scrive Giulia Blasi in un bell’articolo di Esquire

Il segno inequivocabile della vecchiaia non sono le rughe, non è la presbiopia o il mal di schiena che si cronicizza, non è la panza o i peli nelle orecchie: è la prima volta in cui dici ‘Ai miei tempi’ come se i tuoi tempi fossero l’Età dell’Oro e quelli di ora tempi orribili popolati da una gioventù orribile, informe e senza direzione. La nostalgia dei ‘propri tempi’ come misura della realtà è la spia definitiva dell’essere diventati vecchi, perché quello che rimpiangi non sono davvero ‘i tempi’, ma il tempo in cui eri giovane e cretino e tutto ti sembrava lucente e meraviglioso perché nuovo.

Già, perché il discorso è proprio questo: siamo davvero convinti che i “nostri tempi”, quelli della generazione X e Y, fossero migliori rispetto a quelli che critichiamo oggi? E che gli adolescenti che furono erano “più”, rispetto a quelli di adesso?

5 cose che dobbiamo dire alla generazione Z

1. L’hanno detto anche a noi, e ci abbiamo pure creduto

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Lo scontro tra generazioni X, Y e Z si è fatto particolarmente aspro dopo la tragedia di Corinaldo, in cui hanno perso la vita cinque ragazzini e una mamma, che si trovava alla discoteca Lanterna Azzurra solo per accompagnare la figlia, neanche adolescente.

Oltre a chi si è assurto al ruolo di sociologo e pedagogista, sentendo l’obbligo morale di infondere il suo sapere agli altri genitori e di puntare il dito contro mamme e papà per, fra le altre cose, l’incapacità di dire no, l’indolenza nella gestione dei figli, una certa pigrizia nella loro educazione (di chi ha diffuso il contenuto dello spray e dei gestori del locale che hanno stipato troppe persone in uno spazio troppo esiguo sono state spese sì e no tre parole di circostanza, giusto per capire quanto sia grande la brama di dare lezioni di vita), ci sono state anche persone, molte, che hanno scelto come portatore di tutti i mali Sfera Ebbasta, il trapper che doveva essere l’ospite d’onore nella discoteca dove ha avuto luogo la tragedia.

Ora, chi sta scrivendo non ama il genere rap o trap, e avendo letto alcuni testi del cantante in questione c’è anche tutto il legittimo diritto di pensare che non siano il massimo in quanto a intento socio-educativo; del resto, non crediamo che Sfera si sia mai posto come la “tata Lucia” della musica rap italiana, e più in generale, comunque, la categoria musicale stessa non ha mai avuto fini didattici o sociologici, essendo molto più spesso manifestazione di un disagio giovanile espresso in rime arrabbiate o affrontando temi “scottanti”; qualcuno fra coloro che, oggi, commentano con un serafico “ai miei tempi”, forse ha cantato a squarciagola “Ohi Maria” degli Articolo 31. Perché il bello della musica che si sceglie di ascoltare perché piace è proprio che non rispecchia affatto i valori o i principi con cui un ragazzino viene cresciuto o educato, né può fornire una prospettiva di chi diventerà in futuro. La musica è da sempre stata valvola di sfogo per i giovani, specialmente in un particolare contesto e momento della loro vita, e agli adulti non è quasi mai piaciuta la musica ascoltata dai figli. È un dato di fatto.

Ci hanno provato anche con noi, a buttarla sullo scontro generazionale; perché “ai nostri tempi”, a ben vedere, andava di moda il grunge e Kurt Cobain con le sue camicie di flanella e la zazzera spettinata, che poi è finito morto suicida a 27 anni, depresso e imbottito di droga, lasciando una moglie e una figlia piccolissima.

E, andando a ritroso con gli anni, si capisce che è sempre stato così: che gli adulti che criticano i gusti musicali degli adolescenti di ogni generazione sono a loro volta cresciuti con “miti” dalla solidità morale non proprio edificante, per usare un eufemismo: Jim Morrison, Jimi Hendrix, i Rolling Stones (Keith Richards vi dice niente?).

Si può discutere sulla qualità dei lavori, attingendo ai propri gusti personali, ma smettiamola di dire e di pensare che i cantanti di oggi siano “peggio”, a livello educativo, di quelli di ieri.

Parliamo con i ragazzi, invece, e cerchiamo di far capire loro alcune cose, queste.

