L'ultima notte di Amy Winehouse, sola con i suoi demoni... Tranne Blake

Sono passati undici anni da quando il corpo di Amy Winehouse è stato rinvenuto privo di vita nella sua casa londinese. La cantante, morta a 27 anni come molti altri artisti, non è riuscita a lottare contro i suoi demoni, e a superare del tutto la separazione da Blake, il suo unico, grande amore.

Il 27 è un numero drammaticamente ricorrente nella storia della musica; a quell’età sono scomparse alcune delle più importanti rockstar mai esistite, da Jimy Hendrix a Jim Morrison, passando per Janis Joplin e Kurt Cobain. Dal 23 luglio 2011 anche Amy Winehouse si è unita al lungo, triste elenco di musicisti morti a 27 anni, ritrovata senza vita dalla guardia del corpo che viveva a casa sua, uccisa da un avvelenamento da alcol.

Uccise dalla droga, dagli eccessi, dalla depressione portata dalle loro dipendenze, questi immensi artisti condividono indubbiamente il talento, la capacità di essere entrati nella storia e nella cultura di massa seppur in breve tempo ma anche le stesse debolezze, la convivenza con demoni interiori difficili da abbattere e, ovviamente, il medesimo, tragico destino.

Anche i mostri di Winehouse, tanti, alla fine sono riusciti a vincere su di lei, sul suo già precario equilibrio mentale minato ulteriormente dall’improvvisa fama, dalla sovraesposizione mediatica, sicuramente dagli strascichi lasciati dalla fine del suo matrimonio con Blake, l’uomo che per alcuni ha segnato la rovina di Amy Winehouse, ma che per lei era il grande amore della vita.

La piccola ragazza di origine ebrea, dall’imponente chioma – che in molti si chiedevano come riuscisse a portare, su quel corpo così minuscolo –  l’eyeliner marcato e i tanti tatuaggi dedicati alle pinup anni ’50, considerata con Adele una delle più forti promesse della nuova generazione del soul bianco, è stata una folgorante meteora nel mondo del pop britannico prima, e internazionale poi, lasciando un disco, Back to Black, che più di tutti rappresenta la sua identità, la sua essenza, mescolando ribellione a malinconia, durezza e tristezza. Tutto quello che era lei, insomma: un’anima fragile intrappolata in un corpo devastato dai suoi vizi, dalle sue dipendenze, portato fino agli estremi… Fino al cedimento.

La morte di Amy Winehouse

Andrew Morris, che era la bodyguard di Amy Winehouse e viveva nella casa londinese della cantante con lei, ha trovato il suo corpo senza vita alle 15:53 del 23 luglio del 2011. Secondo l’autopsia effettuata sul cadavere della popstar, Amy Winehouse sarebbe morta per avvelenamento da alcol, confermato dalla presenza di bottiglie di vodka sparse nella sua camera e da esami che hanno stabilito che la quantità di alcol nel corpo della cantante era cinque volte superiore rispetto al limite consentito per chi guida.

Morris, interrogato nei giorni successivi alla morte, ha raccontato al giudice che la sera del 22 luglio lui ed Amy Winehouse erano soli in casa, nell’abitazione di Camden Square; lui aveva ordinato cibo di asporto in un ristorante indiano del quartiere, e Winehhouse si era chiusa nella sua stanza per mangiare, come faceva spesso. Nessun particolare che avrebbe potuto far presagire la tragedia?

“Sembrava la stessa di sempre, non si comportava in modo diverso dal solito- riporta Repubblica. Eppure qualcosa di diverso, di “strano” rispetto al solito c’era: Amy Winehouse stava guardando se stessa, le proprie esibizioni su YouTube, mentre beveva vodka “Non glielo avevo mai visto fare prima, non era una sua abitudine”.

