Pillole di storia: La liberazione delle donne.

Un pamphlet che non va considerato soltanto un classico del pensiero femminista, ma anzitutto un inno alla valorizzazione delle facoltà individuali contro qualsiasi forma di segregazione. Harriet Taylor (1807-1858), filosofa stimata da insospettabili ammiratori quali Nietzsche e Freud, combatte uno degli scandali del suo tempo: lo status di subordinazione della donna all'interno della vita politica e sociale.

E’ probabile che molti tra i nostri lettori apprendano per la prima volta da queste pagine che negli Stati Uniti, o almeno nelle aree maggiormente progredite e illuminate di quel paese, è sorto un movimento organizzatosi attorno ad una nuova causa, nuova non certo per i pensatori, o per chiunque comprenda o ammetta la validità dei principi sui quali si fonda il libero governo popolare; ma nuova, e persino senza precedenti, come oggetto di pubbliche riunioni o di azione politica diretta. Il punto in questione è la liberazione delle donne; il riconoscimento, di diritto e di fatto, della loro eguaglianza, quanto a tutti i diritti politici, civili e sociali, con la componente maschile della comunità.

 

L’incipit del saggio è chiarissimo. Si parla di un nuovo movimento, movimento non solo a favore delle donne, ma composto da donne. Chi decide di sottoporre la questione al pubblico inglese ed europeo è proprio una donna, una filosofa. Si chiama Harriet Taylor (1807-1858) ed il suo nome è spesso stato associato a John Stuart Mill, inizialmente suo collega, poi amico, ed infine amante. L’influenza che ebbe su di lei fu fortissima, e ce ne si può rendere conto proprio dalla lettura di questo pamphlet, composto nel 1850 e pubblicato sulla Westminster Review l’anno seguente.

Prendendo le mosse proprio dall’evento americano (per la prima volta da queste pagine che negli Stati Uniti, o almeno nelle aree maggiormente progredite e illuminate di quel paese), la Taylor vuole far riflettere il pubblico su di un problema che accompagna l’esistenza umana da sempre: i diritti umani. L’Enfranchisement of Women non è il solito manifesto del femminismo, è un inno alla valorizzazione delle facoltà individuali. E’ questa la novità che fa del pamphlet un testo “scientificamente filosofico” in tutti i sensi. Addirittura nella forma scrittoria ci si accorge di come sia ricco di logica e coerenza. Alla fine di un passo in cui la Taylor analizza il tema “scottante” dell’esclusione delle donne dagli incarichi pubblichi, con rigore quasi matematico ci si imbatte in uno “schema” costituito da tre punti che mirano a confutare le tre ragioni (o pregiudizi) che porterebbero ad allontanare le donne dalla sfera d’azione pubblica (e dunque politica). Riporto i tre punti perchè si prestano a varie riflessioni:

 

  1. Incompatibilità di una vita attiva con la maternità ed il governo della casa

  2. Il fatto che essa (la politica) comporti un indurimento del carattere femminile

  3. L’inopportunità di creare ulteriore concorrenza all’interno di qualsiasi impiego professionale o remunerativo.

 

milltaylor

E’ interessante notare come alla fine della sua argomentazione, la filosofa “giustifichi” il tutto elevando il problema ad un piano “naturale” . Afferma infatti:

 

Molte persone credono di aver giustificato a sufficienza le restrizioni al raggio d’azione delle donne col mero sostenere che le opportunità dalle quali esse vengono escluse sono a-femminili e che la sfera d’azione propria delle donne non si estende alla politica o alla vita pubblica, ma alla dimensione privata e alla vita casalinga.

Noi neghiamo il diritto di qualsiasi componente, o di qualsiasi individuo, della specie umana di decidere per le altre componenti, o per gli altri individui, in cosa consista o non consista la loro sfera d’azione propria. La sfera d’azione propria di ogni essere umano è la più ampia e la più elevata che riesca a conquistare, e non la si può determinare se non con una completa libertà di scelta.

 

Di conseguenza per la Taylor i diritti delle donne non sono altro che i diritti umani, fondati sulla libera scelta del proprio percorso di vita.