2. Quello che fate non è stupido a priori

È un insegnamento che vale per i ragazzi della generazione Z, spesso sottovalutati e abbattuti proprio da chi, invece, dovrebbe aiutarli a elevarsi moralmente e intellettualmente: non è vero che tutto quello che fate è inutile, o stupido, come qualche adulto vuol farvi credere, tronfio nella sua convinzione che ciò che accade oggi sia tutto, a priori, sbagliato. Le battaglie che portate avanti sui social a suon di hashtag non sono meno valide di quelle che un tempo i giovani coinvolti nel sociale o in politica portavano orgogliosamente in piazza. “Ai nostri tempi” Internet non esisteva, o era solo agli albori. Altrimenti una buona percentuale di noi si sarebbe evitato volentieri di scendere per strada e avrebbe portato avanti le sue battaglie da dietro lo schermo del pc, esattamente come voi.

3. Attenzione al vostro nemico

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Come ogni altra cosa al mondo, tutto ha un rovescio della medaglia meno piacevole; gli appuntamenti al buio di un tempo, organizzati tramite le prime, rudimentali chat su piattaforme come MSN e via dicendo, non nascondevano meno insidie di quanto oggi ne contengano Facebook, Instagram o qualunque altro social network. Ma il punto è proprio questo, in realtà: tutto ha un lato negativo, per questo è necessario imparare a usare gli strumenti di cui disponiamo con discernimento e razionalità.

Nell’adolescenza della generazione Y si appendevano i poster dei beniamini alle pareti di camera, oggi si seguono i personaggi amati su Instagram; ma la pericolosità di alcuni modelli perpetrati dai social media è rimasta intatta rispetto a quella di dieci o vent’anni fa, proposta da copertine e riviste patinate. Se i casi di anoressia giovanile registrati nel 2017 sono stati 2,3 milioni, e Laura Dalla Ragione, che dirige il numero verde SOS DCA della presidenza del Consiglio dei ministri, ha parlato a Repubblica di “vera e propria epidemia sociale”, significa che un problema, nella percezione di ciò che arriva ai ragazzi, filtrato dai social media, c’è. Per questo è importante che loro stessi imparino a distinguere le possibili insidie che si celano dietro i nuovi strumenti di comunicazione, prendendone solo gli aspetti positivi.
Ma non parliamo di bullismo: quello è sempre esistito, indipendentemente dalle generazioni, anzi molto spesso chi permette che sia ancora una piaga dilagante sono proprio gli adulti di oggi, i genitori, che crescono i figli nel culto del bello, del ricco, del successo, discriminando così tutto ciò che non rientra in tali categorie.

4. Insegnateci

Non è vero che solo chi è più grande può dare insegnamenti, talvolta occorrerebbe solo armarsi di quel pizzico di umiltà in più indispensabile per capire che chiunque può essere fonte di apprendimento. Non è una lotta generazionale quella che si consuma tra Y e Z, e chi ormai non è più adolescente dovrebbe capire che la strada giusta da intraprendere è quella che porta a fare squadra con i più giovani, non a ghettizzarli come fossero un universo a parte, per di più sempre sbagliato. Gli adolescenti di oggi, in fondo, sono gli stessi di vent’anni fa, con l’identico desiderio di essere ascoltati e non soltanto derisi o sottovalutati in quanto “giovani”.
Quante volte ognuno di noi, nella propria adolescenza, ha avuto la sensazione di non essere compreso dagli adulti, e magari lo ha pure detto ai genitori? Ecco, questo capita perché chi oggi è adulto ha smesso di ragionare da adolescente, e si reputa superiore solo in virtù della variante anagrafica. Ma questo è un grave sbaglio…

5. Realtà e anima

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Le uniche, vere cose che un ragazzo della generazione Z può imparare dagli adulti sono due: non perdere il contatto con la realtà. In un universo che si fa sempre più dilatato e virtuale, è importante capire e saper distinguere il vero dal fittizio, anche per essere preparati a usare gli strumenti a disposizione come accennavamo poc’anzi, senza farsi tramortire e manipolare dal flusso indistinto di immagini, parole, pensieri della Rete.

E, in secondo luogo, perseguire ciò in cui si crede. È una regola universalmente valida: coltivate degli interessi, delle passioni, poco importa se qualcuno non capirà, se vi giudicherà diversi, “strani”, o magari anche un po’ sfigati. Aiutate gli adolescenti di oggi a coltivare la propria autostima in modo che non rinuncino alle proprie passioni per non sentirsi esclusi dalla massa, perché il senso del lavoro, e del sacrificio, volto a raggiungere uno scopo è una sensazione impagabile, che aiuta a crescere ma, soprattutto, a sentirsi orgogliosi di sé.

Queste sono le uniche due lezioni che i post-millennials possono “carpire” agli adulti; per tutto il resto, per favore, non ascoltateci: anche noi siamo stati come voi. E quando lo eravamo c’era sempre qualcuno a ricordarci che “Ai miei tempi non funzionava così”. Ma non era vero.

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