Morris è entrato di nuovo nella camera di Amy Winehouse il mattino dopo, ma vedendola aveva pensato che dormisse ancora. Dopo aver controllato più tardi per la seconda volta, però, e trovandola nella stessa posizione di prima si è allarmato, e i suoi sospetti sono purtroppo stati confermati dall’assenza di battito nel polso. Accanto al letto l’uomo ha notato in quel momento varie bottiglie di vodka vuote: Amy Winehouse non era riuscita a sconfiggere la dipendenza dall’alcol.

Secondo testimonianze emerse nell’inchiesta, nella sua ultima settimana di vita la cantante era svenuta tre volte per eccesso di vodka, e aveva inviato un tweet delirante proprio la sera della morte.

Eppure, Amy Winehouse non voleva uccidersi, non voleva morire. Cristina Romete, il suo medico personale, ascoltata nell’inchiesta ha raccontato di averla incontrata la sera prima della fatale overdose alcolica:

Amy mi disse che non voleva uccidersi, non voleva morire.

Ci sono state varie controversie sulla sua morte, e ipotesi che si allontanano dalla pista dell’intossicazione da alcol; come quella, ad esempio, portata avanti dal fratello di Amy, Alex, che ha dichiarato nel 2013 che la cantante sarebbe morta non per via dell’alcol, ma perché soffriva di bulimia fin dall’adolescenza.

Di qualsiasi tipo siano stati i suoi problemi, i suoi eccessi alla fine le sono stati fatali. Come ha potuto permettere alle sue dipendenze di trascinarla in un baratro da cui non è più riuscita a uscire?

Tutti i demoni di Amy Winehouse

Figlia di un tassista e di una farmacista che si son separati quando lei aveva nove anni, Amy ha dimostrato fin da bambina di avere un animo tanto artistico quanto ribelle, complesso. Espulsa a dodici anni dalla Sylvia Young Theatre School per essersi fatta un piercing al naso e per l’atteggiamento indolente, ha sempre lottato contro disturbi alimentari e dipendenze da droga e alcol. Fra l’album di esordio, Frank, nel 2003, e Back to Black del 2006, Amy Winehouse perde ben quattro taglie e alla stampa britannica spiega la sua trasformazione alla luce dei commenti negativi che la gente faceva sul suo peso. Ha sofferto

… un po’ di anoressia, un po’ di bulimia – dichiarò nell’ottobre 2006 – Non sono del tutto a posto ma credo che nessuna donna lo sia.

È dedita alla droga, all’erba, ma soprattutto all’alcol; il singolo che la consacrò definitivamente lanciandola in tutto il mondo, Rehab, parla proprio del suo rifiuto di entrare in clinica per disintossicarsi.

Direi che quando sei predisposto alla dipendenza passi da un veleno all’altro.

Ha dichiarato in un’intervista per Rolling Stones nel 2007.

La cantante si presenta varie volte sul palco ubriaca, appare disorientata, confusa, durante la premiazione del leader degli U2, Bono, ai Q Awards del 2006 lei interviene, interrompendo il suo discorso di ringraziamento.

La sua personalità pare essere sempre stata orientata agli eccessi, troppo facilmente manipolabile, e questa sua debolezza caratteriale sarebbe stata accentuata e portata agli estremi proprio da Blake Fielder, il grande amore di Amy Winehouse, ma anche l’uomo che, secondo i suoi detrattori, l’avrebbe spinta definitivamente nel baratro.

L’amore per Blake

Amy Winehouse conosce Blake Fielder-Civil (ha tolto il secondo cognome solo recentemente, visto che ha interrotto del tutto i rapporti con il patrigno e la famiglia) nel 2005, nel bar di Camden che entrambi frequentavano.

Amy Winehouse ama Blake Fielder ma il loro è un sentimento folle, irragionevole, devastante; di quelli che ti consumano, moralmente e fisicamente. Non ha mai nascosto di aver scritto le tracce di Back to Black pensando proprio al periodo di rottura che avevano attraversato.

