Giulietta è morta durante un aborto clandestino

Questa è la storia di una ragazza di nome Giulietta e del suo amato Romeo nella loro bella Verona, autoproclamatasi "città a favore della vita". Questa è una storia di fantasia, ma fatti e persone non sono puramente casuali e questa Giulietta potrebbe essere tante donne se venisse meno la tutela del diritto all'aborto, sancito con la legge 194 del 22 maggio 1978. Questo non è un racconto letterario e l'autrice chiede scusa per chi si riterrà indignato pensando volesse esserlo: questa è una denuncia di qualcosa che sta accadendo e che impone a ogni donna, a ogni uomo e a tutti i cittadini un gesto di disobbedienza.

Giulietta ha deciso di abortire.
Quando alle prime luci dell’alba il canto dell’allodola ha annunciato il mattino, lei era già sveglia. O forse sarebbe più corretto dire che non era mai andata a dormire.
Lei e Romeo ne hanno parlato tutta la notte. Lei è preoccupata: sa che stamattina si troverà sul banco degli imputati, con addosso gli occhi di qualche medico e infermiere a scagliarle contro quell’ingiuria che la legge impedisce loro di dire.

Assassina!

Non lo possono fare. La rassicura Romeo. Abortire è un suo diritto, le dice.
C’è una legge che tutela Giulietta e tutte le donne. Altre donne, prima di lei, per conquistarla hanno lottato tanto. Persino le loro madri, Madonna Capuleti e Madonna Montecchi, quel 22 maggio del 1978 hanno pianto insieme in piazza, della stessa gioia.

Perché quel 22 maggio 1978 anche l’odio atavico di due famiglie poteva aspettare: quel giorno non si era né Montecchi né Capuleti, ma solo donne, per la prima volta donne integre, con il diritto antico e finalmente anche riconosciuto di appartenersi per intero, con un corpo finalmente completo pure di quell’utero che non era, per la prima volta, dello Stato, della Chiesa, di un marito o addirittura di un uomo che con la forza ci mette dentro una vita che tu non vuoi.

Quanto dolore, quante donne morte, quanti genitori orfani di figlie che avevano scelto di non avere figli, ad ogni costo, persino scendendo le scale di qualche scantinato lercio, tra mani amiche ma inesperte e strumenti da stregoni: quel giorno era stato un giorno sacro per ogni donna.

Grazie a quella legge 194, Giulietta oggi ha il diritto di abortire.

E invece al primo ospedale le dicono che non può: i medici sono obiettori di coscienza.
È un mio diritto, c’è una legge che dice che è un mio diritto, vorrebbe urlare. Ma non lo fa. I loro occhi parlano chiaro e hanno già deciso chi è Giulietta:

Assassina!

Fuori dall’ospedale un uomo e due donne le mettono in mano senza appello un volantino di qualche associazione che promuove iniziative contro l’aborto.
Anche quel pezzo di carta le ribadisce quello che molti altri oggi le diranno senza fiatare:

Assassina!

C’è anche una nota del Papa, che dichiara:

Io vi domando: è giusto fare fuori una vita umana per risolvere un problema?
È giusto affittare un sicario per risolvere un problema?

dal discorso di Papa Francesco sull’aborto
piazza San Pietro, Roma – 10 ottobre 2018

Da lui Giulietta queste parole non se le aspettava. Da molti dei suoi predecessori sì, non da lui.
Ma cosa ti aspetti, Giulietta, è la Chiesa: fa il suo lavoro e ultimamente se la passa già abbastanza male.

Piuttosto dillo Giulietta che non te l’aspettavi da Verona, dalla tua bella, ricca e fervente di cultura città: una mozione in cui si è dichiarata ufficialmente “città a favore della vita”*.
Pazzesco. Te l’avessero detto un mese fa avresti riso. Non siamo nel Medioevo, non siamo neppure nel futuro distopico di Margaret Atwood de Il racconto dell’ancella…
E invece. Tua madre e tua suocera per cosa hanno lottato? Le vedremo presto di nuovo in piazza, ma non sarà per una nuova conquista. 40 anni dopo tocca tornare a difendere e ribadire il diritto di una donna ad appartenersi e ad autodeterminarsi.

Le vedremo di nuovo in piazza, a Milano, vestite proprio come quelle ancelle della Atwood, per protestare contro chi vorrebbe togliere loro il diritto guadagnato con tante lacrime e dolore.

Robe da pazzi, Giulietta: qui, invece che andare avanti, si va indietro come i gamberi.

Al secondo ospedale sono più gentili. La dottoressa che la visita ha l’aria di chi crede nel fatto che anche nel fondo dell’animo del peggiore assassino ci sia una zona illuminata.
Le parla gentile, le mostra le foto dei suoi bambini sulla scrivania, le racconta una cosa buffa che il piccolo che ha appena iniziato a parlare le ha detto l’altra sera.