La mancata concessione al suffragio e l’impossibilità di coltivare opinioni libere sulle questioni al centro dei dibattiti correnti, simboleggiavano l’affermazione del dominio maschile. Sulla negazione del diritto di voto si dice che:

..Equivaleva a stampar loro in fronte lo stigma dell’inferiorità.

La subordinazione giuridica, morale ed esistenziale delle donne si rifletteva, talvolta tragicamente, anche sul mènage familiare: frequenti erano i casi di molestie, maltrattamenti e stupri perpetrati dai mariti nei confronti delle spose, sino a giungere al vero e proprio uxoricidio.

La presenza di Mill, a mio parere, “si sente”  in un puntoben  preciso del saggio: la Taylor si presta a contestare con molta delicatezza una delle barriere che impedivano alle donne l’accesso alle cariche pubbliche:

 

Che per le donne sia di ordine tassativo essere madri o nulla.

E’ giusto che le donne, essendo madri una volta, rimangano imprigionate in questo ruolo per il resto della loro vita?

Più tardi si arriverà a vincere questi pregiudizi culturali coltivati in egual misura sia dagli uomini che da numerose donne, ammettendo la “follia” di:

Fissare delle norme giuridiche secondo le quali una donna non possa, al medesimo tempo, prendersi cura completamente della propria dimora,o dell’educazione dei figli, e svolgere una professione o venire eletta al parlamento.

 

In una nota al testo si scopre che tale posizione era stata mediata da quella di Mill, secondo il quale

Come un uomo sceglie una professione, così è da presumersi che una donna, sposandosi, scelga la direzione di una casa e la cura della famiglia come scopo principale delle sue occupazioni, per tutti quegli anni della sua vita richiesti da questo compito; e che rinunci non già a tutti gli altri scopi e preoccupazioni, ma solo a quelli che non sono conformi a tali esigenze.

Tuttavia la Taylor va oltre, sostenendo che la ricetta migliore per costruire un corpo sociale più libero, equo e giusto, consista nel rendere gli individui abbastanza forti da poter reggere da soli, cosicchè chiunque abbia conosciuto il sapore dell‘indipendenza.

Indipendenza

La parola chiave su cui ruota tutto il saggio è proprio questa.

Se traduciamo il titolo, si può notare come Enfranchisment, letteralmente, significhi “affrancamento, emancipazione”. Non a caso l’autrice sceglie proprio questo termine nel 1850, quando negli Stati Uniti ormai dilagava la discriminazione su basi razziali subita dagli schiavi americani.

Il saggio ha un obiettivo ben preciso: far riflettere donne e soprattutto uomini sul fatto di abbandonare per sempre la divisione dell’umanità in due caste, l’una destinata a governare l’altra per diritto di nascita., divisione vista come fonte di degenerazione e di immoralità.

Se, specie nelle nazioni più progredite, la legge della spada viene finalmente disapprovata in quanto spregevole, ciò avviene solo dal troppo calunniato diciottesimo secolo.

(…)

Il mondo è assai giovane, e ha appena incominciato ad eliminare l’ingiustizia. Solamente ora si sta sbarazzando dell’abominevole schiavitù degli afro-americani, delle monarchie dispotiche, dell’aristocrazia ereditaria di origine feudale e delle discriminazioni fondate su pretesti di natura religiosa. Sta appena iniziando a trattare qualsiasi individuo come cittadino, non solo i ricchi e una parte privilegiata del ceto medio. Possiamo forse meravigliarci che non abbia ancora fatto altrettanto per le donne?

L’ostacolo fondamentale è veramente formidabile: si tratta della consuetudine.

In ogni caso, in almeno tre quarti del mondo abitato la risposta “è sempre stato così” ancora oggi chiude ogni discussione.

Harriet Taylor, insieme a tante donne, è davvero stanca di questo potentissimo pregiudizio e crede fermamente nel nuovo secolo, definito “superiore” poichè, rispetto ai precedenti, sembra proteso a bandire definitivamente la presa tirannica dell’abitudine sugli usi e sulle opinioni che esercitava un tempo.

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