Ha fatto molto discutere la lettera inviata nei giorni scorsi a Vanity Fair da Deborah Roversi, ex moglie del calciatore Andrea Pirlo, nella quale  la donna difendeva il suo diritto a percepire un assegno di mantenimento, facendo chiarezza rispetto alla propria posizione.

Lei, che per 13 anni è stata al fianco del campione del mondo ed è la madre dei suoi figli, è stata suo malgrado citata tra le ex mogli che godono di un lauto assegno di mantenimento nell’ambito del dibattito seguito alla sentenza della Corte di Cassazione che, il 10 maggio scorso, ha rivoluzionato la normativa sul divorzio, stabilendo che il criterio da seguire per quantificare la somma da corrispondere alla ex vada valutato in base all’indipendenza e all’autosufficienza economica di quest’ultima e non più al mantenimento del tenore di vita goduto durante il matrimonio.

Ma la lettera di Deborah ha sollevato delle perplessità non tanto per la sua difesa dell’assegno di mantenimento. Nessuno mette in dubbio la legittimità di questo a favore del mantenimento e dell’educazione dei figli. A sollevare in alcuni casi persino lo sdegno di donne, sposate, divorziate e non, è stato più che altro il tenore delle parole con cui l’ex signora Pirlo ha voluto spiegare le sue ragioni, parole che non sono passate inosservate neppure all’occhio attento e critico di Selvaggia Lucarelli, che in un post su Facebook ha definito la lettera

 …una lettera recuperata sul fondo di un trumeau fine ‘700 scritta da un’infelice cortigiana castrata nelle sue aspirazioni perché il marito è in guerra e lei deve badare ai figli.

Già, perché quella che traspare, da ciò che Deborah Roversi ha scritto, è l’immagine di una donna che si è totalmente sacrificata in nome delle ambizioni del suo uomo, che si è annullata – parole sue – per permettere a lui di essere felice e di realizzarsi professionalmente; insomma, il tono generale sembra effettivamente quello che potrebbe usare una geisha fedele nei confronti del “padrone”, non quello di una moglie, non quello di una compagna alla pari del proprio uomo. Insomma, ne esce un autoritratto della signora Roversi sottomessa, volontariamente inerme e disposta ad accettare tutto per il bene di lui (che può anche non coincidere con quello della propria persona, talvolta).

Non è stato semplice rinunciare a me stessa. Il mio amore era allo stesso tempo abnegazione e rinuncia. Non era possibile immaginarlo diversamente con un uomo che diventava Campione, al quale era necessario donarsi per non impedirgli il futuro. Ho compreso il mio ruolo con spirito di partecipazione e di sacrificio, ed ho offerto a lui ogni attimo della mia esistenza incondizionatamente per la sua sicurezza, la sua serenità, la sua concentrazione.[…] Non potrò mai dimenticare il lavoro silenzioso su me stessa e sulla mia vita per amore di lui che si apriva al destino di Campione e che anch’io ogni giorno ho aiutato a compiersi.

Scrive in un passaggio, e poi:

È difficile raccontare l’abnegazione, la rinuncia e l’annullamento di me stessa al fianco di un Campione. Un senso di responsabilità continuo, a volte anche ansioso e preoccupato vissuto dentro senza dirlo, che ha permeato l’intera mia esistenza al suo fianco soltanto per lui e per la sua storia che prendeva forma.
Nessuna interferenza, nessun condizionamento; approvazione e sostegno continui anche quando avrei voluto esplodere per affermare me stessa. Dominio e negazione della mia vita per il suo bene e per il suo sogno che doveva compiersi e che si è compiuto come entrambi desideravamo anche per merito mio.

In questo senso il contenuto della lettera della signora diventa imbarazzante: non perché lei ci tenga a precisare che l’assegno che percepisce non è di 53 mila euro mensili, come scritto da alcuni giornali, ma inferiore di almeno due terzi; né, ripetiamo, per la legittimità – ci mancherebbe altro! – di un assegno ai figli, ma proprio per quel tono che cade più volte in quello che sembra a tutti gli effetti un malriposto vittimismo.

Come scrive la Lucarelli:

Temo anche che tutto sommato, fare la moglie di un calciatore non sia tra i mestieri più usuranti del globo. Forse, e dico forse, è più faticoso fare la moglie di un turnista nel siderurgico con 1200 euro al mese e le stesse, identiche responsabilità familiari di una qualsiasi moglie e madre del pianeta. Con qualche privilegio in meno, magari, e col pensiero di dover allungare la minestra perché altrimenti questo mese non si riesce a pagare il bollo auto.

Da qui, arriviamo alla domanda del titolo? Davvero un’ex moglie ha bisogno di un assegno per “mantenere lo stile di vita precedente” al divorzio. Davvero abbiamo bisogno che una donna dichiari, quasi come se fosse un vanto, il proprio annullamento per l’ex marito e la totale abnegazione nei suoi confronti per giustificare i motivi per cui quell’assegno lo merita, cosa che peraltro è stata una sua libera scelta?

Le motivazione di Deborah a sostegno di un assegno di mantenimento fondamentale per chi, come lei, ha “sacrificato” vita e ambizioni per amore, sono in questo senso scioccanti:

Ecco perché la sentenza, a cui è stato riservato molto clamore, non può riguardare le donne che hanno sacrificato interamente la propria vita per il proprio uomo, rinunciando ai propri studi o al proprio lavoro e alla propria realizzazione personale.
Non sono condivisibili le pretese di chi, pur avendo realizzato se stessa nel corso del matrimonio, voglia anche parte di quanto realizzato dal marito. Questo anch’io non lo considero giusto. Tuttavia la sentenza della Corte di Cassazione deve far riflettere sulla situazione di mogli che hanno donato completamente la propria esistenza, per le quali un semplice assegno ‘assistenziale’ sarebbe non solo ingiusto ma anche offensivo.

Non ho il compito e la competenza di leggere le norme; non mi sfugge tuttavia di comprendere che, quando una donna ha contribuito alla ricchezza del marito perdendo le chances per la propria autorealizzazione, al momento della cessazione del matrimonio, a maggior ragione quando avviene per cause a lei non attribuibili (come nel mio caso), non sarà sufficiente un mero assegno ‘assistenziale’, sarà necessario invece considerare anche il diritto a un risarcimento per la propria vita donata per amore ed anche un compenso proporzionato al proprio contributo come avviene in una vera e propria impresa familiare.

Forse l’ex signora Pirlo ha dimenticato il fatto che quell’autorealizzazione, professionale e umana, lei se l’è impedita da sola, scegliendo di essere solo la “moglie di” o scegliendo – nel suo caso a maggior ragione non come unica possibilità – di dedicarsi esclusivamente ai figli. Scelta valida e lodevole, quest’ultimo, purché poi si sia pronti a prendersi, come per ogni scelta, tutte le responsabilità.

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