Tutto il suo dolore sarà ripagato al doppio del prezzo dall’amore e dalla felicità più grande che una donna può avere. Quella di diventare madre.
Nessuna ragione è più forte della missione della donna di essere madre.
Noi donne ci nasciamo per diventare madri: è un dono, un privilegio. Nessuna ragione può soppiantare l’istinto primordiale, nessuna legge può sovvertire quella della natura, in cui la femmina è contenitore e culla di vita.

Ma Giulietta conosce le sue ragioni. Non ne ha una, ne ha mille. Non ha voglia di parlarne con la dottoressa. Sa che non capirà. Chiede di parlare con un altro medico, prova a protestare, a dirle che il corpo è suo, ma lei, la dottoressa, le guarda la pancia sorride ancora e le dice che quella ora è la casa del suo bambino e che lui è già lì dentro, che cresce dentro di lei e chiede di essere amato.

In ogni caso, anche gli altri medici non possono aiutarla: l’obiezione di coscienza è un diritto.

Assassina!

Romeo è furibondo: in una struttura pubblica dovrebbe essere garantita l’applicazione di una legge, una donna non dovrebbe subire un processo per qualcosa che non è reato.

Dice che troveranno una soluzione. Giulietta nel frattempo sa già cosa fare.
È infelice, Giulietta, è ferita: le hanno tolto tutto. Il rispetto, il diritto di autodeterminarsi, la sua libertà di donna: le hanno negato, ancora una volta, il suo appartenersi per intero.

Ma Giulietta sa cosa fare. Giulietta, a onor del vero, sa tante cose: sa che il corpo in cui cammina non è solo un contenitore di cellule, umori, organi, muscoli, nervi e brandelli di carne; sa che non è una culla; sa persino che non è neppure di Romeo, che pure lo ama e lo rispetta e che a lei piace lasciare entrare in questo suo corpo.

Giulietta sa, con assoluta e precisa certezza, che il suo corpo non è di un uomo, né dello Stato, né della Chiesa, né tanto meno della sua bella città, né di Verona né di nessun’altra.
E tanto le basta: non permetterà a nessuno di usarle questa violenza!

Giulietta è morta in un pomeriggio d’autunno. Perché ha provato da sola a salvare il suo corpo da chi voleva violentarlo senza sporcarsi le mani.
Giulietta ha scritto un biglietto, perché sapeva che poteva andare male o che, comunque, quando avrebbe finito il lavoro, qualcuno l’avrebbe dovuta soccorrere e portare in un ospedale.
Giulietta ha scritto che voleva abortire, che è una sua scelta, un suo diritto.

Giulietta ha scritto anche che è stata violentata. Perché ci sono tanti modi di fare violenza a una donna.
Giulietta è stata umiliata a più riprese, ostacolata nella sua libertà di scelta, processata senza alcun presupposto di innocenza.
Giulietta è stata istigata al suicidio, perché è stata istigata a un atto abominevole che facilmente può degenerare nella morte di chi lo commette.

Giulietta è stata stuprata in assenza di violenza fisica da chi vuole disporre del suo corpo imponendole, in realtà, un violenza che fisica lo è: quella di fare crescere dentro di sé una vita che non vuole e prendersene cura secondo i canoni, i precetti e le pretese della società.

Il finale è sempre lo stesso. Romeo quando l’ha trovata riversa e senza vita non ha resistito. Si è suicidato, baciando le labbra della bella Giulietta.

Una triste pace porta con sé questa mattina: il sole, addolorato, non mostrerà il suo volto. Andiamo a parlare ancora di questi tristi eventi. Alcuni avranno il perdono, altri un castigo.

Ché mai vi fu una storia così piena di dolore come questa di Giulietta e del suo Romeo.

Questa è la storia di una ragazza di nome Giulietta e del suo amato Romeo nella loro bella Verona, autoproclamatasi “città a favore della vita”.
Questa è una storia di fantasia, ma fatti e persone non sono puramente casuali e questa Giulietta potrebbe essere tante donne se venisse meno la tutela del diritto all’aborto, sancito con la legge 194 del 22 maggio 1978.
Questo non è un racconto letterario e l’autrice chiede scusa per chi si riterrà indignato pensando volesse esserlo: questa è una denuncia di qualcosa che sta accadendo e che impone a ogni donna, a ogni uomo e a tutti i cittadini un gesto di disobbedienza.

Alcuni spunti di riflessione e per contestualizzare i fatti

Sulla mozione di Verona, che si è proclamata ufficialmente “città a favore della vita”.
Nel post è riportata fotografia della mozione stessa:

Sulla protesta delle ancelle di Milano, dove la stessa mozione pro-vita era stata proposta a dal consigliere di Forza Italia, Luigi Amicone, trattata da Il Fatto Quotidiano, e sulla manifestazione del 24 novembre 2018 a Roma.

Sui numeri dell’aborto

Qui il discorso del Papa che ha paragonato l’aborto a “affittare un sicario per risolvere un problema”.

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