Tutte le canzoni riguardano le circostanze della mia relazione con Blake in quel periodo – ha dichiarato a Rolling Stones -Non avevo mai provato per nessun altro in vita mia quello che provo per lui. È stato molto catartico, perché soffrivo per come ci eravamo trattati a vicenda, credevo che non ci saremmo più rivisti. Ora lui ci ride su. Mi fa, ‘Che vuoi dire, credevi che non ci saremmo più rivisti? Noi ci amiamo. Ci siamo sempre amati.’ Ma per me non è divertente. Volevo morire.

È così, la dipendenza più grande di Amy Winehouse si chiama Blake Fielder, l’uomo per cui farebbe di tutto, il ragazzo con cui, anche durante le cene al ristorante, si scambia messaggi, quello per cui ha sempre pronta una carezza, un abbraccio. Per molti, l’uomo che l’ha portata fino alla morte.

Mi sono innamorata di una persona per la quale sarei morta – dice la stessa Winehouse in un vecchio video riportato da Vanity Fair – Sento che in un certo senso l’amore mi sta uccidendo.

I due si ritrovano, si sposano il 18 maggio del 2007 a Miami Beach, in Florida, ma la felicità è effimera, e questa cosa la devasta ulteriormente; il 6 agosto del 2009 viene ufficializzato il divorzio, mentre Blake è in carcere per aver picchiato il gestore di un pub e poi aver tentato di comprare il suo silenzio con 200 mila sterline. Lui ha due figli da un’altra donna, Sarah Aspin, eppure continua a dichiarare di amare Amy Winehouse, tanto che, quando anche lei inizia a frequentare un regista di nome Reg Traviss, lui tenta il suicidio e finisce in coma per due settimane. Lei viene invece denunciata per stalking nei confronti di Blake dalla nuova compagna di lui. Una volta disse:

 Amo ancora Blake e ho voglia di vivere con lui nella mia nuova casa. Non gli permetterò di divorziare da me, lui è la versione maschile di me, siamo fatti l’uno per l’altra.

In molti descrivono Blake Fielder come “un poco di buono”, un “tossico”, ma, soprattutto, come colui che ha trascinato Amy Winehouse in un vortice di sfacelo, fino alla morte. Lui stesso lo disse, nel 2008:

Senza di me indubbiamente non avrebbe mai preso quella strada. Ho rovinato qualcosa di bellissimo.

A distanza di dieci anni dalla sua morte, e nonostante questa “confessione”, nel 2011 Fielder ha chiesto di entrare in possesso di un milione di sterline del patrimonio di Amy Winehouse. Richiesta assolutamente respinta dalla famiglia della cantante, che ha giurato di essere pronta alla battaglia legale.

Non ha portato nient’altro che dolore a tutti. Dargli un altro penny sarebbe troppo. Questa è una persona che ha speso molti soldi di Amy durante il tempo che hanno passato insieme. Dire che sarebbe inappropriato per lui beneficiare della sua proprietà sarebbe un eufemismo.

Amy Winehouse non riuscì mai a distaccarsi dalle due dipendenze, diventò autolesionista mostrando sulle braccia, fra i vari tatuaggi, dedicati alla nonna Cynthia, al papà Mitch, le cicatrici che erano espressione più evidente di un dramma profondo, interiore, forse incurabile.

Blake ha, forse, contribuito ad accelerare la discesa di Amy verso l’inferno, ma non possiamo sapere se la sua storia avrebbe comunque avuto questo epilogo, con o senza di lui.

Di certo, Amy Winehouse conviveva con tanti, troppi demoni dentro di sé, troppo forti perché il suo animo, esile come il suo corpo, riuscisse a sconfiggerli tutti. Era sola, facile preda di nemici più grandi di lei.

Di lei ci rimane un album diventato storia, espressione più pura di un talento cristallino, un lavoro postumo, pubblicato il 5 dicembre del 2011, ma soprattutto il rimpianto, enorme, di non poter scoprire cos’altro ancora di meraviglioso la piccola ragazza con l’ingombrante chioma ci avrebbe riservato.

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